Sulle tracce dell’ultima riflessione di Brecht sul teatro

Anche nella sua apparente linearità la riflessione di Brecht sull’arte lascia una sensazione di “straniamento” a chi le si accosta; non fosse altro che per la sua decisa mancanza di sistematicità – che rende impossibile ogni sbrigativa classificazione – per l’asprezza dei toni polemici, la radicalità degli assunti teorici, per l’urgenza con cui pone la necessità di una profonda revisione della drammaturgia e del teatro tradizionale, per l’ostinata opposizione a ogni soluzione di compromesso che la caratterizzano e animano.


Sulle tracce dell’ultima riflessione di Brecht sul teatro

Che significato ha oggi – sempre che ne abbia conservato ancora uno – l’opera di Bertolt Brecht? Quest’ultima, in effetti, pare aver finito di costituire un serio problema per la critica contemporanea e sembra poter ormai venir collocata nel repertorio tradizionale dei teatri non proprio d’avanguardia, mentre le sue riflessioni sul dramma sembrano ormai da considerare come delle teorie, certo un po’ Naif, ma indubbiamente dotate di un loro significato storico ben preciso che, proprio per questo, non pone più tanti interrogativi al teatro e alla concezione drammaturgica moderna, che paiono indirizzati ad ambiti problematici molto diversi. Non si potrebbe, dunque, fare altro che dare ragione a Max Frisch che, in tempi non sospetti, cioè nel lontano 1964, aveva parlato, a proposito dell’opera di Brecht, della perdita di efficacia propria di un autore che era ormai da considerare, a tutti gli effetti, un classico [1]. 

Anche gli studi degli ultimi anni evidenziano una maggiore attenzione storico-filologica all’opera brechtiana, mentre sembrano ormai tramontati sia gli sguardi d’insieme, sia gli interventi di taglio critico-polemico. Questo maggiore distacco critico – che, in molti casi, sarebbe meglio definire “accademico” – sebbene certamente abbia aggiunto una grandiosa mole di nuovo materiale di analisi e se ne sia anche servito per fare piazza pulita delle più evidenti forzature della critica precedente, non sembra essersi mosso nella direzione di riportare l’attenzione sulla problematicità e quindi sull’attualità – quantomeno possibile – dell’opera di questo autore. 

Lo stesso si potrebbe dire per ciò che riguarda la ricezione delle analisi di Brecht sul teatro e sul dramma. Esse non sembrano più in grado di suscitare né l’entusiasmo né le critiche risentite di un tempo. Sono più pacatamente analizzate, più attentamente valutate, ma vengono generalmente considerate un importante documento di un certo modo di concepire il teatro definitivamente consegnato alla storia; una passata esperienza, certo interessante, ma oggi non più problematica.

Eppure, anche nella sua apparente linearità e assoluta perspicuità la riflessione di Brecht sull’arte in generale e il teatro in particolare lascia una sensazione di “straniamento” a chi le si avvicina; non fosse altro che per la sua decisa mancanza di sistematicità – che rende impossibile ogni sbrigativa classificazione – per l’asprezza dei toni polemici, la radicalità degli assunti teorici, per l’urgenza con cui pone la necessità di una profonda revisione della drammaturgia e del teatro tradizionale, per l’ostinata opposizione a ogni soluzione di compromesso che la caratterizzano e – ancora oggi – animano. Ancora di più produce straniamento quella sua ambiguità di fondo, quella sua non finitezza, la sua intima contraddittorietà che sembra essere proprio la spia di una più profonda problematicità lasciata volutamente aperta, anche perché non risolvibile fino in fondo. 

Del resto, la sua teoria sull’arte di problemi ne ha posti sempre, benché sin dall’inizio si sia cercato di schivarli considerandola, dapprima, una stramberia da avanguardie storiche o ancora di più tentando di “salvarla” sfrondandola di tutte le intrinseche contraddittorietà per poterla incastonare in una qualche categoria letteraria precostituita, che può essere indifferentemente l’estetica dell’impegno, il realismo o lo strutturalismo e, oggi, anche il post-moderno o il decostruzionismo. 

Ora di questa problematicità che sembra celarsi immediatamente dietro l’apparente “chiarezza” della sua teoria del teatro ha preso pienamente coscienza lo stesso Brecht negli ultimi anni della sua tormentata esistenza. È forse utile occuparsi, allora, proprio di questo periodo, che può essere considerato sotto una luce un po’ diversa dall’abituale, una volta guardato attraverso questa problematica specifica.

La teoria brechtiana, benché sia la teoria di un non teorico e sebbene sia, non accidentalmente, non-finita e polemico-poetica, cela al suo interno degli spunti molto importanti, utili non solo a una maggiore comprensione dell’opera drammaturgica e letteraria brechtiana, ma anche rinviano al di là di essa a problemi di carattere generale, se non universale per quanto concerne l’arte moderna. Brecht sembra, almeno a tratti, aver individuato – a sue stesse spese, per così dire – le problematiche fondamentali entro cui si muove, più o meno o meglio sempre meno consapevolmente, il teatro moderno e contemporaneo, sempre che ancora esista qualche cosa che almeno aspiri a essere tale.

Dall’impasse al progetto di revisione critica per far fronte alle “difficoltà della pianura”

Può essere ormai considerato quasi un luogo comune della letteratura critica su Brecht [Brechtforschuung] l’interpretare e definire l’ultima parte dell’opera di questo autore alla luce dell’impasse produttiva che sembra caratterizzarla [2]. Il ritorno in patria, dopo il lungo e tormentato esilio, sembra, in effetti, a prima vista aver coinciso con la fine della fase più innovativa e creativa dell’opera di Brecht.

I principali drammi, in primo luogo, sono stati composti tutti durante l’esilio e anche gli scritti dotati di maggiore sistematicità dal punto di vista teorico sono ultimati prima del definitivo rimpatrio nella sua Germania. In effetti le opere teatrali più famose e rappresentate di Brecht sono stati composti tutti nel periodo compreso tra la fine degli anni venti del ventesimo secolo e la conclusione della seconda guerra mondiale. Peraltro, anche gli scritti sul teatro e l’arte dotati di maggiore sistematicità dal punto di vista teorico, La vendita delll’ottone [Messigkauf] e il Piccolo Organon per il teatro [Kleines Organon für das Theater], sono stati portati a termine tra la fine degli anni trenta e la fine degli anni quaranta. In questi anni, inoltre, diminuiscono sensibilmente anche le preziose annotazioni contenute del Diario di Lavoro.

Anche la produzione lirica di questo periodo, l’unica che sembra non aver risentito di questa impasse, può essere, ed è stata interpretata, per la sua vena riflessiva ed intimistica, come un evidente segnale di ripiegamento interiore, di mal celata insoddisfazione per l’evolvere della situazione politico-culturale nell’intera Germania del dopoguerra. A questo disagio si deve aggiungere il vivo disappunto provato da Brecht di fronte ai primi studi dedicati all’analisi della sua opera e il profondo malessere suscitato dalla ricezione dei suoi drammi, troppo spesso fraintesi dalla critica sia dell’est che dell’ovest [3].

Spesso, però, la critica, forse troppo presa dalla necessità di giungere a delle conclusioni, di fornire delle risposte a una fase della riflessione di Brecht estremamente complessa, proprio per le tante problematiche aperte e lasciate irrisolte, ha finito con il perdere di vista che disillusione e stanchezza non sono affatto dei paradigmi sufficienti a dare conto fino in fondo di quest’ultima parte della produzione del grande scrittore e drammaturgo. Si rischierebbe, altrimenti, di non dare il giusto risalto, o di fornire delle soluzioni troppo facili, troppo nette e – quindi – necessariamente insufficienti, a una serie di problematiche che emergono da questa ultima parte della riflessione di Brecht, perdendo di vista la loro complessità e il travaglio critico in cui sono sorte e si sono sviluppate. Le difficoltà incontrate da Brecht al suo ritorno in patria, infatti, non giunsero inattese e spinsero il suo combattivo e polemico spirito ad acuire ulteriormente quel produttivo atteggiamento scettico che gli aveva permesso di mantenere la sua opera sempre aperta alle critiche e pronta a rimettere radicalmente in discussione i risultati raggiunti di fronte a nuove possibilità di sviluppo. Le polemiche, spesso ingenerose, e le incomprensioni incontrate, perciò, non demoralizzarono Brecht, anzi lo stimolarono a un radicale ripensamento della sua passata produzione artistica e teorica.

Questa ultima fase andrebbe considerata allora, per quanto paradossale ciò possa apparire, come una fase di passaggio, in cui Brecht avrebbe inteso gettare le basi per il lavoro futuro attraverso una revisione critica dell’intera produzione precedente. Brecht morì prima di poter portare a termine questo progetto, ma negli scritti di questi ultimi anni è forse possibile individuare alcuni elementi utili a chiarire in quale prospettiva egli intendesse reinterpretare la sua opera ed entro quali coordinate si sarebbe dovuto svolgere il suo ulteriore sviluppo.

Note:

[1] Più precisamente, in modo sostanzialmente provocatorio – dato che ci si stava avvicinando all’apice dell’interesse per l’opera di Brecht – il noto drammaturgo svizzero aveva parlato della “durchschlagenede Wirkungslosigkeit eines Klassikers.” Frisch, M., Oeffentlichkeit als Partner, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. M. 1967, p. 73. Tale, allora dissacratoria, definizione è stata tradotta dal grande germanista Paolo Chiarini con “l’assoluta inefficacia di un classico”, volendo attestarsi su una traduzione più letterale, l’espressione si potrebbe rendere in italiano con: “la consolidata mancanza di effetto di un classico”. 

 [2] Esemplari sono, a questo proposito, le pagine dedicate dal grande germanista Ladislao Mittner alla produzione di Brecht degli anni cinquanta.

[3] “Leggo uno studio su Gor’kij e me, (...) ideologia, ideologia, ideologia. Da nessuna parte un concetto estetico; il tutto fa pensare alla descrizione di una pietanza in cui non si accenni neanche al sapore che ha.” Brecht, B., Diario di lavoro, Einaudi, Torino 1976, p. 1007. Con queste sconsolate parole il 10 Giugno 1950 Bertolt Brecht commentava l’ultimo insoddisfacente tentativo compiuto per presentare la sua opera al pubblico della Repubblica democratica tedesca [Ddr]. Questo tipo di critica è certo un chiaro esempio, niente affatto isolato, delle distorsioni prodotte anche sulla nascente letteratura critica sull’opera di Brecht dallo zdanovismo che, in questi anni di guerra fredda, era più o meno direttamente imposto alla giovane Repubblica democratica tedesca. Tuttavia, il taglio fortemente “ideologico” dato all’interpretazione dell’opera di Brecht caratterizzava anche molti studi della Repubblica Federale che, pur mirando a fini quasi sempre diametralmente opposti, finivano sostanzialmente per non differenziarsi negli esiti da quelli prodotti, negli stessi anni, in Ddr. Come è stato osservato: “la verità è che Brecht è stato, direttamente o indirettamente, ridotto per poter essere utilizzato come un mezzo per il rafforzamento ideologico o per la sua sovversione; non solo nelle produzioni sceniche, ma nella pubblicazione selezionata delle sue opere, all’est come all’ovest, tanto nei commentari che nelle interpretazioni di critici sia marxisti che borghesi.” Brooker, P., Dialectics, Poetry, Politics, Croom Helm, London 1988, p. 8. A proposito di tali problematiche si veda, quantomeno, Fabri, A., Notiz über Bertolt Brecht, in “Merkur” 11/1950, pp. 1214-1220 e Podszus, F., Das Ärgnis Brecht, in “Akzente” n. 2/1954, pp. 143-149. Un buon quadro della ricezione dell’opera di Brecht nella Repubblica democratica tedesca si trova in Der Realismus Streit um Brecht. Grundriß der Brecht-Rezeption in der DDR 1945-1975, Aufbau Verlag, Berlin und Weimar 1978.

17/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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