Amadeo Bordiga

Amadeo Bordiga, fondatore del PCd’I, fu un importante leader comunista che si confrontò con Lenin e Stalin da pari a pari.


Amadeo Bordiga

Come Gramsci e Togliatti, Amadeo Bordiga era di estrazione borghese; il padre era docente di Agraria, la madre di famiglia nobile. Crebbe in un ambiente intellettuale e scientifico che lo renderà insensibile a Croce e Gentile, del primo non leggerà mai le opere vantandosene, avrà sempre scarsa considerazione per il positivismo italiano, da lui ritenuto banale e noioso. A suo parere la lettura delle opere di Marx era più che sufficiente a un rivoluzionario.

Nel 1912 era già un giovane leader socialista con un atteggiamento assai critico verso l’ala destra del partito; lo stesso atteggiamento ebbe verso quella che sarà l’ala destra del futuro partito comunista guidata da Angelo Tasca.

A proposito del Partito socialista Bordiga scrive nella rivista di Gaetano Salvemini “L’Unità”: “il problema non è la cultura, che resta borghese, e nessun riformismo riuscirà a cambiare, il vero problema del socialismo italiano è di trovare una unità ideologica di azione”. Insieme a Ruggiero Grieco e Oreste Lizzardi fonda lo stesso anno il Circolo Carlo Marx, collocandosi in una posizione assai critica verso il partito socialista, che lo condusse progressivamente alla presa di coscienza dell’estraneità del Psi ai principi del marxismo.

Bisogna, però, tenere conto che tra Gramsci e Bordiga il critico più radicale della tradizione socialista è il primo, benché l’obiettivo del secondo era di tornare alla ortodossia marxista che a suo parere la Seconda Internazionale aveva abbandonato. 

Come annota Giuseppe Berti, Bordiga e Togliatti ebbero posizioni divergenti sull’atteggiamento da tenere dinanzi alla Prima guerra mondiale: Togliatti si arruolò volontario nella sanità militare e per questa sua scelta non fu mai criticato da Gramsci; Bordiga invece con il suo scritto Il soldo del soldato rifiuta ogni distinzione tra la guerra offensiva e quella difensiva, perché a suo parere la guerra ha sempre carattere imperialistico, ossia è volta alla valorizzazione del capitale nazionale e allo sfruttamento del proletariato.

L’azione politica del politico napoletano lo rende rapidamente famoso nel Psi, tanto che al momento della fondazione del PCd’I a Livorno nel 1921 tutti conoscono Bordiga, molto meno Gramsci e Togliatti.

Come osserverà nella Storia del partito comunista, Paolo Spriano, non certo tenero con Bordiga, egli fu l’agitatore principale delle lotte operaie a Napoli contro la Cgil nazionale, che aveva cercato di porre un’ipoteca moderata sul nascente movimento sindacale operaio napoletano. In uno scritto sul rivoluzionario napoletano del 1930 Togliatti lo definisce portatore di un pensiero astratto e non dialettico; accusa che si fonda sulla non dimestichezza di Bordiga con la filosofia hegeliana. 

Dopo il congresso di Livorno, Bordiga getterà le basi di un partito comunista molto diverso dagli altri partiti europei aderenti alla Terza Internazionale. Come scrive Renzo De Felice [2], la composizione prettamente operaia del partito, consentì a Bordiga di impedire la nascita di una rigida burocrazia che si sarebbe risolta in una gerarchia piramidale per lui inaccettabile. Il rivoluzionario napoletano non negava la necessità di una rigorosa disciplina interna fondata sul programma del “centralismo organico” e che doveva essere l’assetto naturale della sinistra comunista.

In quegli anni Bordiga sembra essere un leader incontrastato, un dominatore, un vero trascinatore, che impressiona i compagni per la sua sicurezza. 

Alla domanda su cosa pensa del fatto che Lenin non è concorde con la sua opinione secondo cui non si deve partecipare alle elezioni parlamentari risponde “Lenin ed io siamo figli di Marx a parità di diritti. La situazione russa non è quella italiana”. Lev Kamenev, presente al congresso di Livorno, dichiara “Amadeo è un leone” [3]. 

Decenni dopo, rilasciando prima di morire l’ultima intervista a Sergio Zavoli, Bordiga giustificherà la passività del partito comunista dinanzi all’involuzione democratica innescata dal movimento fascista, sostenendo che non fu possibile contrastare la forza dell’esercito e della polizia dello Stato italiano, che di fatto lo sostenevano

In quella fase il partito italiano era diviso tra la leadership di Bordiga e quella di Gramsci, i quali erano animatori di due riviste ”Il Soviet” e “L’Ordine Nuovo”, in cui sono espresse le loro differenti concezioni politiche.

Bordiga considera la Rivoluzione del 1917 spuria, bastarda, atipica rispetto a come avrebbe dovuto essere secondo le ipotesi di Marx. Di contro, nello scritto La rivoluzione contro il capitale, Gramsci delinea una critica misurata e prudente. Nonostante queste differenze, il rivoluzionario napoletano nutrirà sempre simpatia per Gramsci, mentre verso Togliatti avrà un atteggiamento completamente diverso, convinto che il suo rivale intendesse dar vita a un partito burocratizzato e nella sostanza per nulla rivoluzionario. Intuiva che la Rivoluzione del 1917 era purtroppo avvenuta in uno Stato arretrato e non in uno Stato fortemente industrializzato, come era da auspicare

In quegli anni il partito italiano tentennerà a lungo tra Bordiga e Gramsci, due futuri leader del Pci Secchia e Longo sono da giovani bordighisti, come dice Terracini nelle sue memorie [4]. 

Visti retrospettivamente gli avvenimenti che porteranno alla emarginazione di Bordiga dal gruppo dirigente sembrano inevitabili; infatti, sarà Bordiga stesso a dare spazio al centro gramsciano, che opererà per la sua espulsione nel 1930. Nel 1923 subisce la condanna dell’Internazionale che impone l’entrata nella direzione del partito della destra di Angelo Tasca [4]. La sua reazione mostrerà come egli si ponga sullo stesso piano di Lenin e Stalin; questa è la sua risposta dal carcere, in cui era stato rinchiuso nel 1926: “Non pretendo di rappresentare altro che il signor me stesso, ma dichiaro che non collaborerò in alcun modo alla direzione del partito. Dall’esecutivo sono lieto di essere già escluso. Non mi dimetto da non so che cariche, che mi hanno dato a Mosca, ma se dovessi uscire non andrò laggiù neanche per poco tempo” [5].

Il partito è diviso, i vecchi compagni non vogliono cacciarlo, ma nemmeno rompere con Mosca. Si incaricherà Gramsci di iniziare la sua estromissione dal partito, che però procede cautamente. Forse la cosa non progredirebbe, ma è lo stesso Bordiga, fedele all’idea che un comunista non debba nascondere nulla, a rompere con una dichiarazione fatta a Mosca il 1° marzo 1926 durante un incontro con Stalin: “Dove sta andando l’Unione sovietica? Sta costruendo davvero il socialismo o sta fabbricando un colossale capitalismo di Stato?”. L’incontro in breve degenera. Il rivoluzionario napoletano incalza Stalin, chiede informazioni sui programmi industriali, e infine domanda: “il compagno Stalin pensa che lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del partito russo siano legati allo sviluppo del movimento proletario internazionale?”. Concludendo aggiunge: “voi sovietici vi preoccupate ancora della rivoluzione mondiale oppure pensate di costruire il socialismo in un solo paese”? [6]. Lo scontro tra i due personaggi è duro ma dignitoso; Stalin risponde sdegnoso, respingendo le accuse. Non vi fu nessuna umiliazione o derisione di Bordiga come pretenderà anni dopo la vulgata togliattiana. Il giorno dopo al VI Plenum politico napoletano tornerà ad attaccare Stalin proprio sull’uso del terrore per mantenere unito il partito. Allora Togliatti prende la parola per affermare che Bordiga non è un capo di partito e quindi parla solo per se stesso, mettendo termine così a un momento imbarazzante della riunione.

Gran parte dei segretari delle federazioni comuniste sono con lui, mentre il cosiddetto centro gramsciano-togliattiano annaspa. Togliatti accusa i compagni di base di non sostenere adeguatamente il centro e di essere ingenuamente bordighisti [7].  Al congresso di Lione del 1926 la sinistra bordighista reagisce e accusa l’ordinovismo di avere un’ideologia in cui predominano concezioni filosofiche borghesi, idealistiche e crociane. Alla fine del congresso di Lione, i bordighisti raccolgono il 10% dei voti, risultato che probabilmente non rappresenta la forza reale che essa conservava nella base. In quell’occasione Bordiga ribadisce i suoi punti di vista dottrinali, programmatici, tattici e traccia il consuntivo dell’esperienza storica accumulata dal proprio gruppo nel Psi, nel PCd'I e nell’Internazionale, rivendicandone l’originalità e la coerenza, contro la confusione ideologica e gli ondeggiamenti politici del gruppo gramsciano, a cui rinfaccia ancora una volta la matrice filosofica idealistica.

Messo fuori dal gruppo dirigente Bordiga, avversato da Togliatti, continua ad avere un concreto seguito tra i compagni della base. Quando a Mosca i compagni sovietici gli propongono di trasferirsi in quella città come referente di un gruppo di Lavoro dell’Internazionale, sarà Togliatti a far naufragare il progetto [8].

Il vecchio dirigente del PCd’I espulso nel 1930 si era ritirato a Napoli dove solo pochi compagni gli stanno accanto. Al suo arrivo a Napoli nel marzo del 1944, mentre visita la locale sezione comunista, Togliatti domanda: “cosa fa Bordiga? Si è fatto vivo?”. I presenti rispondono che nulla è arrivato da Bordiga; allora Togliatti insiste “eppure con lui abbiamo un conto aperto e dobbiamo chiuderlo”. 

Bordiga fra il 1945 e il 1965 scrive importanti pagine da leggere ancora oggi come Dialogato con Stalin del 1953 e Dialogato con i morti del 1956 in polemica con Krusciov. Nella sua Napoli continua a scrivere, a pensare e a parlare, circondato da molti ammiratori e pochi compagni. Bella e commovente è la sua ultima intervista già ricordata, rilasciata a Zavoli per la trasmissione Nascita di una dittatura. Bordiga vi compare malato, ma non ha perso la sua verve polemica e ribadisce il suo affetto per Gramsci col quale, a distanza di anni, continua a polemizzare politicamente, ma umanamente gli conferma tutta la sua stima. Di Togliatti Bordiga non dice né scrive nulla.  

Concludendo, credo che Amadeo Bordiga fosse un compagno affidabile, sincero nemico del capitalismo senza se e senza ma. La sua azione politica non è stata scevra di sbagli ed errori, fondata su valutazioni spesso schematiche, nonostante ciò rimane un grande leader comunista, dotato di grande coraggio umano e politico. Il coraggio che fece difetto, invece, a chi nel 1991 a Rimini decise di chiudere il partito che lui aveva contribuito a fondare nel 1921 a Livorno.

 

Note:

[1]Bordiga, A., Scritti scelti, a cura di F. Livorsi, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 55-59.

[2] De Felice, R., Serrati, Bordiga, Gramsci, De Donato, Bari 1974, pp. 129-133.

[3] Agosti, A., La Terza Internazionale, vol. II, t. 1, Editori riuniti, Roma 1976, pp. 412 ss.

[4] Livorsi, F., Amadeo Bordiga, Editori riuniti, Roma 1976

[5] Livorsi, F., op. cit., pp. 285 ss.

[6] Livorsi , F., op. cit.,pp. 336 ss.

[7] De Clementi, A., Amadeo Bordiga, Einaudi, Torino 1971, pp. 242-243.

[8] De Clementi, A., op. cit., p. 242.

09/04/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Orazio Di Mauro

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: