Declinare il tempo al femminile?

Nella vastissima elaborazione teorica del pensiero femminista e di genere, il concetto tradizionale del Tempo viene scardinato. Da una dimensione lineare e consequenziale, si passa alla concezione di una sincronia di segmenti che permette di mettere in relazione fra loro i punti in comune di fenomeni solo apparentemente lontani fra loro. E così dal Tempo si approda allo Spazio.


Declinare il tempo al femminile?

Nella vastissima elaborazione teorica del pensiero femminista e di genere, il concetto tradizionale del Tempo viene scardinato. Da una dimensione lineare e consequenziale, si passa alla concezione di una sincronia di segmenti che permette di mettere in relazione fra loro i punti in comune di fenomeni solo apparentemente lontani fra loro. E così dal Tempo si approda allo Spazio.

di Michela Becchis

Tornare a ragionare su cosa sia stata la riflessione intorno al concetto di Tempo all’interno del pensiero femminista e, poi, di genere, vuol dire porsi il problema storico - e forse anche storiografico - di quanto oggi si sappia, in particolare fra le giovani donne e soprattutto fra le giovani militanti, del percorso compiuto in oltre mezzo secolo dal cammino femminista e sottolinearne gli aspetti ancora validi ed efficaci e quelli che, invece, hanno subito una utile modificazione da fattori intervenuti successivamente che hanno fatto emergere ciò che vedremo essere stati chiamati effetti indesiderati proprio dentro a quella teorizzazione.

Uno dei primi cardini della riflessione femminista fu la messa in discussione del Tempo inteso come percorso lineare. Un percorso lineare che, nello storicismo e in particolare nella progettualità politica del marxismo, costituiva un elemento fondante di una possibilità di futuro diverso e risolutivo. Nel concetto stesso di “superamento” risiedeva un’idea di tempo lineare ma questo pericolo emergeva anche in una delle parole chiave del primo femminismo e cioè “emancipazione” , qualora si fosse vista solo come allineamento dei diritti delle donne a quelli degli uomini - angolazione immediatamente accolta anche dalle classi dominanti per depotenziare il portato rivoluzionario che l’onda d’urto femminista avrebbe potuto comportare nella critica ai rapporti di forza e alla gestione dei mezzi di produzione. Non è in queste poche righe che possiamo analizzare l’idea di Tempo nel marxismo ma è bene averlo presente affinché possano meglio vedersi i punti di attrito e di eventuale ricomposizione tra femminismo e marxismo.

Il “partire da sé” del pensiero femminista accantonava quella linearità mettendo in luce come la tradizionale spartizione del tempo fosse un’operazione di tipo maschile, patriarcale, cioè dominante. Nella teoria di genere, centrale diventava la durata e sufficiente sarebbe scorrere la bibliografia che il pensiero femminista ha prodotto sul tema per intenderne l’importanza e la complessità di elaborazione.

Il problema femminile è di per sé mezzo e fine dei mutamenti sostanziali dell’umanità. Esso non ha bisogno di futuro […] Non esiste la meta, esiste il presente” scrive ancora Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel. Certo, l’insistenza sul presente poteva diventare un elemento problematico ai fini della progettualità del cambiamento; tuttavia negare la linearità poneva il problema di un andamento del tempo che era fatto di molteplici presenti, di esperienze che si manifestavano e vivevano in modo sincrono e che, come tali, dovevano essere sia vissuti che analizzati. D’altro canto l’inconsistenza del concetto di tempo espresso da una retta è cosa assodata non solo dalle scienze storiche e sociali, ancora troppo spesso pensate scarsamente scientifiche, ma dalla fisica. E la domanda sorniona che Einstein rivolse al matematico Kurt Gödel, “ma dove va il tempo che passa?”, già conteneva il dubbio forte che quella retta da qualche parte si spezzasse e diventasse una sincronia di segmenti. Imparare a guardare a vari “presenti” senza irrigidirli dentro una presunta, geometrica sequenzialità ha aperto un cortocircuito storico e interpretativo che ha permesso di concentrarsi liberamente e criticamente sulla ridefinizione di lontananza e distacco quali necessari strumenti di valutazione. Un’interpretazione che non richiedeva più il raffreddamento quasi positivista, ma accettava pienamente il coinvolgimento anche dentro la ricerca di significato che era nata da questo capovolgimento.

Scardinare il vecchio Tempo, vuol dire mettere in relazione fra loro fenomeni apparentemente lontani e diversi per evidenziare caratteri, logiche, strutture non valutate precedentemente e illuminare produttori comuni inaspettati. Un risultato simile, proprio in un’epoca di globalizzazione, torna molto utile per produrre critica adatta a molti fatti economici, politici, culturali che a prima vista sembrano isolati, lontani, quasi auto-referenziali e che, invece, sono tutti una sorta di epifenomeno di strategie planetarie. Scrive Paola Di Cori, una delle massime studiose dei rapporti tra Tempo, Durata, Memoria e Storia (nonché di quella che definisce problematicamente e in chiave quasi di aporia storiografica l’asincronia del femminismo ), “Si ha come la sensazione che proprio questa sia l’operazione più riuscita, pur di fronte ad alcuni effetti indesiderati: aver introdotto nuove maniere di ragionare intorno al tempo, alle sue scansioni e agli obblighi che impone; dimenticare o variare i ritmi quotidiani, mensili, annuali; in alcuni casi esaltare temporalità altre, extra-storiche; fino a far scoppiare in aria logiche secolari e barriere temporali. Differenze segnate e significate dai corpi”.

Pena l’errore storico, che la destrutturazione femminista del tempo non intendeva promuovere, non può non scriversi che l’intera riflessione che nasceva negli anni ’70 del Novecento era tutta interna a una ribalta occidentale che avrebbe anche visto contrapporsi studiose statunitensi e studiose europee ma che rimaneva entro un decennio che valutava anche le complesse crisi sociali che si stavano delineando tutte internamente ad uno spazio ben delineato e cioè i confini dell’Occidente; patendo, quindi, le stesse contraddizioni del pensiero antimperialista, terzomondista per cui l’esterno veniva valutato spesso in una volenterosa chiave solo teorica che accantonava l’enorme e tragico portato che solo il completo coinvolgimento anche fisico, morale e emozionale può comportare. Proprio come il femminismo insegna. Insomma, i conti si facevano dentro il proprio gruppo originario di appartenenza benché fosse un gruppo decisamente allargato e, in comune col marxismo, intenzionato ad abbattere classi, contesti sociali, meccanismi economici visti però come sovrastrutture patriarcali. In quel decennio ancora l’effetto deflagrante dell’affacciarsi alla scena mondiale del pensiero e della rivendicazione postcoloniale, associata alla focalizzazione della teoria gender e di definitivo superamento del binarismo dei sessi, era di là da venire. Tuttavia la questione del Tempo è rimasta vivissima e ermeneuticamente efficace proprio grazie all’allargamento dello Spazio. A far sì che l’idea di Tempo come si era delineata negli anni non venisse archiviata, è stato il femminismo che si andava faticosamente delineando nel resto del mondo o donne che da un altro mondo venivano e cercavano di porre la questione di saperi e pratiche distanti a inventare, o a rendere appunto pratiche, un metodo di costante riproposizione e studio del problema temporale. Archiviata, però, all’interno di quella concezione lineare che intende la modalità dell’archiviazione come un sistema per mettere al riparo, chiudendoli, risultati ritenuti assodati e raggiunti, sistemati e sistematizzati. Un’idea di archiviazione che anche nella riflessione fatta intorno alla metà degli anni ’90 del Novecento da Jacques Derrida, un filosofo maschio, doveva essere naturalmente smontata e evidenziata nella sua inservibilità.

Archiviare, nel pensiero femminista allargato al pianeta, diventava invece movimento, riapertura, avvenire, rigorosa creatività come illustrava problematicamente e in modo affascinante Natalie Zemon Davis in Fiction in the Archives (1987) dove l’excursus sulla parola fiction abbracciava ogni valore semantico sia nel tempo (il senso di fingo in latino) che nello spazio (la rideclinazione planetaria di fiction) per cercare di proporre un modello altro di narrazione fatto di costante riattraversamento degli archivi in qualsiasi forma si possano immaginare (cartacei, sensoriali, visivi, elettronici, orali). Archivi disposti secondo una necessità di consultazione sincronica affinché si determini un risultato che tenga conto e ponga al centro ciò che la Storia ufficiale, quella del tempo lineare, pone al margine, ritiene dettaglio ininfluente, legge come elemento fisso e immutabile. Concetti fondativi della ricerca di nuove narrazioni e di strumenti efficaci provengono dal cuore del pensiero femminista e sono da un lato l’idea di identità, anzi la definitiva messa in discussione di quell’idea intesa come entità definita e definibile in via assoluta, e, dall’altro, l’idea di differenza che mina proprio l’inamovibilità mantenuta per secoli dalla identità e che ha condotto il pensiero femminista verso il più ampio e problematico pensiero di genere. Dagli anni ’70 del Novecento la storia raccontata dalle donne, mettendo in gioco non solo il loro sapere ma anche la loro sessualità e il loro corpo, sembra essere stata allungata e allargata tanto di più ha dovuto comprendere pezzi di orizzonti normalmente esclusi allo sguardo esaminati rispettando interruzioni, rotture, irregolarità, contingenze, zone d’ombra e anche momenti di crisi interna al movimento. Scrive ancora Paola Di Cori: “Proprio da questa acquisita consapevolezza occorre trarre elementi per indagare sull’attuale natura volatile, la maggiore o minore friabilità delle istituzioni sociali, della comunicazione, della relazione tra corpi e spazio, delle sessualità; e anche l’attuale configurazione indeterminata, spesso assai minacciosa, che caratterizza la politica” . Il lascito di pratiche e teorie politiche che ha prodotto una scomposizione e un attraversamento del tempo che ha fatto saltare in aria l’intoccabilità di concetti ormai stereotipi e che la studiosa definisce residuo attivo, riserva da reinvestire, è stato raccolto e rimesso al vaglio dal femminismo postcoloniale e si può chiudere questo volo sul tempo femminista con quanto affermava nel 2007 l’artista ghanese Senam Okudzeto in un bellissimo testo corale intitolato Feminist Time: A Conversation (https://www.humanities.uci.edu/critical/deutsche_feminist_time.pdf) «Il femminismo americano ed europeo è stato un punto di partenza; adesso il femminismo è un movimento transnazionale e transgenerazionale». È da qui che il Tempo ci conduce nello Spazio.

04/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Michela Becchis

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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