Holodomor, la carestia ucraina del 1933: Cos’è successo realmente

Sebbene la tesi genocidaria è smentita essa serve a sviare l’attenzione degli ucraini dall’odierno reale kholodomor, vale a dire la morte da freddo per le liberalizzazioni varate dal governo filo-americano.


Holodomor, la carestia ucraina del 1933: Cos’è successo realmente

Segue dalla terza parte.

4. Contro la tesi genocidaria degli storici eterodossi

La teoria del genocidio è spesso sostenuta da coloro che si concentrano sulla storia ucraina ed adottano uno story-telling che fa propria la prospettiva ucraina sugli eventi ignorando del tutto il fatto che la carestia ha mietuto vittime tra gli amici ed i nemici del regime senza distinzioni.

Di contro, quanti studiano la Grande Carestia dal punto di vista dell'URSS nel suo insieme adottano posizioni molto più sfumate. D’altronde, chiunque non sia accecato dal dogmatismo è in grado di riconoscere che Stalin abbia davvero sfruttato la carestia per fini politici traendone il massimo vantaggio possibile: eliminare chiunque fosse “sospettato di slealtà verso il governo sovietico” (Kuromiya 2006) e rimediare alla scarsa “convinzione psicologica” dei contadini circa i “vantaggi del lavoro collettivo sull'agricoltura individuale” attraverso la definitiva imposizione del sistema di produzione agricoltura collettivizzata (Kulʹchytsʹkyy, 2002). Nondimeno, la seconda scuola di pensiero nega che ciò equivalga alla dimostrazione dell’origine intenzionale della carestia intesa come mezzo per un perpetrare un genocidio etnico.

4.1. Le altre regioni colpite dalla carestia

Molti sovietologi, infatti, tendono a negare la specificità degli eventi ucraini notando come le carestie colpirono anche altre aree e, sebbene l'Ucraina abbia sofferto più della Russia, a leggere i numeri con attenzione emerge chiaramente come “il Kazakistan fu colpito ancor più duramente dell'Ucraina” (Kuromiya, 2006).

Regione

Collettivizzazioni

Popolazione

Surmortalité ‘32/’33

Ucraina

61,0%

31,6 mln

3,9 mln

12,34%

Caucaso Settentrionale

81,2%

9,30

> 1 mln

14,01%

Basso Volga

78,8%

5,80

2,2 mln

16,54%

Alto Volga

71,3%

7,50

Terre nere

49,6%

11,7

< 1 mln

7,69%

Tabella 1 Distribuzione geografica delle vittime della carestia del 1932/'33 con ivi indicati la percentuale di fondi agricoli collettivizzati sul totale (Dati tratti da: Naimark 2010, p. 131).


A ciò si aggiunga che la supposizione per cui durante la korenizatsija l’Ucraina era peculiarmente ritrosa a seguire gli ordini di Mosca è storicamente infondata. Lo dimostra un rapporto dell’OGPU datato agosto 1932 ove si afferma che il clima politicamente “più teso” in assoluto si registra nelle regioni del Caucaso settentrionale e del Kazakistan – anch’esse coinvolte della carestia – nelle quali è più massiccia l “attività antisovietica” (Danilov, Manning and Viola 2001).

Sulla scorta di questa linea di pensiero alcuni storici ucraini hanno sottolineato come fu soltanto verso la fine del 1932, che Mosca iniziò attivamente a varare provvedimenti e diramare ordini nel senso della totale inversione dell’ucrainizzazione, ossia a carestia già in corso (Vasil’iev and Shapoval 2001).


Figura 3 Fonte: (Markoff 1933, 14–15)

4.2. Gli interventi a favore dell’Ucraina affamata

Evidentemente, la mancanza di prove dirette dell'intenzione di Stalin di uccidere milioni di ucraini ricorrendo ad una carestia non è sufficiente. Tuttavia, seppure il vožd avesse voluto davvero perseguire questo fine vi sono prove circostanziali a sufficienza per ritenere improbabile il ricorso a tali mezzi. In primo luogo, come sottolinea lo stesso Ellman (Ellman 2007) al di là della retorica bellicosa Stalin cercò di alleviare in parte i patimenti legati alla fame. Nel 1932 e nel 1933, il Gosplan (l'agenzia responsabile della pianificazione economica nell'Unione Sovietica) decise di ridurre le quote di cereali la cui fornitura spettava a Ucraina, Kazakistan, Crimea, Caucaso settentrionale, Basso Volga, Urali, Terre Nere e Siberia orientale in ben nove occasioni.

Inoltre, alcuni storici ucraini hanno ritrovato documenti che attestano l’offerta da parte del governo di Mosca di aiuti alimentari e rifornimenti di cereali a queste regioni, (Danilov, Manning and Viola 2001, Vasil’iev and Shapoval 2001) cui va aggiunto l’importazione clandestina di grano distribuito agli affamati (Khlevnyuk, et al. 2001). Lo stesso discorso di Stalin al XVII Congresso del PCUS può essere interpretato in vari modi e non tutti necessariamente evidenziano le potenzialità di voler impartire una lezione agli ucraini come gruppo “etnico”. Il sol fatto che Stalin sentisse il bisogno di citare il nesso tra nazionalismo ucraino e “interventisti” (émigré anti-sovietici e potenze straniere) suggerisce che il vožd non ritenesse il nazionalismo ucraino costituisse all’epoca una grave minaccia di per sé. Tale inoffensività venne meno quando sembrò che i nazionalisti avessero intessuto una fitta rete di contatti con gli “interventisti”, fatto che trasformò il primo in una seria minaccia politica agli occhi di Mosca.

4.3. Il divario città-campagna

D’altro canto, misure estreme come il blocco economico, gli arresti in massa dei dirigenti comunisti locali e le deportazioni di contadini furono de facto adottate solo in Ucraina e nel Caucaso settentrionale con un apposito ordine del CC del PCUS ucraino datato novembre 1932 (Pyrih 1990) Eppure, è arduo convincersi che questi ordini fossero diretti specificamente contro gli ucraini. Di fatto, ambo i lati del confine vivevano ucraini e russi e le guardie di frontiera non potevano distinguere i due gruppi dal momento che i contadini non avevano ancora i passaporti interni che pure era divenuti obbligatori.

Per questo motivo lo storico e membro dell’accademia delle scienze ucraina Stanislav Kulʹchytsʹkyy osserva che se la carestia in Ucraina ha avuto delle vittime designate, la loro identificazione non avvenne su base etnica bensì residenziale. Gli ebrei, colpiti dalla repressione staliniana più di altre minoranze (Azadovskii and Egorov 2002), sopravvissero alla carestia tanto quanto i russi urbanizzati mentre polacchi e bulgari (perlopiù concentrati in campagna) fecero registrare, in proporzione, lo stesso tasso di mortalità dei contadini ucraini (Kulʹchytsʹkyy 2002).

Conclusione

In definitiva, è certamente vero che la carestia ha colpito l'Ucraina ed altre periferie dell’URSS più duramente della Grande Russia e che, siccome li riteneva nazionalisti con tendenze cospiratrici, Stalin diffidasse dei contadini ucraini. “Eppure non esistono prove sufficienti per dimostrare che Stalin ha progettato la carestia per punire specificamente gli etnici ucraini” (Kuromiya 2006). Tutti o quasi concordano sul fatto che sotto il governo di Stalin milioni di sovietici siano periti a causa della fame; tuttavia, permangono distinguo significativi in relazione all’intenzionalità o meno dell’evento e sul grado di definizione delle vittime. Dai documenti fin qui raccolti e riportati in questo breve saggio, che certamente non si propone di sciogliere definitivamente ogni dubbio, emerge un quadro contrastato.

Sul piano teorico, infatti, è evidente che gli storici “ortodossi” – ossia i fautori della tesi della carestia-genocidio – hanno il medesimo diritto d’udienza accademica di coloro che ritengono l’intenzionalità improbabile o comunque non comprovata. A livello sostanziale, però, questa seconda tesi – sostenuta dalla storiografia “eterodossa” – si dimostra più coerente coi dati demografici, col contesto socio-economico dell’URSS post-guerra civile e con le mire straniere sull’Ucraina.

La storiografia solo di rado riesce ad emettere sentenze definitive e la carestia del 1932–’33 non rientra (ancora) tra questi casi. Tuttavia, la teoria genocidaria ignora del tutto il contesto internazionale in cui si colloca la carestia; quello stesso contesto storico-politico che, invece, è apparso essere “un fattore di importanza critica” (Kuromiya, 2006). Per questi motivi, dopo aver ripercorso le principali argomentazioni delle due scuole, è possibile affermare chiaramente che non ci sono prove sufficienti per rispondere affermativamente ai due interrogativi posti in apertura circa l’intenzionalità e la dimensione “etnica” della carestia. Eppure, i dubbi circa la possibilità che il comportamento (sia commissivo sia omissivo) delle autorità sovietiche abbia potuto aggravare, per inettitudine degli esecutori od altri fattori, la carestia permangono. Ad esempio, Mark Tauger – uno dei “più grandi conoscitori dei primi anni dello sviluppo agricolo nell'Unione Sovietica” (New Cold War 2015) – ha fatto notare che tra le cause della carestia vi figurano sia “disastri naturali” sia “azioni umane” (Tauger 2001). Tra queste ultime possono essere elencate la resistenza opposta dalla popolazione rurale nonché la velocità con cui la collettivizzazione è stata realizzata in Ucraina (Naumenko, 2016).

Come molta parte della storia dei paesi comunisti, non è ancora stata affrontata con sufficiente distacco. Anzi, il “rigetto” con cui i più antisovietici tra gli storici della corrente ortodossa hanno affrontato l’argomento è nient’altro che la manifestazione di un’animosità mai sopita in virtù della quale gli eventi vengono volutamente distorti e, dunque, ogni conclusione rischia di mancare di obiettività. Tuttavia, una cosa appare chiara: l’idea che essa sia stata una “alternativa economica alla deportazione” (Bruneteau [2004] 2006) non ha il valore di “verità” che si tende ad attribuirle nella storiografia ortodossa.

Aleksandr Kolpakidi conclude che il reale obiettivo degli attuali storici dell’holodomor sia quello di sviare l’attenzione degli ucraini dall’odierno reale “kholodomor” (“morte da freddo”): milioni di cittadini lasciati all’agghiaccio dalla liberalizzazione e decentralizzazione dei servizi municipali essenziali varata dal governo post-Majdan di Poroshenko in ossequio al Washington consensus (Kolpakidi and Prudnikova 2008).La sua strumentalizzazione fa capire quanto, se deformata in mala fede, la storia possa “fare più male che bene” (Rieff 2016). Si tratta dell’ennesimo esempio di uso politico della memoria storica in Europa, un continente oggi nuovamente preda di nazionalismi che si nutrono di tali falsità.

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17/03/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Fabio Telarico

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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