Manuali fascisti - parte I

Pubblichiamo a puntate, a cura dello studioso gramsciano Lelio La Porta, quelle che furono le maggiori censure ed omissioni rispetto a quanto realmente accaduto, direttamente attingendo dall’analisi critica dei testi scolastici del periodo fascista.


Manuali fascisti - parte I

Che durante il fascismo la costruzione del consenso al regime passasse attraverso la costruzione di una “pseudostoria” che rimaneggiasse e fornisse interpretazioni ad hoc dei fatti, è cosa nota. Pubblichiamo a puntate, a cura dello studioso gramsciano Lelio La Porta, quelle che furono le maggiori censure ed omissioni rispetto a quanto realmente accaduto, direttamente attingendo dall’analisi critica dei testi scolastici del periodo fascista.

di Lelio La Porta

PRESENTAZIONE DEI TESTI

I testi di seguito riportati sono tratti da alcuni manuali per le scuole medie superiori del periodo fascista, di cui si fornisce l’elenco in calce a questa Presentazione. Di questi manuali soltanto uno risale al 1959, ma ne è utile la lettura in quanto consente di capire come l’autore, già presente con un manuale durante il ventennio, in realtà modifichi solo apparentemente le sue posizioni.

La scelta dei testi ha seguito un criterio cronologico. Sono stati individuati alcuni temi principali, a cui sono stati progressivamente accostati brani manualistici. Risulta abbastanza agevole un lavoro di comparazione fra i testi proposti dal quale si evince con chiarezza l’univocità del punto di vista, l’analogia delle censure e delle omissioni, la specificità di un potere che ama autodefinirsi totalitario e che propina non verità storiche, ammesso che alla storia questo sia consentito, ma sicuramente una serie notevole di menzogne che hanno quasi sempre al centro il movimento dei lavoratori e le sue organizzazioni; tanto per ricordare con quale scopo nacque e si affermò il fascismo in Italia.

MANUALI UTILIZZATI

P. Silva, Corso di storia ad uso dei licei ed istituti magistrali, Messina, 1940

N. Rodolico,Sommario storico per licei ed istituti magistrali,Firenze, 1937

N. Rodolico, Sommario storico per licei ed istituti magistrali in letture di documenti contemporanei,Firenze, 1959

A. Manaresi,La civiltà contemporanea,Torino, senza data

B. Lizier,Corso di storia per licei ed istituti magistrali,Milano, 1940

L. Simeoni, Corso di storia per licei ed istituti magistrali,Bologna, 1940

A. Bazzola,Roma,Torino, senza data

F. Cognasso,Storia d’Italia per licei ed istituti magistrali, storia contemporanea, Torino, 1935

N. Cortese,Corso di storia per licei ed istituti magistrali, Firenze, 1942

A. Valori – U. Toschi,L’età contemporanea,Torino, 1927

1. LA PACE DI VERSAILLES

Il Silva, a pag. 388, presenta il clima in cui si trovava l’Italia dopo la stipula del Trattato conclusivo la prima guerra mondiale:

Gli agitatori estremisti suggestionavano le masse – le cui condizioni psicologiche erano di per se stesse tese per lo sforzo immane della dura prova sopportata – con sfrenate campagne dirette a negare e a distruggere i valori ideali e politici della guerra e della vittoria, e ad esaltare i miraggi del programma bolscevico. Cominciarono anche a verificarsi tristi episodi di irrisione e di denigrazione dei sacrifici che la guerra aveva implicato, e di negazione dell’ideale di Patria.

L’autore non prende minimamente in considerazione le conseguenze economiche di quella pace, soprattutto a livello di riconversione industriale, con conseguente aumento della disoccupazione, riconducendo lo scontro sociale e politico a motivazioni di spessore unicamente ideologico.

2. L’IMPRESA FIUMANA

Sempre a pag. 388 il Silva fa riferimento all’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio con un gruppo di militari

Particolarmente grave si fece la situazione sotto il Ministero Nitti. L’arrendevolezza di questo Ministero di fronte alle esigenze degli alleati nella questione di Fiume, provocò, come provvidenziale reazione, nel settembre 1919, l’impresa dannunziana (…) che suscitò in tutta Italia uno scatenamento di passioni e di contrasti.

Nell’atmosfera infuocata suscitata da siffatti avvenimenti l’on. Nitti sciolse la Camera e indisse le nuove elezioni, che ebbero luogo il 16 novembre 1919. Il loro esito segnò un inquietante aumento delle forze sovversive: risultarono eletti ben 156 deputati socialisti e comunisti.

Lo scatenamento del più becero nazionalismo diventa una “reazione provvidenziale” alla quale, peraltro, dovette porre riparo, nel 1920, Giolitti che provvide a cacciare D’Annunzio da Fiume (il cosiddetto Natale di sangue: 25-26 dicembre) seguendo lo spirito dell’appena sottoscritto Trattato di Rapallo (12 novembre). Da notare l’atteggiamento assunto da Mussolini in questa vicenda: dapprima sostenitore dell’impresa al punto di dichiarare che il vero governo risiedeva a Fiume e non a Roma, riconobbe alla fine “l’inevitabile logica di Rapallo”.

3. L’OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE

Il Silva, a pag. 390, e il Valori Toschi, a pag. 505, fanno riferimento al grande movimento che si sviluppò fra l’agosto e il settembre del 1920 e vide protagoniste le masse operaie dell’Italia settentrionale, in specie di Torino.

Le masse operaie dei grandi centri industriali dell’Italia settentrionale e centrale, suggestionate dalle dottrine di Mosca, predicanti la capacità della classe lavoratrice a organizzare e a sviluppare da sola, e a solo suo vantaggio, la produzione, senza l’intervento e la guida della borghesia capitalista, vollero prendere possesso delle fabbriche, e farle funzionare direttamente.

Il tentativo coincise col momento (…) in cui le armate bolsceviche muovendo su Varsavia tendevano ad aprirsi le vie per dilagare nell’Europa centrale e occidentale.

Fu il momento di massimo pericolo di bolscevizzazione dell’Europa. […]

Il sovversivismo volle dare la misura della propria potenza nel settembre del 1920 con “l’occupazione delle fabbriche” da parte dei lavoratori. Questi, a un segnale convenuto, profittando dell’inerzia del Governo e perciò dell’assenza della forza pubblica, si insediarono da padroni nelle grandi e piccole industrie siderurgiche, meccaniche, tessili, chimiche, insomma in tutte le aziende nelle quali si svolgeva la più importante e delicata funzione dell’industria italiana, creata in condizioni difficili e con incomparabile genialità e tenacia da più generazioni di industriali.

L’occupazione delle fabbriche viene inserita fra le suggestioni moscovite, dimenticando che si trattò di vera esperienza italiana con la creazione dei primi Consigli di fabbrica i quali (basterebbe leggere qualche pagina del Gramsci ordinovista) rappresentavano qualcosa di originale rispetto agli stessi Soviet. Va sottolineata la comparsa del termine “bolscevizzazione” che, non solo per il Silva, diventa il cardine intorno al quale ruota tutto il discorso di giustificazione dell’avvento al potere del fascismo. Le armate bolsceviche mossero verso Varsavia per difendersi dall’attacco polacco che aveva come fine l’annessione dell’Ucraina alla Polonia; e se anche la Polonia avrebbe potuto essere utilizzata come ponte per l’esportazione della rivoluzione in Europa, la sconfitta sovietica fece tramontare questo possibile obiettivo consegnando, inoltre, alla Polonia vaste regioni abitate da bielorussi e da ucraini. Ovviamente, di tutto questo, Silva registra con soddisfazione, nelle pagine seguenti del suo manuale, soltanto la sconfitta dell’esercito sovietico e la sconfitta dell’occupazione delle fabbriche.

Il passo dal Valori-Toschi mette ben in evidenza il fatto che un’industria è soltanto il frutto dell’opera geniale e tenace del suo creatore e non anche il risultato di generazioni di operai e di lavoratori che ad essa prestano la loro forza-lavoro ricevendone in cambio sfruttamento ed alienazione. Per dirla con maggior chiarezza storica, ben lungi dai toni propagandistici degli autori dei manuali, l’occupazione delle fabbriche fu la conseguenza dell’intransigenza degli industriali metalmeccanici che rifiutarono aumenti salariali e miglioramenti normativi per i lavoratori come richiesto dalla FIOM nel maggio del 1920. All’ostruzionismo sindacale (applicazione letterale della normativa vigente per rallentare la produzione) i padroni risposero con la serrata; qui scattò l’occupazione delle fabbriche che interessò quasi mezzo milione di lavoratori.

4. LA GENESI REMOTA DEL FASCISMO

Alle pagg. 392-393 del suo manuale il Silva avanza l’ipotesi, invero originale per i tempi, di un’origine del fascismo risalente al dibattito tutto italiano fra interventisti e neutralisti.

La genesi del movimento fascista in quanto movimento contro le degenerazioni parlamentaristiche e per l’ascesa vittoriosa del popolo italiano, si ha nel maggio 1915 e nelle lotte per l’intervento quando la forza sana e travolgente del popolo riuscì a piegare le tendenze e le manovre neutraliste della maggioranza parlamentare, e a far trionfare la corrente che voleva la guerra. Perciò il Fascismo può ben definirsi figlio delle lotte per l’intervento.

Le origini del Fascismo si connettono perciò alle lotte per l’intervento, e si connettono anche alle altre prove, che insieme con l’intervento, furono le prove più grandi e più aspre affrontate dall’Italia dopo la sua ricostituzione unitaria: la tenacia e la resistenza nei tre anni e mezzo di durissima lotta; e la vittoria.

Durante siffatte prove, il movimento fascista non era ancora delineato nelle formule di un programma e nella fisionomia di un partito; ma già si era potentemente affermato nella politica italiana, ed aveva assunto una posizione di primissima linea, l’uomo che doveva guidare e impersonare il movimento e fondare il partito e portarlo al potere: Benito Mussolini, il Duce.

Ha ragione il Silva che, però, dimentica qualche particolare. Il voto con cui la Camera, il 20 maggio 1915, accordò al governo i poteri straordinari per la guerra non fu il frutto di lotte che videro coinvolto chi sa chi; fu un colpo di Stato (la maggioranza dei deputati era contraria all’intervento in guerra) architettato da Salandra, con il consenso del Re, sfruttando le manifestazioni di piazza cui aveva dato inizio D’Annunzio il 5 di maggio. Mussolini, già dal dicembre del 1914, partecipava all’attività dei Fasci d’azione rivoluzionaria che, pur repubblicani all’origine, appoggiarono il principio della “guerra regia” lavorando, di fatto, al fianco di Salandra e delle forze interventiste e golpiste.

5. 21 GENNAIO 1921: VIENE FONDATO IL PCDI

Non si hanno notizie dell’evento in nessuno dei manuali.

6. LA NASCITA DEI SINDACATI FASCISTI

Se non dice nulla sulla nascita del PcdI, in compenso il Silva, a pag. 395, si sofferma sulla creazione dei sindacati fascisti.

Ma intanto il Fascismo organizzava anche, accanto al movimento politico, un movimento sindacale, diretto a raggruppare e inquadrare le masse lavoratrici in organismi che alla sacrosanta tutela dei diritti al lavoro, associavano il culto della Patria; e nella loro dottrina respingevano e combattevano il concetto della lotta di classe, base della dottrina socialista, sostituendolo col concetto tanto più sano e fecondo, della collaborazione di classe. I Sindacati fascisti erano già floridi nella primavera del 1921; il che dimostrava come fosse possibile, con un’azione energica e provvida, ricondurre a una sana visione e comprensione della realtà, le masse lavoratrici fuorviate dai miraggi del bolscevismo.

Non ci sarebbe nulla da aggiungere se non fosse necessario far notare che i riferimenti al culto della Patria e alla scomparsa della lotta di classe volevano dire asservimento alle direttive del partito e subordinazione dell’interesse individuale all’interesse superiore della nazione. Non sappiamo cosa l’autore voglia intendere con floridezza di sindacati fascisti “nella primavera del 1921” visto e considerato che la Confederazione nazionale dei sindacati fascisti fu fondata a Bologna il 24-25 gennaio 1922 e primo segretario generale fu Edmondo Rossoni.

25/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Lelio La Porta

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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