Marx e i risvolti di classe dei diritti umani

La libertà a fondamento del #diritto dell’uomo è effettuale solo in quanto si coniuga alla proprietà


Marx e i risvolti di classe dei diritti umani

La proprietà privata borghese, denuncia Karl Marx, è in origine il prodotto necessario dell’alienazione dell’attività sociale ridotta a lavoro salariato, è “il capitale, cioè la proprietà privata dei prodotti del lavoro altrui” [1], ne diviene poi la causa in un rapporto d’azione reciproca. Il diritto dei proprietari monopolistici dei mezzi di produzione industriali e dei terreni è egualmente frutto legale della rapina ai danni del lavoro salariato. Entrambi amano raccogliere dove non hanno seminato e i proprietari fondiari arrivano a pretendere “una rendita pure per il prodotto naturale del suolo” [2]. Ciò fa sì che non solo nei differenti diritti positivi i diritti dei proprietari abbiano la preminenza su ogni forma di diritto sociale, ma che gli altri tre diritti “naturali e imprescrittibili” dell’uomo menzionati nell’articolo 2 della Dichiarazione, siano sovradeterminati dalla proprietà privata [3]. La libertà, che nelle intenzioni dei teorici dei diritti dell’uomo doveva costituire il fondamento di tale edificio, diviene la libertà solo negativa “di fare tutto ciò che non nuoce agli altri”. La sicurezza della propria persona e dei propri beni privati [4] diviene il fine ultimo della comunità, ponendo al suo servizio o, quantomeno sotto il suo controllo, i diritti di cittadinanza. Lo stesso decisivo diritto alla resistenza all’oppressione è declinato come subordinato alla comunità, come diritto di resistenza dell’uomo, ovvero del borghese, di fronte ad ogni tentativo della comunità di limitare il suo patrimonio privato, se non in casi eccezionali, giustificabili sulla base di una più efficace salvaguardia della proprietà privata in generale [5]. La libertà a fondamento del diritto dell’uomo è effettuale solo in quanto si coniuga alla proprietà, per tale motivo nello stesso linguaggio che li enuncia i diritti dell’uomo in quanto tale si definiscono quali diritti del bourgeois [6]. Nella sua gestazione rivoluzionaria anche lo stato politico si presenta ai suoi fautori nella veste dell’emancipazione umana, ma essa non può realizzarsi in quanto non è in grado di togliere e riorganizzare le differenze degli assetti proprietari della società in funzione sociale. La sua negazione degli assetti proprietari contrastanti con le esigenze della comunità è astratta e contingente come il suo strumento, il terrore [7]. L’individuo non è più inserito dalla nascita nelle gabbie gerarchiche delle corporazioni politico-sociali medievali [8], ha conquistato almeno nel concetto, tendenzialmente, l’eguaglianza giuridica, ma la sua liberazione è una mera parvenza. Come denuncia Marx: “la società feudale fu risolta nel suo fondamento, nell’uomo. Ma nell’uomo che realmente costituiva il suo fondamento, nell’uomo egoista. Quest’uomo […] è ora la base, il presupposto dello Stato politico. Come tale è da esso riconosciuto nei diritti dell’uomo” [9]. Il presunto individuo pre-sociale, la persona, viene assunto quale cellula della sovrastruttura giuridica che si sviluppa su tale rappresentazione [10]. La vita sociale borghese è liberata dai vincoli feudali in un duplice significato: è più indipendente, ma è deprivata d’ogni elemento sostanziale e ridotta a lotta per la sopravvivenza, in quanto è spezzato ogni legame politico e gli individui sono contrapposti. Così, come non manca di far notare Marx, il pieno affermarsi della società civile, liberata da vincoli politici, “rende esteriori all’uomo tutti i rapporti nazionali, naturali, etici, teoretici” [11]. Al dominio politico sulla società civile del mondo antico si passa, mediante il fissarsi delle differenze politiche in differenze sociali giuridicamente determinate, alla totale liberazione degli spiriti animali della società civile [12]. Vengono meno tanto la giustificazione del lavoro coatto sulla base della disuguaglianza naturale fra gli uomini, quanto una società organica che vincola gli individui alle loro libertà-privilegi di ceto. Ogni vincolo sociale viene meno, si afferma il diritto dell’individuo all’autodeterminazione nel momento stesso che lo si priva dei nessi che lo legavano agli altri, alla comunità sociale [13]. In tal caso, posizione dominante assume il diritto formale cui sono necessariamente subordinate l’eticità e le differenze sociali. La positività della norma giuridica sancisce la compiuta separazione fra sfera del diritto e sfera della morale e dell’etica, impensabile per una società precapitalistica [14]. Base del diritto dell’uomo è l’eguaglianza giuridica della molteplice differenza sociale degli individui [15]. Pur pretendendo, sulla scorta di Locke e Voltaire, di salvare l’universalità dello stato politico confinando le differenze, il particolarismo egoista nella società civile, i legislatori rivoluzionari assegnando alla comunità il compito di salvaguardare gli assetti proprietari esistenti, finivano per sottomettere l’identità e l’universalità civile alla differenza meramente storica della società economica [16].

 

Note:

[1] Marx, Karl, Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Norberto Bobbio, Giulio Einaudi editore, Torino 1968,

  1. 29.

[2] Ivi, p. 50.

[3] I “quattro diritti naturali e imprescrittibili”, menzionati nell’articolo 2, sono “la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”.

[4] In realtà, come fa notare acutamente Marx, ogni volta che i diritti della persona entrano in contraddizione con la piena espansione della proprietà privata sono negati. A tal proposito, fra i tanti esempi richiamati da Marx, ci limitiamo qui a riportarne uno particolarmente pregnante: “il seguente bollettino dei feriti e dei morti nel distretto di Corner nella campagna industriale di questo semestre offrirà senza dubbio un curioso tema di riflessione agli studiosi di scienza militare che constateranno come il regolare tributo di membra umane, mani, braccia, ossa, piedi, teste e facce che viene pagato all’industria moderna superi in quantità quello di molte battaglie reputate fra le più micidiali”. Marx, K. - Engels, Friedrich, Opere complete agosto 1858 – febbraio 1860, tr. it. L. Formigari, vol. XVI, Editori Riuniti, Roma 1983, p. 197.

[5] Anche riguardo alla figura del citoyen, ha messo in evidenza Ernst Bloch: “quella che si servì della sua immagine, illusiva eppure, ancor più, anticipativa, fu la stessa tendenza economico-sociale che poi produsse il bourgeois liberato. Anche nel configurare l’immagine del citoyen, almeno nella sua cornice essenziale ebbe necessariamente parte del pari ciò che costituiva l’essenza, pur altrimenti incomparabile e foscamente progressista, del bourgeois, cioè la mera libertà del guadagno. Infatti, già nel 1791, allorché venivano proclamati, e ancora con fede, i Diritti dell’uomo, gli allora immaturi sogni di maggio contenevano già qualcosa di quel borghese, che poi sarebbe maturato così prepotentemente. Ed è chiaro, poiché allora all’ordine del giorno dell’economia c’era il borghese, come egoistica forza propulsiva della produzione industriale, e non ancora il citoyen, con le sue effettive libertà, eguaglianza, fraternità. Pertanto la proprietà privata è uno dei contenuti essenziali dei quattro diritti dell’uomo del 1791: la propriété sorregge la sureté, la resistance” Ernst Bloch, Karl Marx [1968], trad. it. di L. Tosti, Il mulino, Bologna 1973, pp.73-4.

[6] Come ha osservato a ragione a tal proposito Bernard Bourgeois: “la società civile non può liberarsi nei diritti umani, pure consacrazioni ideali-formali della proprietà, che in quanto la detiene già realmente, cioè è socialmente soddisfatta: ora, la parte soddisfatta della società civile borghese, quella che ha potenza in essa e gli dà il suo nome, è la borghesia. I diritti dell’uomo sono i diritti del borghese” Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l’homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 109.

[7] A tal proposito, occorre ricordare, come fa meritoriamente Eustache Kouvélakis, che “gli obiettivi dei dirigenti giacobini andavano precisamente oltre l’astrazione e l’uguaglianza semplicemente giuridica, e perciò si sono urtati, in maniera esacerbata, contro i limiti di una politica tagliata fuori dalle loro condizioni e che mobilitava tutte le proprie energie per tentare di agire su di esse da una posizione di irriducibile esteriorità” Kouvélakis, Eustache, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, p. 69.

[8] Come osserva con la consueta acutezza Marx: “l’emancipazione politica è al tempo stesso la dissoluzione della vecchia società. La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile. Quale era il carattere della vecchia società? La feudalità. La vecchia società civile aveva immediatamente un carattere politico ossia gli elementi della vita borghese, come per esempio la proprietà, famiglia o il tipo di lavoro erano, nella forma della signoria fondiaria, del ceto e della corporazione, innalzati a elementi della vita statale. In tale forma essi determinavano il rapporto del singolo individuo verso la totalità dello Stato, vale a dire il suo rapporto politico, cioè il suo rapporto di separazione ed esclusione dalle altre parti costitutive della società civile. Quell’organizzazione della vita del popolo, infatti, non elevava il possesso e il lavoro ad elementi sociali, ma piuttosto portava a compimento la separazione dalla totalità statale e li costituiva (possesso e lavoro) in società particolari all’interno della società” Bauer, Bruno, Marx, Karl, La questione ebraica, tr. it. di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, p. 197. Partecipazione alla comunità politica e alla formazione della volontà generale sono prodotto della conseguita emancipazione politica dell’uomo dalla gabbia gerarchica in cui era costretto nel feudalesimo. I diritti dell’uomo in senso stretto sono tutte quelle libertà, garantite dalla legge, che attengono alla vita dell’individuo come privato. L’uomo della società civile riconosce l’altra autocoscienza solo quale limite alla propria libertà.

[9] Ivi, p. 198.

[10] Come non manca di sottolineare a tal riguardo Umberto Cerroni: “nella tradizione filosofica moderna i diritti dell’uomo nascono come attributi dell’individuo separato dalla società, dell’individuo indipendente, isolato, presociale. E quella attribuzione connota il potenziamento a valore di tale individuo originario facendone – nel suo modello più classico e completo – la persona, un centro etico-giuridico primario portatore di valori autonomi destinati a modellare la vita di relazione” Cerroni, Umberto, Marx e il diritto moderno, Ed. Riuniti, Roma 1972, p. 238.

[11] Bauer, B,, Marx, K., La questione ebraica, op. cit., p. 205.

[12] Come ricorda Cerroni: “se, per riprendere la citata espressione di Marx, nella comunità greca la società civile era schiava della società politica, nel mondo feudale la società civile fissa immediatamente le sue forme come forme politiche e etiche e dunque rinchiude le sue articolazioni in vincoli esteriori (giuridici e religiosi); differenzia politicamente e anche sul piano dei valori le varie sfere che la costituiscono” Cerroni, U., Marx e il diritto…, op. cit., p. 233.

[13] Ancora Cerroni ricostruisce in modo molto preciso tale passaggio storico-filosofico: “sotto il primo profilo, quello critico-polemico, tutta la tradizione giusnaturalista converge verso la eliminazione dei nessi che vincolano l’individuo all’altro individuo e in genere al gruppo sociale. Trattasi di una battaglia teorica che – ai vari livelli della problematica moderna – ha per bersaglio essenzialmente la disuguaglianza naturale degli uomini e, quindi, la giustificazione aristotelica della schiavitù, la diretta vincolazione degli individui alle classi medievali dal momento della nascita, la concezione organicista della società: tutte, insomma, le determinazioni naturalistiche che ancora incapsulano l’individuo in una sfera o in un vincolo sociale predeterminato e sottratto alla sua determinazione, alla libera scelta” Ivi, pp. 238-39.

[14] Del resto, fa notare Cerroni: già “Kant completa la separazione teorica del diritto dalla morale postulando la positività della norma giuridica (e quindi la essenzialità della esteriorità del rapporto giuridico e la coercibilità della obbligazione giuridica)” Ivi, p. 264.

[15] “Dunque, la consacrazione, mediante lo Stato, dell’agire di individui, che ignorano, come statuale, la loro particolarità, per non vedervi che dei puri cittadini uguali, si esprime mediante dei diritti, i diritti dell’uomo che fondano lo Stato come Stato legale: l’Io elevato a legge” Bourgeois, B., Philosophie et droits …, op. cit., p. 107.

[16] Come chiarisce Stefano Garroni “l’ambiguità della tesi – presentissima sia in Locke che in Voltaire – consiste in questo: se da un lato, confinare le «differenze» sul piano della società civile significa svalutare quest’ultima rispetto allo Stato; dall’altro, collocandosi l’interesse economico sul piano della società civile ed essendo assegnato allo Stato il compito di difendere la proprietà privata, si scopre che, in realtà, proprio lo Stato (cioè il momento dell’uguaglianza o dell’universalità) è subordinato al momento egoistico della «differenza»” Garroni, Stefano, Dialettica e differenza, Napoli, Città del Sole, 1997, p. 75.

28/10/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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