Marx e il rapporto fra Stato e società civile

Lo #Stato è il prodotto dell’organizzazione #sociale, mutando i rapporti di forza al suo interno cambia di conseguenza la forma statuale.


Marx e il rapporto fra Stato e società civile

A parere di Karl Marx, la volontà dominante che si manifesta come Stato è il prodotto dell’organizzazione sociale; come osserva Marx: “il carattere sociale è il carattere universale di tutto il movimento: come la società stessa produce l’uomo in quanto uomo, così l’uomo produce la società” [1]. Dunque, mutando i rapporti di forza all’interno dell’organizzazione sociale cambia di conseguenza la forma statuale che la rappresenta [2]. “Non si dirà dunque – sostengono Marx ed Engels – che lo Stato esiste in virtù della volontà dominante, ma che lo Stato sorto dal modo di esistenza materiale degli individui ha anche la forma di una volontà dominante. Se quest’ultima cessa di dominare, non è mutata soltanto la volontà, bensì anche l’esistenza e la vita materiale degli individui, e solo per questo è mutata la loro volontà” [3]. La nuova forma statuale, prodotto della rivoluzione politica (borghese), ha dunque la sua base reale “nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di «società civile»” [4].

Marx rimprovera a Bruno Bauer di non essersi emancipato dalla concezione giusnaturalista, di legittimare il dualismo del mondo borghese che contrappone l’universale statuale all’individualismo sociale. Presupponendo l’uomo quale individuo privato, l’antropologia giovane-hegeliana per superarne gli scopi meramente particolari deve porre per sé la sfera dello Stato, contrapponendola astrattamente alla vita reale. In ciò non si elevano al di là del punto di vista dell’economia politica borghese: “la divisione del lavoro e lo scambio sono i due fenomeni, in base ai quali l’economista vanta il carattere sociale della propria scienza e nello stesso istante manifesta inconsapevolmente la contraddizione in cui questa scienza si avviluppa, consistente nel fondare la società su interessi particolari che non hanno nulla di sociale” [5].

D’altra parte per Marx è la realtà della società civile a porre l’ideale dello Stato, mentre in Hegel: “ciò ch’è reale diventa fenomeno, ma l’idea non ha per contenuto altro che questo fenomeno” [6]. Dunque, se Marx come Hegel mira al concreto, al reale che è razionale, tuttavia critica nella concezione hegeliana del diritto pubblico l’ipertrofia del dover essere logico che cerca di preservare la società capitalistica dalle sue contraddizioni, non potendone comprendere il superamento e crede di poter razionalizzare il reale recuperando elementi precapitalistici propri dell’ordinamento prussiano, ovvero dell’esistente. Come osserva Marx: “egli tien fermo alla sola categoria e si contenta di trovarle un’esistenza corrispondente. Hegel dà alla sua logica un corpo politico: non dà la logica del corpo politico” [7]. In tal modo non coglie la razionalità profonda del reale, le sue linee di sviluppo mediante le contraddizioni, ma lo riduce a un concetto idealistico. Così, secondo la critica del giovane Marx, Hegel “non sviluppa il suo pensiero secondo l’oggetto, bensì sviluppa l’oggetto secondo un pensiero in sé predisposto, e ch’è stato predisposto nell’astratta sfera della logica” [8]. 

Da parte sua, Bauer, esponente di spicco della scuola hegeliana, riconosce la società borghese come necessaria nel suo contrapporsi allo Stato politico, in quanto considera altrettanto necessario lo Stato politico [9]. In altri termini Il particolarismo della società civile è giustificato dall’opposizione al suo altro, lo Stato politico. Si tratta, dunque, della totalità formale d’una sfera politica che pretende d’astrarre dalla sociale, e non della razionalità effettuale della concezione hegeliana dello stato moderno. È il dualismo tipico della logica della riflessione che è risolto da Marx nella critica alla logica dell’essenza. Marx utilizza contro questa concezione idealistica molti elementi della critica hegeliana al formalismo della filosofia pratica kantiana.

Peraltro, come è stato a ragione fatto notare, Marx dimostrerà “che malgrado la frattura con l’Ancien Régime, lo Stato moderno conserva qualcosa della trascendenza di quello, sia pure in una forma secolarizzata. Dimostrerà anche che tale trascendenza si esprime in un universalismo giuridico che è un universalismo astratto e tronco, cieco ai propri presupposti e impotente a risolvere le questioni che esso stesso pone” [10].

D’altra parte, come denuncia Marx: “il compimento dell’idealismo dello Stato fu contemporaneamente il compimento del materialismo della società civile” [11]. In tal modo il razionale hegeliano è descrittivo dell’esistente, ovvero dell’apparente domino della sfera statuale sul particolarismo della società civile, ma non è utile alla sua razionalizzazione, alla sua trasformazione in quanto riproduce l’apparente senza coglierne l’essenza, in quanto non porta la contraddizione al fondamento per scioglierla, ma la fissa in un’astratta opposizione e in una fittizia unità. Marx pare riprendere la critica di Hegel a Kant per rivolgerla contro il suo ideatore. L’universale, il razionale hegeliano sarebbe astratto, formale, come la cittadinanza, l’eguaglianza politico-costituzionale che però sancisce la disuguaglianza della società civile, dunque, Hegel scambierebbe per reale, quindi razionale, l’esistente rapporto di signoria e servitù sociale che ipostatizza quale realizzazione del concetto di Stato. In tal modo, il particolarismo è universalizzato, per cui la presunta razionalità dello Stato non è che l’idealizzazione di quest’ultimo. 

Tanto più che, come osserva il giovane Marx, “questo rovesciamento del soggettivo nell'obbiettivo e dell’obbiettivo nel soggettivo (rovesciamento che proviene da ciò, che Hegel vuol scrivere la storia dell’astratta sostanza, dell’idea, e che l’umana attività deve dunque apparire come attività e risultato di qualcosa d’altro, e che Hegel vuol fare agire come un’immaginaria individualità l’essere dell’uomo per sé, invece di lasciarlo agire nella sua reale, umana esistenza) ha necessariamente il risultato che acriticamente viene assunta un’empirica esistenza come la reale verità dell’idea; ché non si tratta di addurre la verità ad una empirica esistenza, onde l’esistenza empirica la più immediata è dedotta come un reale momento dell’idea” [12].

Peraltro, a parere di Marx, la forma più complessa e astratta, lo Stato, non è posta da Hegel a partire dalla sua base reale: famiglia e società civile, al contrario pare essere lo Stato a realizzarsi nella famiglia e nella burgerlische Gesellschaft, che sono posti quali meri momenti. A parere di Marx nella concezione hegeliana il concetto invece di essere predicato d’un soggetto reale si pone quale soggetto, di cui gli uomini reali appaiono meri predicati. Non i soggetti reali determinano il concetto, ma ne sono determinati. Tale dovrebbe essere, quanto meno nella Critica alla filosofia del diritto pubblico, la base del rovesciamento materialistico della dialettica idealistica hegeliana. Il giovane Marx, tuttavia, non pare tenere ancora nel dovuto conto che la genesi storica non corrisponde necessariamente all’esposizione logica, dal momento che solo la struttura storicamente posteriore, la più complessa, lo Stato moderno permette di dar conto delle precedenti. Solo la totalità permette di comprendere il particolare, la forma pienamente evoluta le precedenti che pone quali propri momenti. Come osserverà Marx stesso, nell’Introduzione a per la Critica dell’economia politica del 1857, è l’antropologia dell’uomo che permette di comprendere quella della scimmia e non viceversa.

L’opposizione di un finito particolare della società civile al presunto universale assoluto dello Stato idealizzato, non può che rendere finito anche quest’ultimo; si tratta, evidentemente, d’una cattiva infinità. Da una posizione democratico-radicale, il giovane Marx ritiene che nel sistema borghese lo Stato sia un che di particolare contrapposto alla società, una totalità dell’intelletto che solo apparentemente unifica le differenze della società civile, ma ne è in definitiva sovradeterminata in quanto è esso stessa una differenza. A parere del giovane Marx, solo nella repubblica democratica reale, non più formale quale la borghese, tale dualismo sarà tolto, lo Stato sarà superato in quanto contrapposto alla società civile, alla sfera della particolarità e si porrà quale totalità organica che ricomprende in sé la differenza. 

Al contrario, nello Stato esistente borghese criticato da Marx, l’identità astratta della comunità politica, pretendendo di prescindere dalle differenze, ne è dominata. Ponendole quali esteriori non fa che eguagliarle quali differenze indifferenti, riconosciute nell’universale della comunità solo in quanto private. Come è stato, a ragione, osservato: “non v’è dunque vera razionalizzazione, ma soltanto sanzione e valorizzazione della eterogeneità dei privati: la loro omogeneità sta appunto – nella comunità – nell’essere tutti egualmente considerati come privati autonomi” [13].

Lo Stato borghese non supera veramente le differenze esistenti nella società civile in quanto si limita a identificarle nella sua universalità lasciandole sussistere quali indifferenti, accidenti costitutivi del particolare, del suo statuto privato. Allo stesso modo l’identità posta da Hegel “di società civile e Stato è – a parere di Marx – l’identità di due armate nemiche, in cui ogni soldato ha la «possibilità» di diventare, per «diserzione» membro dell’armata «nemica»”. D’altra parte, Marx riconosce che in tal modo Hegel certamente “descrive con esattezza la situazione empirica odierna” [14].

 

Note:

[1] Marx, Karl, Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Norberto Bobbio, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, p. 113.

[2] Peraltro, secondo Marx, lo stesso “linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini” Marx K., Engels, Friedrich, L’ideologia tedesca, tr. it di Codino, F., Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 20-1.

[3] Ivi, p. 314.

[4] Marx K., Per la critica dell'economia politica [1859], Editori Riuniti, Roma, 19693, p. 4.

[5] Id., Manoscritti…, op. cit., pp. 149-50.

[6] Id., Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti. Roma 1971, p. 8.

[7] Ivi: p. 24.

[8] Ivi: p. 8. Tuttavia la logica hegeliana non è campata in aria, ma deriva dalla Fenomenologia.

[9] Cfr. Bauer, Bruno, Marx K., La questione ebraica, tr. it. di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, p. 185.

[10] Eustache Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, pp. 63-4.

[11 Cfr. Bauer B., Marx K., La questione…, op. cit., pp. 197-198.

[12] Marx K., Critica della filosofia…, op. cit., p. 17.

[13] Cerroni, Umberto, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 258.

[14] Marx K., Critica della filosofia…, op. cit., p. 26.

18/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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