Da dove nasce la debolezza del movimento contro la guerra

A distanza di vent’anni dalle oceaniche manifestazioni contro la guerra, il fronte pacifista odierno si presenta debole e frammentato.


Da dove nasce la debolezza del movimento contro la guerra

Una fastidiosa sensazione accompagna la critica della guerra specie se continueremo a utilizzare, in termini peraltro generici, categorie quali transizione, globalizzazione, riconversione ecologica che a torto riteniamo essere onnicomprensive.

Quando poi si analizzano le tesi dei comitati contro la guerra, è difficile reperire qualche analisi economica, per esempio sui flussi di capitale e sulla loro composizione. Non si capisce, per dirne una, che dal 2014 a oggi la Russia ha accumulato riserve ingenti mettendole al riparo dal sequestro USA. Insomma se vuoi fare una guerra devi accumulare negli anni precedenti oro, valuta (euro, yuan) per sostenerla. Altrettanto vero il fatto che la guerra in corso sia stata accelerata dall’accerchiamento progressivo della NATO alla Russia, il che non significa attenuare la critica al putinismo. Una lettura critica del presente dovrà sempre partire dalle ragioni economiche e non da pur giusti principi etici e morali.

Men che mai vengono analizzati i flussi economici e commerciali dei paesi in guerra. Se lo facessimo capiremmo che la perdita da parte della Russia del partner commerciale europeo è stata subito rimpiazzata con i corridoi energetici destinati ad altre nazioni. Ma sulla stampa occidentale leggeremo ben altro, ossia notizie sulle precarie condizioni di salute di Putin per dipingere la Russia come un paese al collasso.

Al contempo, in Occidente, ogni critica alla militarizzazione diventa generica. Si condanna, a ragione, l’aumento delle spese militari, ma senza spendere una parola sulla Bussola Europea e sui disegni strategici della UE; si contesta la presenza di militari nelle scuole, ma difficilmente troveremo studenti disposti a denunciare il finanziamento di corsi di laurea delle grandi aziende belliche o l’utilizzo di tecnologie militari anche in ambito civile.

E solo in rari casi leggeremo una critica alla militarizzazione dei paesi europei attorno alle basi militari USA e NATO da tempo soggette ad ampliamenti e ristrutturazioni. Se la critica alla NATO è sempre più flebile nelle odierne aree pacifiste o se si ignora la Bussola Europea, qualche domanda dovremo pur porcela.

Il debole pacifismo italiano ha ereditato innumerevoli vizi, teorici e analitici e politici, molte analisi sono ferme, quando va bene, ai primi anni del secolo se non diventano preponderanti critiche ideologiche o etiche alla guerra che di questi tempi sono ben accette, ma tanto deboli quanto poco incisive. Nella maggioranza dei casi ci imbatteremo in letture parziali che eviteranno di fare i conti tanto con le ragioni economiche dei conflitti quanto con il ruolo delle alleanze militari.

Il grande rimosso del pacifismo, anche quello più radicale e antagonista, è legato al ruolo della NATO, della UE e ai processi economici che stanno dietro ai conflitti.

Comprendiamo sia faticoso un percorso analitico del genere che andrebbe a infrangere alcune vecchie e comode letture o perfino la narrazione secondo la quale interi territori siano pronti a opporsi con ogni mezzo necessario alla costruzione di qualche base militare, salvo poi scoprire che la popolazione locale scende a patti con il militarismo in cambio di progetti di rigenerazione urbana e di contropartite economiche di altro genere.

E le merci di scambio sono prassi quotidiana di partiti, amministrazioni e sindacati.

Il nostro scetticismo si rafforza ulteriormente se pensiamo alla incapacità di leggere la guerra dentro un contesto imperialista.

La definizione originaria di imperialismo si basa sui flussi di capitali, ci sono paesi che aspirano a diventare potenze imperiali ma altre (gli USA) che lo sono veramente ed esercitano il loro potere militare, economico e finanziario. Alcuni economisti, mai tradotti in lingua italiana peraltro, parlano di subimperialismi quando invece in casa nostra si continua a pensare a più imperialismi in competizione tra loro o alla teoria dell’imperialismo unitario

La guerra tra capitali per l’egemonia è cosa ben diversa dalla natura imperialista di un paese, ma tanta confusione, culturale e non, è frutto di una visione astratta che ha portato interi settori comunisti a parteggiare per decenni ora per l’URSS ora per la Cina, con un approccio alle problematiche internazionali non analitico ma da tifosi di calcio.

Chi scrive non ha certo la verità in tasca e ricette da vendere, o meglio da propinare. Pensiamo che la debolezza odierna dei movimenti contro la guerra dipenda dalla sostanziale subalternità del movimento operaio nei vari paesi occidentali. E per movimento operaio intendiamo la classe lavoratrice nel suo complesso...

Siamo anche convinti che la sconfitta politica del movimento operaio e di quello comunista abbiano determinato la crisi stessa dei movimenti contro la guerra con l’avvento di un rinnovato sciovinismo pseudoumanitario che ha posizionato il mondo del lavoro e le sue rappresentanze sindacali a favore dei conflitti o nel ruolo di passivo spettatore incapace di comprendere come le guerre abbiano ripercussioni immediate sulle condizioni materiali di vita di quello che un tempo definivamo proletariato.

In tempi lontani i comunisti si divisero dai socialisti anche per il sostegno accordato da questi ultimi a qualche stato nazionale e alle sue mire imperialiste.

Il movimento contro la guerra non potrà acquisire forza senza fare i conti con le conseguenze economiche dei conflitti e delle politiche imperialiste sui salari e sulle condizioni di vita delle classi subalterne.

Il no alla guerra oggi è assai più debole di quanto fosse 15 o 20 anni fa. La crisi profonda del pacifismo è figlia stessa di una crisi politica complessiva. Se così non fosse oggi milioni di italiani scenderebbero in piazza a difendere i loro salari chiedendo un abbassamento dell’età pensionabile che continua a crescere nonostante l’aspettativa di vita sia in fase regressiva.

Prendiamo per esempio il governo Meloni e gli accordi stipulati con Algeria e Libia. Avete ascoltato qualche annotazione sensata su queste due missioni politiche nei due paesi? Al massimo avremo letto una critica, doverosa, ai lager per migranti in Libia, ma non una valutazione seria sulla guerra NATO che ha portato alla devastazione di quel paese oggi frammentato e diviso da guerre intestine alimentate da vari paesi (Francia, USA, Russia e Turchia). A nessuno è venuto in mente di contestare la legittimità del governo libico nominato nel 2021 a Ginevra da un Forum di 73 “rappresentanti” scelti e diretti dalla rappresentante ONU Stephanie Williams, funzionaria del Dipartimento di Stato USA, quello stesso governo oggi alleato commerciale dell'Italia. E non abbiamo mai letto in un comunicato pacifista che tra i motivi reali della caduta di Gheddafi c’era la necessità degli USA e della UE di impedire il sorgere di una moneta africana alternativa a dollaro, all’euro e al franco in uso nelle ex colonie francesi e di impedire anche la costituzione di una banca per lo sviluppo dell’Africa, i cui fondi sono stati depredati dall’Occidente.

Siano sufficienti questi elementi non per una critica senza costrutto da rivolgere al pacifismo italiano, ma per stimolarne un salto di qualità. E in questa ottica ogni comunista di buon senso dovrebbe muoversi senza anatemi ma con l’invito al confronto sulla natura delle guerre, sulle loro cause economiche e sulle ripercussioni delle politiche intraprese ai danni del potere di acquisto dei salari.

Sarebbe un primo e importante passo in avanti verso la comprensione dell’esistente e anche un fattivo contributo alla rinascita dei movimenti contro la guerra.

 

Riferimenti:

SUBIMPERIALISMO Y DEPENDENCIA EN LA ERA NEOLIBERAL (redalyc.org)

Caffè&Cornetto – "La Guerra Capitalista" - Gemini Network

Nuovo accordo tra Italia e Libia...... Cosa si cela dietro le visite del Governo italiano in Algeria e Libia (delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com)

11/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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