Vaccinazione e vaccini: dov’è il problema?

La confusione tra il principio scientifico (vaccinazione) e la sua realizzazione (vaccini) porta a trasferire la (sacrosanta) difesa del primo nei secondi e la critica (altrettanto sacrosanta) dei secondi nel primo, a danno di tutti.


Vaccinazione e vaccini: dov’è il problema? Credits: vacciniinforma.it

C'è una legge dello Stato e i presidi hanno l'obbligo di farla rispettare”. Così si è espressa Licia Cianfriglia, responsabile delle relazioni istituzionali dell'Associazione nazionale presidi. “I genitori - continua - hanno avuto tutto il tempo per mettersi in regola. Del resto, come noto, non occorre che i bimbi siano già stati vaccinati, basta che sia stata presentata alla Asl richiesta di effettuazione della vaccinazione e che la somministrazione sia stata fissata anche dopo il 10 marzo”.

Un linguaggio burocratico che ben rappresenta i capi (perché oramai questo sono) di una scuola ridotta a cinghia di trasmissione dei voleri del padronato e dei suoi governi, manco fossimo in questura. Niente pensiero critico, nessun dubbio: “il dato di fondo non si discute: chi non è in regola non può entrare; resta iscritto, naturalmente, ma potrà tornare solo dopo aver presentato la documentazione"perché"la tutela della collettività non può non essere preponderante”.

In attesa che venga proibito a tali bambini l’ingresso ai giardinetti o a teatro, “ciò che andava fatto era chiaro e l'impressione è che chi non si è ancora messo in regola abbia fatto una scelta precisa”. Dal che possiamo concludere che saremmo di fronte a genitori che antepongono la salute del proprio figlio a quella dei figli degli altri e che non capiscono che la salute dell'individuo dipende anche dalla salute del gruppo cui appartiene.

Un atteggiamento ed una in/coscienza, purtroppo, decisamente normali, diffusi, accettati e coerenti con la società in cui ci tocca vivere. Per fortuna che c’è lo stato! Che ci impone il rispetto reciproco perché noi membri della società civile saremmo soltanto homo homini lupus.

Ovviamente, le cose non stanno così. Non si tratta, in questa sede, di ribadire come, quando e perché un vaccino può avere effetti collaterali, anche gravi, o che ad alcune persone in determinati contesti è vietato vaccinarsi, in quanto la probabilità di effetti negativi è eccessiva rispetto ai benefici attesi. Si tratta invece di capire che il rifiuto della vaccinazione, per essere adeguatamente affrontato, non deve essere inquadrato solo come una mera eresia antiscientifica frutto di disinformazione ma soprattutto come una risposta irrazionale ai problemi che la socializzazione statale del controllo della prole riproduce, invece di risolvere.

Il rifiuto della vaccinazione, dunque, come una manifestazione medica della lotta contro l’oppressione operata dallo Stato “a-sociale” (pur rimanendo i genitori figure spesso oppressive). In altre parole, rifiutando la vaccinazione si rifiuta - sebbene inconsapevolmente - il controllo a-sociale della prole da parte di uno Stato che preferisce far uscire i bambini dalle scuole piuttosto che farci entrare i medici e che si fa carico della salute collettiva ma non di quella individuale (ammassando bambini nelle classi come galline nel pollaio e negando quella personalizzazione della vaccinazione di massa oramai possibile). Controllo pubblico degli infanti che definisco a-sociale in quanto negazione negativa della potestà genitoriale, poiché surroga le figure affettive di riferimento con servizi socio-assistenziali, medici e scolastici che nella stragrande maggioranza dei casi riproducono l’educazione e la tutela autoritaria dei bambini, fino appunto a bandirli.

Problemi che non sono solo di ordine socio-economico ma anche medico. Vaccinazione e vaccino, infatti, non sono affatto la stessa cosa. Confondere il principio scientifico (la vaccinazione) e la sua realizzazione (i vaccini) oltre che sbagliato è pericoloso perché porta molti a trasferire la (sacrosanta) difesa del primo nei secondi e la critica (altrettanto sacrosanta) dei secondi nel primo, a danno di tutti.

Il modo in cui si realizza la vaccinazione, infatti, varia col progresso tecnico-scientifico. Somministrare in un bambino vaiolo vaccino contenuto nel pus proveniente da pustole presenti sulla mano di una mungitrice, come fece Edward Jenner alla fine del ‘700, non è lo stesso che utilizzare un prodotto frutto dell’industria farmaceutica. D’altronde, per testarne l’efficacia, si può infettare il bambino col siero proveniente dalle pustole di un malato di vaiolo umano e vedere se rimane immune, come fece appunto Jenner, o usare, almeno inizialmente, cavie non umane.

In altre parole, quello che oggi ci sembra avvenieristico - o avventuristico - potrebbe un giorno far impallidire le migliori pratiche odierne, proprio come ora inorridiremmo se dovessimo tornare a testare un vaccino come faceva il grande scienziato inglese. Ma non per questo verrebbe meno il principio scientifico secondo cui inoculare determinate sostanze nel corpo della maggior parte delle persone aiuta a prevenire l’insorgere di determinate malattie in tutti i membri della specie, anche in chi non è vaccinato, sebbene in alcuni provochi reazioni avverse e in altri non consenta di sviluppare una risposta immunitaria sufficiente a proteggerli adeguatamente. E se il modo in cui vengono prodotti i vaccini cambia, pure il contesto socio-ambientale è in evoluzione, ed è anche per questo che l’interazione farmaco-paziente evolve.

Bisogna dunque evitare di confondere teoria scientifica (la vaccinazione) col modo in cui nella pratica si realizza (i vaccini) ed indagare invece quali problemi sono legati al chi, come, quanto, quando e perché scopre un principio attivo utile, lo sintetizza, lo testa, lo approva, lo commercializza, lo prescrive e lo assume. In poche parole: al modo di produzione, commercializzazione e consumo delle varie merci-vaccino.

E da questa analisi - che non può essere fatta in questo articolo - e dei suoi diversi ma interagenti aspetti in continua evoluzione (individuali, sociali, medici, economici, ambientali) sorge il dubbio che i problemi legati ai vaccini realmente utilizzati si annidino anche nell’organizzazione di questa catena di attività e nelle leggi che ne governano l’evoluzione - nel capitalismo, ça va sans dire - e non solo nelle leggi fisico-chimiche che governano il funzionamento del principio attivo in un contesto ambientale (socio-naturale) che evolve. In altri termini, l’individuazione e la soluzione di tutti i problemi legati ai vaccini - e quindi anche dei nuovi problemi e dell’individuazione di quelli falsi - non può ignorare il modo in cui la filiera del farmaco viene gestita e che è tutt’altro che finalizzato alla salvaguardia e alla promozione della salute sopra ogni altra cosa ed in particolare del profitto, fine ultimo e supremo di qualunque azienda capitalistica.

Filiera dominata da grandi imprese i cui segreti industriali e la cui discrezionalità (nel decidere ad es. cosa e come testare e produrre) ben tutelati dallo Stato entrano in contraddizione con l’aumentata capacità di fare anamnesi, diagnosi e cura. Contraddizione che ripropone quella più generale tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali e che, nello specifico, impedisce di discernere tra problemi attualmente irrisolvibili e problemi la cui soluzione non si vuole affrontare per ragioni economiche, tra problemi reali e problemi immaginari e che quindi realizza sul terreno medico, sotto forma di rifiuto della vaccinazione, l’inevitabile opposizione all’oppressione dello Stato asociale del capitale.

Ma se per superare l’asocialità dello Stato è necessario rivoluzionare completamente i rapporti sociali, per superare la contraddizione tra le possibilità offerte dalla medicina ed il potere dei suoi padroni - e dunque evitare che l’opposizione alla socializzazione asociale del controllo della prole prenda la strada irrazionale del rifiuto della vaccinazione o dei vaccini nella loro totalità - non basta pretendere, nella misura in cui sia tecnicamente possibile, l’universale somministrazione di farmaci “personalizzati” o la predisposizione di ambienti - scolastici, lavorativi e ricreativi - più sani, ma è indispensabile eliminare l’ignoranza generata ogniqualvolta è “vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori”. Dunque che medici, farmacisti, chimici e biologi comincino a fare, in massa e sul terreno internazionale, la parte che compete loro. Come?

Innanzitutto adeguando l’approccio ai pazienti all’evoluzione della società che, per la contraddizione suddetta, produce cittadini mediamente più informati e disinformati, anche dal punto di vista medico, e dunque non più così disposti come in passato a riconoscere (a torto o a ragione) a dottori e professori l’autorità a prescindere dalla dimostrazione di autorevolezza. Pazienti, poi, che per la stragrande maggioranza, lungi dall’essere novizi sono degli habitué dei servizi sanitari e socio-assistenziali e per i quali è dunque necessario pretendere lo sviluppo di un sistema conoscitivo integrato ed integrale che consenta di far tesoro anche dell’evoluzione a posteriori di somministrazioni e interventi.

Ma questo non basta. Per fugare ogni dubbio è necessario che gli addetti ai lavori pretendano la reale apertura di tutti i laboratori, la pubblicazione di tutti i dati elementari e l’effettuazione di tutti gli esperimenti utili, da parte delle industrie private transnazionali che dominano la filiera dei vaccini. Così da assicurare, ad esempio, che a farsi carico dei costi siano i privati e non la collettività. E togliere agli istituti pubblici che ne valutano l’operato in nome e per conto della collettività gli alibi derivanti dall’essere come quella squadra di calcio che si ritrova a giocare senza poter uscire dalla propria area di rigore (la nazione) contro una squadra in grado di muoversi su tutto il campo (il pianeta).

14/04/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: vacciniinforma.it

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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