L’imperialismo democratico

Chi si oppone in ogni modo alla possibile soluzione pacifica, giusta e razionale del tragico conflitto fra due popoli fratelli come il russo e l’ucraino che hanno vissuto e collaborato in pace per oltre settant’anni come le due principali repubbliche socialiste sovietiche? Si tratta dello stesso imperialismo “democratico” che invece di attivarsi per un duraturo accordo di pace continua a inviare armi in Ucraina e ad attaccare chi osa battersi contro la nuova guerra fredda.


L’imperialismo democratico

Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti sul “macellaio” Putin e sulla necessità di rimuoverlo dal suo ruolo istituzionale sono estremamente utili a comprendere la strategia dell’imperialismo democratico. Gli Stati Uniti possono mantenere il proprio ruolo dominante a livello internazionale – pur essendo il paese con il debito pubblico più grande di tutti i tempi, pur vivendo da decenni da veri e propri parassiti nei confronti di paesi stranieri, da cui importano molto di più di quanto sono in grado di esportare – soltanto grazie allo strapotere militare (di cui godono investendo nel settore molte più risorse di tutti gli altri paesi del mondo) e alla capacità di egemonia. Per mantenere questo precario, ingiusto e irrazionale dominio debbono in primo luogo difendere a tutti i costi il signoraggio del dollaro, da decenni non più convertibile in oro. Per continuare a importare molto di più di quanto importano, per continuare ad armarsi fino ai denti, per finanziare l’industria culturale che gli garantisce l’egemonia a livello internazionale, per assicurarsi il pieno appoggio della classe dominante riducendo al minimo il carico fiscale su di essa e al contempo mantenendo bassa l’imposizione tributaria sulle altre classi, per mantenere l’indispensabile “pace sociale”, debbono da decenni stampare una montagna di carta moneta che non ha più nessuna copertura reale. Ciò dovrebbe produrre, come in tutti gli altri paesi, una spaventosa inflazione, che è tenuta a bada costringendo, con le buone e le cattive, gli altri paesi ad acquistare sul mercato divenuto mondiale le indispensabili materie prime e fonti energetiche essenzialmente in dollari. Questo costringe gli altri paesi, che finanziano e consentono la sopravvivenza economica di questo enorme e spaventoso parassita, a mantenere quote crescenti del debito pubblico statunitense espresso in dollari, come riserva per garantirsi il necessario rifornimento in primo luogo di materie prime e fonti energetiche.

Da questo punto di vista hanno bisogno di costringere le valute straniere che potrebbero mettere in discussione l’indispensabile signoraggio del dollaro a non farlo, in primo luogo sfruttando i rapporti di forza a proprio favore sul piano internazionale dovuti allo spropositato apparato industriale-militare e al ruolo di guida indiscussa della maggiore alleanza militare internazionale di tutti i tempi: la Nato. Per giustificare sul piano interno e internazionale questo enorme e mostruoso apparato militare hanno l’assoluto bisogno, dopo la fine della guerra fredda, di tenere sempre vive le guerre sul piano internazionale. Guerre indispensabili per aggirare e rinviare gli effetti negativi della sempre più ampia crisi di sovrapproduzione costringendo alla distruzione i capitali dei paesi stranieri belligeranti in modo diretto o interposto, per continuare a vendere le proprie micidiali armi in tutto il mondo, per mantenere unito, nonostante le crescenti contraddizioni interimperialiste, i paesi dominanti a livello internazionale e per assicurarsi i profittevoli investimenti per la ricostruzione postbellica. Venuto sostanzialmente meno lo spauracchio del fantasma del comunismo – che costringeva le classi dominanti su scala mondiale a sostenere lo sforzo bellico del principale sostenitore su scala mondiale del partito dell’ordine costituito – gli Stati Uniti in primis hanno avuto bisogno di diffondere un nuovo mito politico, un nuovo nemico da combattere, indispensabile a rendere permanente lo stato di emergenza e favorire a livello internazionale la dinamica all’affermazione del bonapartismo regressivo.

Dal momento che la narrazione della guerra di civiltà contro il mondo islamico ha perso sempre più di credibilità – visto che eliminati i paesi laici e oggettivamente antimperialisti il mondo musulmano sempre più dominato da élite plutocratiche e reazionarie è divenuto un indispensabile alleato volto a schiacciare ogni forza della resistenza internazionale oggettivamente antimperialista – è divenuto indispensabile fabbricare un nuovo nemico globale. A questo scopo non c’era nulla di meglio che rilanciare su scala internazionale un cattivo ma efficace succedaneo della guerra fredda, scatenando una nuova guerra globale contro l’impero del male, incarnato ancora una volta in primo luogo da Russia e Cina, in secondo luogo da quanto resta del fantasma del comunismo, ovvero Repubblica democratica di Corea (Rdc), Cuba e Venezuela, in terzo luogo con la residua resistenza arabo-islamica, ossia Iran, Hezbollah e Siria. Considerando che la pressione militare e il blocco economico, ovvero il costante stato di assedio imposto a Siria, Venezuela, Cuba, Iran e Rdc hanno costretto tali “stati canaglia” alle corde e considerando la politica estremamente prudente della Cina che, per far valere la propria superiorità sul piano economico, ha l’assoluto bisogno di mantenere la pace a livello internazionale, l’anello debole restava la Russia. In questo paese, dopo il trionfo della controrivoluzione a seguito della sconfitta nella guerra fredda ha portato al potere una borghesia compradora che – dopo aver depredato tutti i beni pubblici e aver svenduto il resto agli stranieri – per mantenere il dominio all’interno del paese ha puntato essenzialmente sul populismo sovranista, nazionalista e sciovinista. Peraltro non potendo, per la propria furia predatoria, rilanciare sul piano economico il paese a livello internazionale, la classe dominante russa ha puntato essenzialmente sulla forza militare – sfruttando l’arsenale militare che ha portato al tracollo l’Unione Sovietica – essendo del resto l’unica potenza che può limitare lo strapotere militare della Nato e degli Stati Uniti.

Per poter avere campo libero le forze della controrivoluzione in Russia hanno dovuto sacrificare sia il Patto di Varsavia sia l’Unione Sovietica. La conseguente spaventosa crisi economica prodotta dalla transizione al capitalismo ha ridotto enormemente il peso sul piano internazionale della Russia. Dunque era estremamente difficile per la borghesia controrivoluzionaria sfruttare il nazionalismo

Per questo a Eltsin è subentrato Putin che ha assunto una direzione più indipendente e ha portato avanti una politica estera sempre più autonoma rispetto alle grandi potenze imperialiste e, in particolare, agli Stati Uniti. Ciò non poteva che creare degli attriti sempre maggiori dopo l’aggressione alla Jugoslavia e l’inserimento nella Nato di tutti i paesi del Patto di Varsavia, contravvenendo agli accordi presi che avevano portato alla fine della guerra fredda.

A questo punto decisiva diveniva la lotta per l’egemonia sull’Ucraina, in quanto questo paese era decisamente il più importante dopo la Russia nella vecchia Unione Sovietica. Mentre la Nato, gli Stati Uniti e l’imperialismo europeo miravano a integrarla, era decisivo per la borghesia russa e il gruppo dirigente di Putin mantenerla nella propria orbita. In questo conflitto la borghesia russa e Putin hanno decisamente perso uno scontro decisivo, puntando su oligarchi ucraini corrotti e piuttosto impopolari. Così il governo e la classe dominante russa non è riuscita a impedire la controrivoluzione colorata che ha portato l’Ucraina nell’area d’influenza della Nato e dell’Unione europea. Si trattava di una sconfitta storica cui la borghesia al potere e la classe dirigente putiniana doveva necessariamente rispondere, per non perdere completamente la propria capacità di egemonia. Da qui l’annessione della Crimea e il sostegno alle repubbliche indipendentiste russofone. L’annessione della Crimea era indispensabile per mantenere il principale porto militare dove era stazionata la flotta russa. Tale annessione ha incontrato il consenso della grandissima maggioranza della popolazione della Crimea, ma ha creato un motivo di conflitto permanente con l’Ucraina, favorendo l’egemonia in questo paese delle forze scioviniste e filo imperialiste. 

La classe dominante e dirigente russa è dovuta intervenire nuovamente dopo che la controrivoluzione colorata non era riuscita a rovesciare da sola il principale alleato russo, che le consentiva il decisivo affaccio sul Mediterraneo, ossia la Siria di Assad. La Russia è riuscita in extremis a impedire l’ennesimo intervento della Nato e delle potenze imperialiste occidentali. Ha poi dato la necessaria copertura aerea alle forze di Assad per riprendere il controllo su buona parte del paese, ottenendo in cambio un decisivo porto sul Mediterraneo.

Il progressivo disimpegno dell’imperialismo occidentale dall’intervento diretto in Medioriente, con gli Stati Uniti sempre più proiettati a riaprire la guerra fredda contro la Cina, ha consentito alla Russia di svolgere un ruolo da protagonista nel conflitto interno per il controllo della Libia. Infine, sfruttando anche la crescente impopolarità dell’imperialismo francese nei paesi africani, in cui il dominio coloniale si era trasformato in controllo neocoloniale, i poteri forti russi, sfruttando mercenari, hanno portato nella loro zona di influenza paesi subsahariani. Infine dopo la clamorosa débâcle della Nato in Afghanistan, il governo democratico statunitense aveva l’assoluto bisogno di rilanciare l’alleanza atlantica e la spesa militare scatenando una nuova guerra fredda.

Il riarmo dell’Ucraina e le provocazioni nei confronti della Russia, che andavano avanti da circa un decennio, hanno raggiunto un punto di non ritorno con la minaccia di fornire armi atomiche all’Ucraina, a un passo dalla Russia, rendendo sostanzialmente inefficace la capacità di deterrenza del proprio principale avversario sul piano militare. Vi erano così tutti i presupposti per rilanciare la guerra fredda attraverso un conflitto caldo in Ucraina. Mancava soltanto la fatidica scintilla per infiammare la prateria e il piromane che la accendesse. Così gli Stati Uniti hanno utilizzato tutto il loro enorme arsenale mediatico per scaricare sul nemico russo la responsabilità di aver dato avvio a un conflitto, che in realtà andava avanti con alti e bassi da circa otto anni nel Donbass. In tal modo, con la classica profezia che si auto avvera, gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per creare un casus belli, al punto di sostenere l’ipotesi di un attacco russo con armi chimiche. Pretesto che era facile creare artificialmente con i laboratori creati in Ucraina con il supporto della Nato e lo schieramento in prima linea di battaglioni ultra sciovinisti Ucraini spesso egemonizzati da forze più o meno esplicitamente neonaziste

Nonostante i russi avessero fatto di tutto per smentire tale propaganda di guerra e lo stesso governo ucraino avesse denunciato le enormi pressioni che subiva da parte degli Stati Uniti e delle forze ultra scioviniste locali, che peraltro considerava il maggiore pericolo per la propria sopravvivenza, oramai tutto era pronto per la deflagrazione del conflitto. Gli Stati Uniti dopo averlo preannunciato invano da tempo non potevano fare marcia indietro, le forze scioviniste ucraine egemonizzate dai nazisti ne avevano assolutamente bisogno per cementare la propria capacità di ricatto sul governo ucraino, visti i magri risultati sul piano elettorale. Il governo ucraino – in carica grazia al sostegno dello stesso più potente grande oligarca che finanzia i battaglioni filo-nazisti e legato mani e piedi all’imperialismo occidentale – non poteva tirarsi indietro, se non voleva essere rovesciato. Lo stesso governo russo e la classe dominante borghese non potevano più tirarsi indietro, senza rischiare di perdere completamente la credibilità di baluardo sovranista e nazionalista che gli consente di mantenere l’egemonia all’interno del paese.

A questo punto Putin ha cercato di prendere in contropiede le forze della Nato e scioviniste ucraine prendendosi la pesante responsabilità di aver iniziato la guerra, giocando sull’effetto sorpresa che gli aveva dato ragione in Crimea e in Siria. In tal modo ha finito per fare proprio il gioco dei suoi avversari: la Nato, gli Stati Uniti e lo sciovinismo ucraino cadendo di fatto nella trappola che gli era stata preparata, come era già capitato con l’intervento in Afghanistan dell’Armata Rossa.

L’imperialismo “democratico” statunitense non aspettava altro, le sue profezie di una ripresa della guerra fredda contro l’impero del male russo, sostenuto dalla Cina, si autoavverano, si poteva iniziare la guerra sulla pelle degli ucraini e dei proletari in divisa russi senza un coinvolgimento diretto che non sarebbe stato accettato né dall’opinione pubblica statunitense, né dall’opinione pubblica internazionale. Era, però, necessario che la guerra proseguisse quanto più a lungo possibile per far impantanare l’esercito russo, far convergere la popolazione ucraina sulle posizione ultranazionaliste e russofobe, rilanciare l’economia con un ulteriore spropositato aumento delle spese militari, a difesa del signoraggio del dollaro. Anche perché la possibilità di giungere presto a una fine delle ostilità sarebbe in teoria a portata di mano. Basterebbe che l’Ucraina non entrasse nella Nato e non ospitasse armi di distruzione di massa nel proprio territorio, in cambio della sua rapida integrazione nell’Unione europea che la salvaguarderebbe dinanzi a una possibile ripresa del conflitto. Mentre per risolvere le controversie sulle regioni ucraine russofone sarebbe sufficiente affermare il principio di autodeterminazione per le popolazioni che le abitano.

Naturalmente tale soluzione sarebbe la più deleteria per gli Stati Uniti e in particolare per il suo presidente, dal momento che rappresenta e garantisce proprio gli interessi dell’apparato industriale militare. Da qui le accuse quanto mai ipocrite a Putin di essere un macellaio e l’auspicio di un suo rovesciamento nel tentativo di impedire ogni possibile e auspicabile cessate il fuoco e una soluzione pacifica e giusta del conflitto.

01/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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