Ad Hong Kong i manifestanti assaltano il parlamento cittadino

La politica “un paese, due sistemi” sta mostrando contraddizioni di cui i paesi imperialisti si stanno approfittando.


Ad Hong Kong i manifestanti assaltano il parlamento cittadino Credits: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2019/07/02/hong-kong-scontro-potere-cinese

Lunedì scorso, le proteste che da un mese infiammano Hong Kong hanno subito un’improvvisa accelerazione. Il giorno del 22° anniversario della fine del colonialismo britannico, tradizionalmente un'occasione per celebrare il ricongiungimento con il resto del paese sotto la politica “un paese, due sistemi”, è stato caratterizzato dalla rabbia verso la governatrice Carrie Lam, rea di aver solo sospeso la contestata legge sull’estradizione. Una giornata che ha visto tornare in piazza circa mezzo milione di persone e l’irruzione nelle sale del Consiglio legislativo della città da parte di diverse centinaia di manifestanti.

La cronaca della giornata

L’assalto è partito verso l’ora di pranzo, senza alcun preventivo annuncio tramite social network né dibattiti o discussioni assembleari. Le ricostruzioni giornalistiche sembrerebbero dimostrare che l’azione è stata improvvisata da una trentina di attivisti che verso le 11.30 di mattina hanno deciso di radicalizzare lo scontro prima di coinvolgere altri manifestanti che erano nella zona e decidere di prendere di mira il parlamento cittadino.

Alle 13.30, un primo gruppo ha iniziato l’opera di sfondamento delle pareti di vetro dell’edificio che ospita l’assemblea mentre una quarantina di agenti di polizia - alcuni con scudi antisommossa, maschere antigas e fucili con proiettili di gomma - stavano proprio dall’altra parte.

Alle 16:00, mezza parete di vetro era stata sfondata ma i manifestanti, che nel frattempo erano diventati un migliaio, non sono penetrati nella struttura e hanno continuato ad aprire altri varchi. Fino alle 21, quando molti di loro sono finalmente entrati nell’edificio.

La polizia, asserragliata dentro l’edificio, non ha opposto alcuna difesa attiva e si è ritirata lasciando il campo libero ai manifestanti che hanno occupato e vandalizzato l’edificio per tre ore e mezza.

Pianificato o improvvisato, l’assalto ha rivelato la poca consistenza politica degli attivisti che, privi della necessaria preparazione per procedere ad una vera occupazione, si sono limitati a devastare e saccheggiare il Consiglio legislativo.

Il contenuto politico della protesta si è tradotto nel prendere di mira i simboli del potere della Repubblica Popolare cinese, nell’appendere la bandiera dell’epoca coloniale e nel leggere un manifesto, pubblicato prima su internet, contenente cinque rivendicazioni: ritirare completamente la riforma della legge sull'estradizione; non classificare le manifestazioni delle settimane passate come rivolte; eliminare tutte le accuse contro gli arrestati in relazione alle proteste; istituire una commissione indipendente per indagare sull'uso della forza da parte della polizia; e indire elezioni pienamente democratiche per il Consiglio legislativo e il Governatore.

La polizia è rimasta a guardare fino alle 00.15 quando ha fatto irruzione nell’edificio senza incontrare manifestanti, convinti ad andarsene dal video-messaggio delle 22.30 in cui le forze dell’ordine annunciavano di voler riprendere il controllo della situazione.

Le reazioni

La reazione delle autorità è stata ovviamente di condanna e a leggere la stampa locale che pubblica in lingua inglese sembra che questa azione abbia contribuito a dividere il movimento tra chi plaude, chi condanna e chi incolpa il governo per non aver preso in considerazione le istanze avanzate pacificamente. Un’azione che, offrendo argomenti alla repressione, potrebbe essere inquadrata come controproducente o addirittura provocatoria, se non altro dal punto di vista oggettivo.

La reazione della polizia, questa volta inerme a differenza di quanto avvenuto nei giorni passati, sembra coerente con la volontà di lasciar fare i manifestanti che, se in buona fede, non sembrano aver attentamente valutato l’immaturità del movimento nel suo complesso ad intraprendere il cammino dello scontro aperto.

Se alla lunga l’azione sembrerebbe controproducente per il movimento, le reazioni delle autorità dei paesi occidentali sono state caratterizzate dal profilo tipicamente ambiguo di chi è interessato all’innalzamento del livello dello scontro ma non può dichiararlo apertamente. Il console generale degli Stati Uniti, Kurt Tong, nel suo ultimo discorso pubblico di martedì prima di lasciare l’incarico, si è detto “deluso” dalle violenze. “Il punto di vista degli Stati Uniti è che il diritto alla libertà di espressione è più efficace e appropriato quando viene esercitato in modo pacifico", ha detto Tong che poi ha aggiunto: “Penso che ciò che avvenuto sia spiacevole".

Il portavoce del Dipartimento di stato ha dichiarato che il governo americano “esorta tutte le parti ad astenersi dalla violenza. Il successo di Hong Kong si basa sul suo stato di diritto e sul rispetto delle libertà fondamentali, tra cui libertà di espressione e assemblea pacifica”.

L’inquilino della Casa bianca, dal canto suo, ha dichiarato di sperare che la questione “si risolva” e quando gli è stato chiesto come ha dichiarato: “Beh, stanno cercando la democrazia e penso che la maggior parte della gente voglia la democrazia”. Per poi aggiungere: “Sfortunatamente alcuni governi non vogliono la democrazia”, ha detto, senza nominare paesi. “Ma è di questo che si tratta. Si tratta di democrazia, non c'è mai stato niente di meglio”.

Dichiarazioni dai toni e contenuti simili sono pervenute anche da rappresentanti dell’Unione europea e della Gran Bretagna.

Le interferenze imperialiste

Le reazioni occidentali sono state stigmatizzate dal governo cinese. Il portavoce del ministero degli esteri Geng Shuang ha parlato di “doppio standard” e di “ipocrisia estrema” ed ha ricordato: “Sappiamo tutti come la polizia negli Stati Uniti ed in Europa gestisca la violenza e faccia rispettare la legge”. Geng ha poi chiesto al governo Usa di “interrompere immediatamente tutte le interferenze negli affari di Hong Kong e l'adozione delle misure che potrebbero influire sulla prosperità e stabilità della città”. Il riferimento è alla riforma delle relazioni bilaterali tra Washington ed Hong Kong che gli americani minacciano dal 2017 e che recentemente è tornata alla ribalta delle cronache come arma di pressione contro la controversa legge sull’estradizione.

Tale riforma intitolata “Hong Kong Human Rights and Democracy Act” richiederebbe al Segretario di stato americano di certificare l'autonomia di Hong Kong dalla Cina continentale in modo che la città possa continuare a godere di vantaggi economici e commerciali. Benefici che sono il risultato della legge sulla politica degli Stati Uniti verso Hong Kong approvata cinque anni prima della fine del periodo coloniale e che non richiede la revisione dello status di autonomia. Una riforma, che non a caso porta la firma del senatore di estrema destra Marco Rubio, tesa a “riaffermare l'impegno degli Stati Uniti nei confronti della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto in un momento in cui queste libertà e l'autonomia di Hong Kong vengono erose dall'interferenza del governo cinese e del Partito comunista”.

In conclusione, le proteste in corso ad Hong Kong rivelano che la politica di “un paese, due sistemi” sta mostrando contraddizioni di cui i paesi imperialisti si stanno approfittando. Con il rifiuto di riformare la legge sull’estradizione e la richiesta di “elezioni pienamente democratiche” si rigetta il modello di governo che unisce la città al resto del paese invocando, di fatto, l’indipendenza. D’altronde, fintanto che i due sistemi economici rimarranno diversi - da un lato il capitalismo liberale e liberista dell’ex colonia, dall’altro il socialismo di mercato dominante nel resto del paese - non possono che dar vita a due sovrastrutture politiche diverse che alla lunga sono inconciliabili con il progetto di Stato unitario.

07/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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