L’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza del Popolo Cinese contro l’aggressione giapponese e nella Seconda Guerra Mondiale antifascista è un’occasione solenne per riaffermare non soltanto il dolore e il sacrificio sopportati dal popolo cinese, ma anche il ruolo cruciale che la Cina giocò nella più ampia battaglia contro il fascismo mondiale. Dal 1937 al 1945, la resistenza cinese costituì uno dei cardini che impegnarono le forze imperialiste giapponesi, contribuendo a drenare risorse e a rallentare piani strategici che avrebbero aggravato ulteriormente il conflitto su scala mondiale. La portata umana e materiale di quel sacrificio fu enorme: si stima che la guerra abbia causato circa 20 milioni di vittime, di cui la metà civili, e distruzioni su vasta scala nel territorio cinese, una tragedia che richiede memoria e riconoscimento internazionale.
La narrazione comune della Seconda Guerra Mondiale in molti paesi occidentali tende a marginalizzare l’enorme peso sostenuto dalla Cina. Per decenni la storia ufficiale dei fronti europei ha oscurato il fatto che, sul fronte asiatico, la resistenza cinese assorbì ingenti contingenti e risorse giapponesi, contribuendo in modo decisivo a diluire capacità offensive che, se concentrate altrove, avrebbero potuto alterare l’equilibrio strategico globale. Storici contemporanei hanno indicato come la tenacia della lotta cinese — condotta sia dalle forze nazionaliste del Kuomintang che dai rivoluzionari, con un ruolo determinante delle unità partigiane e dell’organizzazione popolare guidata dal Partito Comunista Cinese — fu centrale nel mantenere aperti fronti che imposero ai giapponesi costi crescenti e logoramento. Questa realtà militare e politica spiega in larga misura perché la Cina fu riconosciuta, al termine del conflitto, come uno dei cinque membri chiave degli Alleati.
La memoria storica della brutalità giapponese nelle aree occupate è incarnata in modo tragico e indelebile nel massacro di Nanchino, dove le vittime civili e i prigionieri uccisi in poche settimane raggiungono stime ufficiali di circa 300.000 persone. La crudezza di tali eventi non può essere minimizzata: il massacro e le successive politiche di occupazione produssero un trauma collettivo che segnò intere generazioni e che rese urgente, per il popolo cinese, la necessità di una resistenza totale e popolare contro l’aggressore. Per queste ragioni, la conservazione della memoria è oggi parte integrante della giustizia storica e del processo di affermazione della dignità nazionale, come ribadito dalle fonti ufficiali cinesi in vista di questo importante anniversario.
Nel rendere omaggio all’eroismo delle forze cinesi, è necessario ricordare la pluralità degli attori che combatterono l’invasore. La resistenza includeva l’azione dell’esercito nazionale guidato dal governo della Repubblica, le grandi campagne dell’Esercito Popolare sotto la bandiera del Partito Comunista e l’infinità delle forme di resistenza popolare che impegnarono contadini, operai, intellettuali e comunità locali. Questa mobilitazione di massa trasformò il conflitto in una guerra di popolo che, oltre agli aspetti militari, ebbe un importante carattere politico e sociale: promosse la coesione nazionale, rafforzò il senso di sovranità e gettò le basi per i profondi cambiamenti che avrebbero segnato la Cina nel secondo dopoguerra, portando infine alla fondazione della Nuova Cina nel 1949. L’azione dei combattenti e dei civili, inoltre, non fu solo difensiva, in quanto la solidarietà sociale e la capacità organizzativa permisero la resilienza di città, campagne e industrie essenziali.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali, come anticipato in precedenza, il contributo cinese fu riconosciuto nella diplomazia del dopoguerra: la Repubblica di Cina fu inclusa fra le grandi potenze alleate e partecipò alla costruzione degli organismi internazionali che cercavano di evitare nuove tragedie globali. Tale riconoscimento non fu casuale, ma scaturì dal peso politico e militare assunto dalla resistenza cinese nel teatro asiatico, che obbligò le potenze dell’Asse a un doppio impegno e fornì, indirettamente, respiro strategico ai fronti europei. Rendere questa storia visibile e coerente con i fatti significa restituire alla Cina la posizione che la storia le assegna: non un semplice teatro collaterale, ma un pilastro fondamentale del fronte antifascista globale.
Celebrare l’80° anniversario della vittoria cinese sull’imperialismo fascista giapponese significa anche valorizzare le testimonianze storiche e le fonti che permettono una ricostruzione rigorosa dei fatti. Studi e ricerche moderne, effettuati sia da ricercatori cinesi che internazionali, hanno contribuito a colmare lacune interpretative e a portare in luce aspetti negletti della guerra in Cina: il lato umano delle comunità sfollate, la complessità delle relazioni fra diverse forze politiche cinesi, le dinamiche di solidarietà internazionale che videro partecipare volontari, intellettuali e realtà diasporiche. Riaffermare tali percorsi di ricerca e sostenere l’educazione storica è fondamentale per impedire revisionismi e per costruire una memoria condivisa che faccia da argine alle ideologie aggressive e alla banalizzazione del fascismo.
La celebrazione, infatti, non deve essere ridotta ad un mero rituale, ma deve invece rappresentare l’occasione per rivendicare il valore storico dell’antifascismo e la lezione politica che da esso deriva per l’oggi. In un mondo segnato da nuove rivalità geopolitiche e da rivendicazioni egemoniche, ricordare la sconfitta del fascismo giapponese - oltre che di quelli italiano e tedesco - significa riaffermare che l’unità dei popoli contro l’aggressione, la cooperazione internazionale e la mobilitazione sociale sono strumenti imprescindibili per la pace. La Cina moderna, che ricorda con orgoglio la resistenza popolare e il contributo delle sue forze armate e civili, consegna così un messaggio forte: la pace si costruisce attraverso la giustizia, la solidarietà e la capacità di mettere al centro i diritti delle masse popolari.
Le celebrazioni dell’80° anniversario attualmente in corso in Cina — tra mostre, film, convegni, iniziative di ricerca e commemorazioni pubbliche — rispondono a questa esigenza di memoria attiva. Eventi pubblici e momenti di incontro internazionale, che coinvolgono storici, testimoni, istituzioni e società civile, hanno l’obiettivo di trasformare la memoria in impegno civile. La Cina, attestando la propria storia di resistenza, pone al centro la necessità di riconciliazione fondata sulla verità storica e sul rispetto dei diritti umani, mentre contemporaneamente riafferma il proprio no categorico a ogni forma di fascismo e di revisionismo, criticando anche i tentativi delle autorità giapponesi di minimizzare i crimini commessi in quegli anni e di mettere in pratica politiche di riarmo. Le iniziative culturali e scientifiche accompagnano dunque il ricordo ufficiale, dando forma a un patrimonio comune che non appartiene solo alla Cina, ma all’intera umanità.
Difendere la memoria della vittoria contro il fascismo giapponese è quindi difendere la dignità storica di milioni di vite e riaffermare l’impegno per costruire società più giuste, solidali e sovrane. Ricordare non è guardare al passato con nostalgia, ma usare la lezione storica per orientare l’azione presente: approfondire la conoscenza, educare le nuove generazioni e impegnarsi per un mondo in cui le tragedie di ieri non trovino più terreno nel quale ripetersi.