Convergenza delle lotte contro le politiche neoliberiste

Intervista a Laurent Brun, segretario generale della CGT ferrovieri.


Convergenza delle lotte contro le politiche neoliberiste Credits: Gli cheminots in corteo non autorizzato dentro Gare du Nord, Parigi. Foto di Guido Salza.

In queste settimane di fermento in Francia, il giornale Initiative Communiste (organo di stampa del PRCF) ha intervistato il segretario della CGT ferrovieri Laurent Brun. Il pezzo è istruttivo per quanto riguarda lo stato di salute dell’agitazione dei ferrovieri e le scelte effettuate dalla CGT per affrontare la riforma. Dal mondo del sindacato e da parte dei lavoratori, emerge chiaramente la richiesta di un’azione politica che sveli la dimensione progettuale dell’insieme di riforme messe in campo da Macron. A questo si accompagna una riflessione sul ruolo dell’UE nella trasformazione reazionaria delle società europee. Buona lettura! (NdT)

IC: La mobilitazione inizia ad essere a corto di energie? Possono continuare a resistere i ferrovieri?

LB: È a partire dall’analisi delle precedenti mobilitazioni e dagli scambi diretti con i ferrovieri che la CGT ha proposto questa nuova modalità di 2 giorni di sciopero su 5. Durante le mobilitazioni passate, i ferrovieri cessavano lo sciopero rapidamente per motivi finanziari e non tornavano più sui loro passi. Dopo 5 o 10 giorni non rimanevano che i militanti, un numero non sufficiente per ottenere un rapporto di forza efficace. Il padronato non aveva dunque che da giocare la carta del deterioramento. Il voto delle riforme all’Assemblea Nazionale ha sempre rappresentato la data di scadenza simbolica che poneva fine alla mobilitazione.

Era quindi necessario immaginare una strategia che tenesse conto di questa realtà. I 2 giorni su 5 permettono di ridurre i costi sulle spalle dei lavoratori. Ma per avere un rapporto di forza efficace riducendo il contributo individuale, l’agitazione deve durare nel tempo. Noi abbiamo dunque lanciato questa nuova modalità con la parola d’ordine: “Si comincia insieme, si finisce insieme”.

Ciò permette di riproporre l'idea che lo sciopero non abbia una funzione istituzionale (non esiste per esercitare pressione su un voto dell'Assemblea Nazionale), bensì una funzione "economica", per far perdere denaro al padrone.

Il primo obiettivo è stato ottenuto: il voto in Assemblea Nazionale non ha rappresentato un avvenimento simbolico destabilizzante. Abbiamo fatto passare l’idea della durata, ma non ancora sufficientemente quella del ruolo economico dello sciopero. Troppi ferrovieri hanno abbandonato il conflitto perché lo considerano ormai inutile (la riforma è passata, il processo di concertazione è terminato). Finora, dopo 16 giorni di sciopero, non si è andati sotto la soglia del 20% di scioperanti (cifre della direzione).

La partita rimane ancora tutta da giocare, quindi. Questo è il primo conflitto dal 1995 che ha una durata di rilievo. E queste modalità permettono di coinvolgere nuovamente i ferrovieri in ogni momento. La sfida è appunto quella di far tornare i lavoratori a scioperare. Se si supera il voto al Senato con una mobilitazione stabile, allora potremmo imporre l’idea che noi non riprenderemo più il lavoro senza ottenere il nostro obiettivo. E in quel momento, il Governo dovrà cedere (salvo di ingaggiare una vera e proprio guerra sociale sul modello thatcheriano). I ferrovieri possono reggere: è una guerra psicologica questa e la CGT moltiplica i passi per mantenere lo spirito combattivo.

IC: Come far capire ai lavoratori cosa c’è in gioco? Stiamo assistendo ad un confronto di classe?

LB: Macron ha lanciato un’offensiva generalizzata contro il modello sociale francese istituito nel 1936 e dal programma del CNR [Consiglio Nazionale della Resistenza, NdT)].

Ciò è gravissimo e le reazioni sono molto determinate: i pensionati si sono mobilitati tre volte di più in questi ultimi giorni che negli anni precedenti, i funzionari si agitano in massa sulle date decise dal loro sindacato, i ferrovieri sono in agitazione da due mesi, gli studenti e il personale della scuola occupano, eccetera… Finora, queste lotte non convergono. Manca un legante, che è probabilmente l’analisi politica di ciò che rende ‘sistema’ le misure annunciate. Per esempio, quando la riforma della scuola superiore mira a ricomporre gli insegnamenti secondo ‘blocchi e competenze’ e nello stesso tempo, il padronato si rifiuta di mantenere il riconoscimento dei mestieri all’interno delle classificazioni delle convenzioni collettive e vuole imporre ‘blocchi di mansioni’ per definire la remunerazione dei futuri salariati, c’è una concomitanza che merita un’analisi. La CGT tenta di svolgere questo ruolo di analisi, ma tutte le sue strutture sono mobilitate per l’organizzazione della resistenza. È compito dei partiti mostrare l’aspetto di ‘sistema’ di queste politiche. Ma le forze politiche sono divise e si concentrano piuttosto sull’occupazione dello spazio mediatico che sulla controffensiva ideologica. Quello che ci manca quindi è prima di tutto un discorso chiarificatore e argomentato sul progetto di società dell’avversario e contro il quale bisogna opporsi.

Il lato incoraggiante è che da quello che ci dicono le testimonianze che riceviamo da parte dei numerosissimi sostenitori e dalla solidarietà economica molto importante che è organizzata dappertutto, in molti casi in maniera spontanea, sappiamo che tutti i lavoratori hanno la piena consapevolezza di ciò che è in gioco. Emerge quanto i lavoratori siano stanchi di vedere che sono sempre i poveri a dover stringere la cinghia mentre i ricchi guadagnano sempre di più, e che hanno la certezza che i servizi pubblici sono sotto attacco e che chi ne trarrà profitto non sarà chi ne usufruisce. I lavoratori hanno l’impressione che i ferrovieri formano una diga che protegge i guadagni sociali (comprese le pensioni) che potrebbero essere inghiottiti se perdiamo.

Questo lascia intravedere una forma di coscienza di classe diffusa, anche nei quartieri popolari. Lo spazio esiste dunque, ma bisogna pressoché ripartire da zero. E la questione dell’organizzazione per trasformare il malcontento in capacità di azione è stata anch’essa già posta.

Le analisi di Lenin sono tutt’ora attuali: è necessaria un’ideologia rivoluzionaria e un’organizzazione che se ne faccia portatrice.

IC: Come ampliare la lotta senza indebolire l’unità intra-sindacale?

LB: Il discorso sulla convergenza è un po’ artificiale. Perché vi sia convergenza, ci deve essere più di una lotta che coinvolga la maggioranza dei lavoratori nell’azienda in cui viene effettuata. Anche se ci sono delle battaglie strutturate (ferrovieri, settore energia, educazione), il numero e il livello non sono all’altezza. L’organizzazione sindacale dei lavoratori dentro le imprese è anch’essa indebolita. Questa è la prima questione che deve essere affrontata: voler aggregare delle lotte minoritarie e pensare che la somma delle debolezze possa risultare in un rapporto di forza è un errore.

La CGT ne è consapevole e stimola una strategia che mira prioritariamente a rimettere in piedi l’apparato sindacale nei luoghi di lavoro, nel confronto di forze reale, sulla base di rivendicazioni che attirino l’attenzione dei lavoratori perché gli parlano del loro quotidiano. È a partire dal momento dove siamo credibili e ascoltati che potremmo lavorare sulla coscienza politica. Per sconfiggere il fatalismo che ha conquistato numerosi lavoratori, soprattutto nelle imprese private, bisogna ripartire da questo.

Durante la costruzione del movimento dei ferrovieri, è questo che la CGT si è impegnata a fare per più di un anno e mezzo. Prima di arrivare allo sciopero contro la riforma, ci sono state molte azioni sulle rivendicazioni locali e regionali. È un passaggio che abbiamo chiamato ‘piano di urgenza ferroviario’. Piani di urgenza locali costruiti con i lavoratori, che sono sfociati naturalmente in un piano di urgenza nazionale per cambiare la SNCF [le ferrovie francesi, NdT]. Anche se il passaggio è stato imperfetto, ha permesso di preparare la costruzione della manifestazione del 22 marzo. L’unità sindacale, che era inesistente in SNCF nel 2017, è stata costruita attraverso lo stesso strumento. A partire dal momento in cui i lavoratori sono coinvolti in un passaggio rivendicativo che risponde alle loro aspirazioni, le organizzazioni sindacali devono seguirli.

E quando la CGT ha proposto che la manifestazione nazionale dei ferrovieri del 22 marzo convergesse con quella dei funzionari, nessun sindacato si è detto contrario perché i ferrovieri erano già largamente convinti di questa idea grazie al lavoro sul terreno. Questa è la nostra concezione di sindacalismo riunito. Dunque la convergenza, se costruita a partire da lotte forti e ben organizzate, non indebolisce l’unità sindacale.

IC : Qual è il ruolo dell’Unione Europea in tutto ciò?

LB: Dopo il fallimento delle compagnie private (tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX), la teoria del ‘monopolio naturale’ si è imposta per la gestione delle reti ferroviarie. A causa del vincolo della rete dei binari, non si può avere una concorrenza credibile e dunque è lo stato che deve dirigere il monopolio. Tutta la sfera politica si è progressivamente convertita a questa idea. Così è nata nel 1938 la SNCF. A quell’epoca, la nazionalizzazione rappresentava un compromesso, visto che i militanti operai rivendicavano la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.

A partire dagli anni ’80, gli economisti neoclassici (la scuola di Chicago) hanno teorizzato che malgrado i vincoli infrastrutturali, è possibile stabilire la concorrenza dal lato dell’offerta del servizio sulle economie di scala se si riesce ad ottenere una separazione netta tra la gestione delle infrastrutture e le compagnie che ne fanno uso. L’unione Europea è stata il cavallo di Troia attraverso il quale imporre poco a poco la messa in pratica di questa teoria, prima nelle telecomunicazioni, poi nell’energia e nei trasporti.

Per quanto riguarda le reti ferroviarie, dal 1991 al 2016, l’UE ha imposto la deregolamentazione in questo senso, spesso frenata dalle mobilitazioni, ma che non hanno saputo distoglierla da questo obiettivo.

Ma se facciamo un passo indietro, il campo di intervento della UE sul sistema ferroviario dovrebbe concentrarsi unicamente sullo scambio di tecnologie (per esempio per favorire la sicurezza) e sull’inter-operabilità delle reti per rendere più facile il movimento internazionale di cittadini e merci. Fuori da questi temi che esigono una cooperazione internazionale, non c’è giustificazione per l’UE di interferire sulle condizioni di attribuzione delle convenzioni regionali o sulla modalità in cui si organizzano le compagnie nazionali.

Se l’UE lo fa, è perché l’ideologia neoclassica impregna dalle fondamenta i suoi concetti fondanti e la sua architettura legislativa. Il suo modo di funzionamento profondamento opaco e basato su una democrazia molto indiretta lascia uno spazio smisurato alle lobby della classe capitalista che usa l’UE come leva sui, o con, i governi nazionali.

È quindi del tutto legittimo porre la questione di quale comportamento un governo autenticamente progressista dovrebbe adottare nei confronti dell’Unione Europea per rispettare il suo programma politico.

Il contro-progetto della CGT alla riforma ferroviaria è stato costruito per essere ‘euro-compatibile’. Permette di mostrare che la scelta di mantenere un grande servizio pubblico nazionale di trasporto ferroviario appartiene in ultima istanza al Governo. Finora, si può immaginare una ‘socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio’ all’interno del quadro della regolamentazione europea? È poco probabile… Il dibattito sull’Unione Europea è dunque un dibattito più profondo sugli obiettivi finali del movimento dei lavoratori. Personalmente, io non considero la questione europea come centrale, ma nondimeno sarà da porre da un momento all’altro.



L’intervista è apparsa il 13 maggio su Initiative Communiste

Traduzione a cura di Guido Salza

26/05/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Gli cheminots in corteo non autorizzato dentro Gare du Nord, Parigi. Foto di Guido Salza.

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L'Autore

Guido Salza

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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