Il ruolo ideologico-politico di Telesur

Nello squallido e mistificante panorama dei mass media internazionali risalta il lavoro informativo di Telesur.


Il ruolo ideologico-politico di Telesur

Nello squallido e mistificante panorama dei mass media internazionali risalta il lavoro informativo di Telesur, la catena televisiva voluta dal presidente Hugo Chávez, e che impiega schemi interpretativi utili a stimolare la riflessione critica degli spettatori. Una metodologia che si contrappone all'pproccio puramente emotivo e individualista tipico dei media nostrani.

di Alessandra Ciattini

La catena televisiva Telesur è operativa ormai da più di dieci anni, sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro, diffonde notizie e propone approfondimenti degli avvenimenti più rilevanti, che invadono spesso con la loro violenza incomprensibile la nostra vita quotidiana, utilizzando numerosi corrispondenti in varie parti del mondo. I suoi programmi, in spagnolo e recentemente anche in inglese, possono essere recepiti in forma gratuita via cavo, via satellite, in digitale terrestre e in streaming. Il suo motto è “el nuestro Norte es el Sur”, parole con cui si indica la prospettiva dalla quale si vuole guardare alla società contemporanea con le sue contraddizioni laceranti, osservata appunto con gli occhi dei popoli del sud del mondo, oggetto della depredazione secolare portata avanti dalle potenze del nord. In questo senso, dunque, nord e sud costituiscono delle entità geopolitiche che sembrerebbero muoversi secondo linee difformi, in particolare là dove i paesi “meridionali” acquisiscono quegli spazi di agibilità politica, che garantiscono loro una certa indipendenza; sia pure essendo questa sempre limitata dagli interventi diretti e indiretti della superpotenza statunitense, sostenuti dagli stessi organismi internazionali, sul cui statuto super partes è sempre più legittimo dubitare.

Telesur nasce per contrastare il dominio dei pochi gruppi che controllano la comunicazione televisiva e a mezzo stampa in America Latina, e soprattutto la CNN, che trasmette in spagnolo e che quindi può fornire ai latinoamericani, anche quelli residenti negli Stati Uniti, la sua visione del mondo, attraverso la lettura politicamente orientata di quegli eventi, che opportunamente selezionati, vengono presentati al pubblico [1].

Sarebbe però riduttivo pensare che la fondazione di Telesur abbia avuto il solo obiettivo di introdurre una forma di informazione diversa (obiettivo oggi quanto mai condivisibile); infatti, se andiamo a consultare il sito di questa catena televisiva, possiamo leggere “Telesur es un multimedio de comunicaciόn latinamericano de vocaciόn social orientado a liderar y a promover los procesos de uniόn de los pueblos del SUR” (http://www.telesurtv.net/pages/sobrenosotros.html). Da queste parole si può ricavare che Telesur si presenta come uno strumento di integrazione politica in primis dei paesi dell’America Latina, in subordine di tutti quei paesi vittime dell’attuale ordine internazionale [2]. In questo senso, la catena televisiva, voluta dal Presidente Chávez e costituitasi come società anonima di proprietà pubblica, le cui azioni sono detenute dalla Bolivia, Cuba, Ecuador, Nicaragua, Uruguay e Venezuela, deve essere certamente considerata un’emanazione della politica di integrazione regionale, che vede nell’ALBA il suo principale organismo. Come è noto, l’ALBA (Alianza bolivariana para los pueblos de América Latina) nasce da un accordo firmato da Hugo Chávez e Fidel Castro nel 2004, al quale aderirono successivamente vari paesi dell’America Latina e del Caribe, e si fonda su una prospettiva completamente diversa da quella dell’ALCA, trattato con il quale gli Stati Uniti intendevano imporre alla regione un’area di libero commercio, facendo saltare tutte le barriere doganali che difendono la produzione locale. Tale progetto, che escludeva Cuba, fu sconfitto nella IV Cumbre de las Americas che si tenne al Mar de la Plata nel 2005, nel corso della quale prevalse la linea chavista di difesa della sovranità e di rifiuto dell’area di libero commercio, proposta da Panama e dagli Stati Uniti, ritenuta impraticabile per le differenze socio-economiche che caratterizzano la regione.

L’ALBA si propone, invece, di sostenere politiche di integrazione regionale, basate sulla cooperazione e miranti a ridurre gli squilibri sociali, economici, tecnologici, culturali, con la finalità ultima di migliorare il tenore di vita della popolazione latinoamericana, garantendole un più ampio accesso all’educazione, ai servizi sanitari, all’informazione [3].

Fino all’avvento di Mauricio Macri al potere anche l’Argentina era uno dei soci sostenitori di Telesur, ma nel marzo 2016 questo paese esce dall’organismo televisivo, rompendo quel fronte culturale e ideologico, alla cui costituzione avevano dato un contributo i paesi progressisti dell’America Latina, oggi oggetto di attacchi destabilizzanti. Qualche tempo dopo Macri stabilisce anche che il segnale non venga più trasmesso dal sistema digitale terrestre argentino, dal quale viene anche escluso RT, il canale televisivo russo in spagnolo (Russia Today), ribadendo così il completo riallineamento dell’Argentina alla politica statunitense.

Fin qui una serie di dati, per capire di cosa stiamo parlando. Ora vediamo di approfondire solo alcuni aspetti della comunicazione di massa, che ne fanno un elemento chiave del processo di passivizzazione delle masse popolari, vittime in ogni continente di politiche repressive e reazionarie che hanno cancellato una serie di diritti basilari. Come diceva qualcuno, già guardare la televisione costituisce in sé un fatto ideologico, giacché si assume più o meno volontariamente il ruolo di spettatore, in virtù del quale il mondo, che dovrebbe essere oggetto della nostra azione consapevole, si trasforma, in mero oggetto di contemplazione; oggetto appunto che osserviamo dall’esterno e ci appare fissato in una serie di immagini, che ne fanno qualcosa che può essere solo constatato e accettato, ma non discusso. A ciò bisogna aggiungere un altro elemento, che può fare comprendere a fondo il modo di operare dei mezzi di comunicazione di massa e che non è detto produca inevitabilmente una visione acritica e passivizzante. Mi riferisco alla nozione di frame, ossia alla cornice o allo schema interpretativo che viene utilizzato in qualsiasi forma di comunicazione, anche quotidiana, senza esplicitarlo se si vuole mistificare, per presentare i “fatti”.

Per avere un’idea dell’ampia serie di argomenti che vengono trattati da Telesur anche con l’aiuto di intellettuali di varie parti del mondo (cito solo il pakistano Tariq Ali e l’australiano John Pilger) [4], basta andare sul sito e soffermarsi sui titoli dei documentari e dei réportages, ma quello che qui ci interessa di più è il modo di porgere il loro contenuto; il frame appunto.

La cornice interpretativa impiegata è sempre volta all’individuazione delle forze sociali e politiche dal cui scontro scaturiscono gli eventi, nei quali è possibile intravedere le tendenze significative del nostro disgraziato tempo e scorgere l’affiorare delle diverse letture date di essi. Anche se spesso al centro dell’attenzione sono posti i vari personaggi, che costituiscono la classe dirigente internazionale (“classe meticcia”, dice Bauman), essi non sono mai presi in considerazione in quanto individui agenti secondo le loro motivazioni psicologiche, ma in quanto espressione concreta di quelle forze sociali e politiche, che si scontrano nell’agone planetario. Si evita così quella banale e fuorviante banalizzazione dei fatti storici che fa, per esempio, della guerra all’Iraq la risposta al delirio di potenza di Saddam Hussein, e di Adolf Hitler un perverso assetato di sangue. Nei programmi di Telesur si cercano le cause degli eventi e si mettono in discussione le possibili letture, consentendo un confronto e quindi stimolando lo spettatore a valutare criticamente quanto osserva e ascolta, restituendogli dunque un atteggiamento attivo. E soprattutto, in generale, si ricorre all’argomentazione, che può essere misurata criticamente, e si evita per quanto è possibile il sensazionalismo che suscita solo un’adesione emotiva e non ragionata; espediente questo utilizzato costantemente dai mezzi televisivi nostrani, che proprio per questo propongono programmi non solo mistificanti, ma anche noiosi, giacché sempre basati sullo stesso paradigma applicato all’arrivo dei rifugiati, ai vari attentati sempre più cruenti e alle vicende di cronaca.

Un’ultima notazione. Quanto all’individuazione delle tendenze rilevanti che stanno indirizzando il percorso della società contemporanea, anch’essa non è perseguita dai nostri programmi televisivi, in cui si cerca di mettere in scena il vissuto del protagonista di un determinato evento, sforzandosi sempre di stimolare l’identificazione emotiva dello spettatore con quest’ultimo; si consolida così così l’immagine di un mondo frammentato e senza senso, i cui caratteri spietati potranno essere superati solo con una forte dose di “buoni sentimenti”, ovviamente sempre cominciando dal “proprio piccolo” e mai dalla dimensione strutturale e strutturante.

Tale impostazione la ritroviamo anche in programmi dalla pretesa culturale, come per esempio RAI Storia, nella quale storici, in grado di parlare di qualsiasi periodo storico e di qualsiasi argomento, si avvicendano riconducendo le drammatiche vicende, che hanno sconvolto il nostro continente, al carattere di qualche regnante o ai suoi problemi matrimoniali. Questo gusto per il vissuto era esplicito anche in un altro programma di Rai Storia, dedicato alle lettere inviate dal fronte e censurate durante la prima guerra mondiale, che se da un lato lasciavano trasparire una straordinaria esperienza dolorosa, assai poco ci dicevano sulle cause dell’evento stesso.

Concludendo, mi sembra che il lavoro di Telesur debba essere valutato più che positivamente, anche se talvolta disturba il tono retorico di certi discorsi politici e il ricorso enfatico e frequente alla parola pueblo, la cui composizione classista ed eterogenea non è mai adeguatamente disarticolata.


Note

[1] Basti citare il totale oscuramento del Partito verde che ha presentato un suo candidato alle elezioni presidenziali statunitensi nella persona di Jill Stein.

[2] In continuazione con la politica della OSPAAAL (Organizzazione di solidarietà dei popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina), fondata all’Avana nel 1966 e che pubblica la Rivista Tricontinental. Aggiungo che Telesur collabora con la televisione satellitare pan-araba Al-Mayadeen (Le piazze) vicina alla resistenza palestinese e a Hezbollah.

[3] Nella regione operano altri organismi, anch’essi segnati da prospettive politiche economico-politiche differenti. Mi limito a menzionare la Alianza del Pacífico, assai vicina agli Stati Uniti, e il Mercosur.

[4] Di questo autore, assai critico verso l’operato di Nelson Mandela, è stato proiettato un pregevole documentario sulla prima guerra mondiale.

30/07/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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