L'Europa e l'imperialismo tedesco di ritorno

Viaggio nella crisi. Un’ analisi delle radici della genesi del polo imperialista europeo ad egemonia tedesca.


L'Europa e l'imperialismo tedesco di ritorno

Viaggio nella crisi (parte IV). Un’ analisi delle radici della genesi del polo imperialista europeo ad egemonia tedesca che è alla base dell’Unione Economica e Monetaria, dell’Euro, dell’indebitamento dei paesi europei e delle politiche di austerità responsabili del massacro sociale a cui sono sottoposte le popolazioni del vecchio continente, partendo dai paesi più deboli.

di Ascanio Bernardeschi

Diciamolo. Ai grandi gruppi economici e finanziari che dispongono delle sorti del mondo, l'antipolitica galoppante torna piuttosto comoda. È conveniente che la corruzione, le collusioni con le cosche mafiose, l'evasione fiscale, la crescita del debito pubblico e il conseguente smantellamento dello stato sociale vengano considerate bubboni putridi dovuti a cause patologiche e colpe individuali, quali l'eccessiva avidità dei politici e di qualche uomo d'affari, anziché la conseguenza ineluttabile di un sistema economico in cui il Dio Denaro e la sua accumulazione sono posti al centro dell'universo e tutto il resto deve essere funzionale a questo scopo, comprese le forme della convivenza (civile?), i rapporti talvolta collusivi (quando si tratta di favorire lo sfruttamento dei lavoratori) e talvolta litigiosi (quando si tratta di spartirsi la torta) tra le multinazionali e tra gli stati. Che dire per esempio della tolleranza verso i vari paradisi fiscali? Certamente non favoriscono il piccolo evasore che si limita ad arrangiarsi tra le pieghe di un fisco iniquo.

Le varie forme di populismo, siano esse di estrema destra o meno (Lega e Movimento 5Stelle in Italia), se da un lato creano qualche sopportabile fastidio, dall'altra sono validi mezzi di canalizzazione del malcontento, non diversamente controllabile, verso falsi obiettivi.

Invece ai politici organici al blocco dominante, che di fatto sono messi lì a ratificare le decisioni prese in altri tavoli e che non sono posti in grado di decidere un bel niente, si deve pur assicurare qualche gratificazione per i loro servigi. E di fatto diviene sempre più evidente la tolleranza verso le loro piccole o grandi ruberie, anche ponendo in essere norme sempre più blande che rendono difficilmente perseguibili simili comportamenti.

La linea invece è stabilita altrove. Quando per esempio si è trattato di imporre alla Grecia, contro la volontà espressa limpidamente dal suo corpo elettorale, le stesse ricette che avevano portato quel paese alla catastrofe, i poteri europei non hanno esitato a mettere in disparte la sovranità di quel paese.

A proposito di questi poteri, non sono mancati contributi, quali quelli del compianto Luciano Gallino, sul cosiddetto finanzcapitalismo, e neppure la consapevolezza sempre più diffusa che, per quanto riguarda l'Europa, fa da padrona la Germania. Ma più rara è una riflessione sulla genesi e le caratteristiche dell'imperialismo tedesco. Tra queste rare eccezioni è da segnalare il bellissimo Anschluss l'annessione di Vladimiro Giacché.

Alcuni dati dell'economia tedesca

Che effettivamente siamo di fronte a un'egemonia tedesca sul terreno economico è una sensazione piuttosto condivisa e rafforzata dai recenti dictat che la Germania, sotto le mentite spoglie dell'Ue, ha imposto a vari paesi. Ma non è bene fidarci solo delle sensazioni e vedere alcuni dati di fatto.

La Germania rappresenta il 24 per cento della popolazione dell'area Euro ma il suo Pil supera il 28 per cento e le sue esportazioni sfiorano il 30%. Nei suoi confronti, un'altra potenza Europea, la Francia, vanta poco più del 19% della popolazione, ha una quota di Pil grossomodo identica (19,7%), ma una quota di solo il 14% di esportazioni. Per non parlare dell'Italia che a fronte di una popolazione pari al 17,5 di quella dell'intera area Euro ha un pil pari al 16,5 per cento ed esportazioni che non raggiungono il 7,6%. In altri termini, il Pil pro capite in Francia raggiunge circa l'87% del Pil pro capite della Germania e le esportazioni pro capite sono circa il 59% delle esportazioni pro capite tedesche. In Italia le due percentuali scendono rispettivamente all'80 e al 40 per cento.

Esaminando altri indicatori, quali gli investimenti diretti esteri (Ide), mente per i flussi in entrata la Germania non è classificata tra le prime 20 nazioni, registrando nel 2014 investimenti esteri in Germania di circa 1,8 miliardi di dollari (pochissimi se si confrontano con i 23,8 del 2009), in uscita si colloca al 5° posto con 112,2 miliardi, staccando nettamente la Francia (42,9 miliardi), la Spagna (30,7) e l'Italia (23,5) e registrando un incremento del 64% sul 2009. In termini di stock di capitali, la Germania è passato da 226,6 miliardi di capitali esteri esistenti nel suo territorio nel 1990 a 743, 5 nel 2014 (+ 28%), ma i capitali esportati, che assommavano nel 2009 a 308,7, sono più che quintuplicati nel 2014 giungendo a 1.583,3 miliardi (+413%!).

Anche le attività all'estero delle multinazionali non finanziarie di proprietà statale sono significative: la Volkswagen si colloca al primo posto nel mondo con un patrimonio all'estero di 176,7 milioni di dollari su un patrimonio totale di 446,6, vendite all'estero per 72,1 miliardi su un totale di vendite di 118,5 e 73mila addetti all'estero su 147,2mila complessivi. Ma tra le prime 10 multinazionali, per esattezza al 6° posto si trova anche la tedesca Deutsche Telekom AG Germany Telecommunications (120 milioni di patrimoni all'estero, 50 milioni di vendite all'estero e 112mila addetti all'estero).

La Germania si colloca al primo posto in Europa anche per quanto riguarda i prestiti intra aziendali sia per quelli ricevuti che per quelli concessi. Con la differenza che mentre quelli ricevuti sono diminuiti nel 2014 del 28 per cento rispetto all'anno precedente, quelli concessi sono aumentati del 19 per cento.

Genesi dell'imperialismo tedesco

Sotto il nazismo, l'imperialismo tedesco guardò principalmente verso est, prendendo a pretesto ideologico la minaccia comunista è canalizzò verso quell'area la maggior parte delle sue risorse militari, occupando i Balcani, l’Ucraina, l’Europa dell’Est e i Paesi Baltici. Dopo la sconfitta nazista, consumata in maniera decisiva a Stalingrado, la Germania venne smembrata e posta sotto il controllo delle potenze vincitrici. Mentre la parte Nord-Est, sotto tutela sovietica, diede luogo alla Repubblica Democratica Tedesca (Rdt), le parti di pertinenza delle potenze occidentali vennero riunificate in una repubblica federale, la Rft. La città di Berlino, posta nel cuore della Rdt, fu anch'essa spartita in settori, sostanzialmente di di pertinenza dei due nuovi blocchi geopolitici che si andavano affermando. Il muro di Berlino, realizzato nel 1961, fu un prodotto della “guerra fredda” e il simbolo della divisione dell'Europa tra i due blocchi che si erano formati.

Com'è stato possibile a questa nazione sconfitta, devastata e smembrata divenire di gran lunga la prima potenza europea? Per una precisa scelta strategica, gli Usa reinsediarono nel territorio tedesco di propria pertinenza l'apparato economico, finanziario e militare ereditato dal regime nazista e furono prodighi di aiuti nei suoi confronti. Fu così che vennero ricostruiti l’economia nazionale ed, entro certi limiti, il potere politico, mantenendo comunque, inizialmente, una sorta di impedimento all'attivismo militare.

La Germania acquistò così un crescente peso e, con l'annessione della porzione nord-orientale, coincidente con la disgregazione del blocco sovietico, divenne leader europea e determinante nel disegnare il processo di costruzione dell'Ue. La Rft prese il controllo diretto dell'annessione, senza l'interferenza della popolazione interessata e degli altri partner europei, neppure per quanto riguarda le modalità e i tempi. L'economia dell'Est venne praticamente smantellata. Con la privatizzazione delle industrie statali, centinaia di migliaia di lavoratori furono licenziati. La disoccupazione decuplicò, il tenore di vita e le tutele del welafare si abbassarono brutalmente. Un milione e mezzo di validi di lavoratori, tecnici e ingegneri si trasferirono in Occidente e vennero utilizzati senza sostenere nessun costo di formazione. Fu così che la Germania accrebbe il proprio potere economico e cominciò a dettare le scelte dell'Ue, imponendo i costi relativi alle classi lavoratrici di tutta Europa.

La potenza tedesca si avvalse in seguito delle regole sancite dal trattato di Maastricht. I limiti dei deficit di bilancio e dei debiti in rapporto al Pil furono costruiti a misura dell'economia tedesca e si sono rivelati insostenibili per le economie più deboli. La moneta unica e la conseguente impossibilità di usare la svalutazione monetaria per rendere più appetibili le produzioni degli stati meno competitivi, pur hanno determinato forti disavanzi commerciali di questi ultimi, speculari con l'avanzo tedesco, nonostante la loro parziale attenuazione con la riduzione del costo del lavoro.

Se le responsabilità maggiori della attuale crisi europea sono a carico del capitalismo tedesco, non occorre dimenticare che i paesi più esposti a questa crisi, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) hanno la colpa di non essersi adeguatamente opposti alle scelte economiche e monetarie dell'Ue e di non avere attivato politiche che migliorassero la loro competitività, ricercata solo abbassando le tutele del lavoro e lo stato sociale, combattendo la corruzione, la criminalità organizzata, la grande evasione fiscale e promuovendo l'innovazione. Altra responsabilità è stata aver permesso alla Germania di gestire a modo suo l'unificazione tedesca, senza alcuna interferenza degli altri paesi Ue, che però pagarono il conto con la crisi che ne seguì e con le politiche di austerità.

Con l'annessione si aprirono per la Germania riunificata i mercati dell’Est Europa e della Russia, che vennero ben presto dominati, grazie anche ai nuovi governi compiacenti di quei paesi, a partire dalla Russia eltsiniana, che favorirono il saccheggio di tutta l’economia, le privatizzazioni a prezzi stracciati e la trasformazione dei loro apparati industriali in un mercato per le tecnologie made in Germany in cambio di gas, petrolio e materie prime.

Con il liberismo di stampo clientelare che si impose, l'Europa dell'Est si trasformò in una sorta di colonia dominata economicamente dalla Germania e militarmente dalla Nato a guida statunitense. I nuovi regimi dell'Est aderirono alla UE e alla Nato in posizione subordinata, cedendo sovranità e controllo dei mezzi di produzione in cambio di mance.

Anche la nuova libertà di movimento della forza-lavoro, rimasta disoccupata in patria e quindi acquistabile sottocosto e al nero, contribuì ad accrescere l'esercito industriale di riserva, favorendo la compressione generalizzata dei salari e più in generale una politica economica deflattiva che tese ad accrescere i profitti e la competitività del nuovo impero tedesco, a scapito della bilancia commerciale di altri paesi quali quelli dell'area mediterranea.

Attraverso l'Unione Europea e i suoi “fondi strutturali” o altri strumenti finanziari, il capitalismo neo imperialista tedesco è penetrato nei mercati orientali e anche in quelli mediterranei. In ciò gli è stato di aiuto la politica estera aggressiva statunitense che si pone l'obiettivo di accerchiare la Russia e favorire i movimenti separatisti e antirussi, anche di stampo nazista, negli ex paesi dell'Urss ed ex satelliti.

Accanto al potere economico sono cresciute anche le ambizioni politiche e militari. Il tabù che impediva alla Germania interventi militari fuori dai suoi confini, venne presto infranto nell'ambito dell'alleanza atlantica che le ha consentito di partecipare alle guerre guidate dagli USA nel Medio Oriente, Nord Africa, Asia Meridionale e in Ucraina e lucrare grossi profitti derivanti dalla fornitura di armi e “assistenza militare” in Afghanistan, Siria ed Iraq e a Israele. Come sotto Hitler, la Germania odierna è alleata con i collaboratori neonazisti e criminali dell'Ucraina, scatenati contro le popolazioni dell'Est, russofone. Mentre si affermava la potenza globale tedesca, gli Stati Uniti dal canto loro installavano nuove basi militari della Nato funzionali alla nuova mission dell'Alleanza, cioè alle nuove guerre imperialiste.

Il tutto avrebbe potuto reggersi se fosse perdurata la politica subordinata della Russia. Ma quando Gli Usa hanno cercato di espandere il loro impero in Medio Oriente, in Africa e in Asia meridionale (Somalia e Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Georgia, Ossezia, Ucraina) la nuova dirigenza russa, inizialmente intenzionata ad aderire alla Nato, ha colto la manovra di accerchiamento e, anziché seguire le orme di Eltsin, ha preso le sue contromisure. Da parte sua anche la Cina, al momento non esplicitamente interessata da queste manovre, ma che senza dubbio è l'altro destinatario di queste politiche, sta rafforzando le sue dotazioni militari.

La ricostruzione dello Stato russo e del suo apparato militare da parte di Putin ha messo in discussione sia la supremazia militare assoluta degli Stati Uniti che l’espansione economica tedesca. Da qui i tentativi di spodestamento di Putin, anche fomentando l'opposizione interna.

La Germania ha guidato l’avanzata imperiale rafforzando i legami con le economie delle ex Jugoslavia e Cecoslovacchia e della Bulgaria, e “consigliando” a quest'ultima di impedire il passaggio del gasdotto russo South Stream. La Bulgaria ci ha scapitato 400 milioni di dollari. La Moldavia da parte sua, ha pagato la sua sudditanza all'Occidente con la perdita di 150 milioni di dollari di esportazioni verso la Russia, a dispetto della circostanza che le due economie erano fortemente legate (il 25% del PIL moldavo è dovuto alle rimesse dall’estero dei numerosi lavoratori emigrati in territorio russo).

La guerra economica contro la Russia è proseguita con il boicottaggio seguito alla crisi ucraina a scapito degli interessi degli stati vassalli, mentre si concentrano le piattaforme militari Nato lungo la frontiera russa e si amplificano le “crisi” e le “rivoluzioni” nei paesi circostanti. I regimi di estrema destra e antirussi in Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania sono anch'essi funzionali all'affermazione dell'imperialismo tedesco che come ai tempi di Hitler, sia pure con mezzi diversi, si rivolge principalmente verso Est.

Non si può dire però che tra l'imperialismo tedesco e quello americano siano solo rose e fiori. Anche recentemente sono emerse notevoli differenziazioni rispetto alla strategia Usa nei confronti della Russia e del Medio Oriente. Emergono preoccupazioni sulla stabilità dei governi fantocci e sui possibili contraccolpi di una politica che impone sacrifici alle popolazioni. Per questo sussistono notevoli divisioni anche all'interno della classe dirigente tedesca fra un gruppo maggioritario pro-USA, disposto anche a sacrificare i commerci con la Russia e un altro, più legato al settore industriale, che vorrebbe togliere le sanzioni normalizzare le relazione con quel paese. Vista la prevalenza, fin qui, dei primi, la Germania punta sulla nuova forza di dispiegamento rapido della Nato che potrebbe essere impiegata per sostenere i vacillanti regimi “amici”. In ogni caso, come ai tempi del nazismo, si inventa una minaccia russa per mettere in atto una politica aggressiva a sostegno dei propri gruppi industriali/finanziari.

Questo per esempio è avvenuto nei riguardi dell'Ucraina, dove il colpo di stato che ha messo al potere altri fantocci dell'Occidente e la successiva guerra nei confronti delle regioni che non si erano allineate è stata diretta dalla Nato, ma i media europei hanno individuato l'aggressore nella Russia. Le successive sanzioni sono funzionali ad affamare questi nuovi antagonisti e rianimare l'opposizione a Putin.

Come abbiamo già accennato, in queste vicende non si parla di Cina, ma è evidente che cercando di indebolire la Russia e ricollocarla all'interno dell'egemonia occidentale si tende anche ad accerchiare e isolare la nuova potenza asiatica emergente. Le stesse reazioni agli attentati dell'Isis in Francia, frutto perverso di una folle politica mediorentale di Usa ed Europa, consistono nel potenziamento di tutti i dispositivi militari rivolti anche verso Russia e Cina e – temiamo – in preparazione di una spaventosa guerra. Non lasciamoci ingannare dalla solidarietà e apparente comunione di intenti manifestata a caldo tra Occidente e Russia. Da parte russa si è cercato probabilmente di utilizzare l'emozione iniziale per allentare la morsa entro cui è stata stretta. Da parte europea si è trattato del pretesto per abbassare gli ostacoli al potenziamento dei propri arsenali militari. Ma la guerra economica, politica e militare continua.

Fonti:

Luciano Gallino, Fnanzcapitalismo, Giulio Einaudi editore, 2011

Vladimiro Giacché, Anschluss l'annessione. L'unificazione della Germania e il futuro dell'Europa. Imprimatur editore, 2013

International Monetary Fund, World Economic Outlook. Statistical Appendix, Aprile 2015

Sergio Magaldi, Germania imperialista… suo malgrado, http://zibaldone-sergio.blogspot.it/2012/06/germania-imperialistasuo-malgrado.html

James Petras, L’ascesa dell’imperialismo tedesco e la falsa “minaccia russa”, http://www.resistenze.org/sito/te/pe/im/peimfa21-015674.htm

Allo stesso indirizzo Url e dello stesso autore si veda anche, La caduta del Muro di Berlino e la moltiplicazione di Muri Occidentali

United Nations Conference on Trade and Development, World Investiment Report 2015. Reforming International Investment Governance, 2015 reperibile nel webb (http://unctad.org/en/PublicationsLibrary/wir2015_en.pdf)

21/11/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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