La bomba sotto la cicatrice, cosa stiamo alimentando in Ucraina?

Partendo dalla ricostruzione della comparsa di Zelensky e del suo partito nello scenario politico, si analizzano gli ultimi sviluppi della situazione politica e sociale dell’Ucraina, in relazione all’attuale conflitto con la Russia, con particolare attenzione alla richiesta di una no fly-zone e alla strategia della Nato.


La bomba sotto la cicatrice, cosa stiamo alimentando in Ucraina?

La guerra in Ucraina ci accompagna ormai da quasi un mese, un mese di città rase al suolo dalle bombe, di civili coinvolti negli scontri, di negoziati e incontri di delegazioni che finiscono a vuoto, condotte da un precario gioco a tre tra Usa, Russia e Cina (l’Ucraina presenta le ragioni dell’aggredito mentre Israele tenta di salvare le apparenze agli occhi di un’opinione pubblica mondiale titubante nei suoi confronti per un problema chiamato Palestina). In tutto questo i nostri commentatori nazionali si dilettano in una competizione acrobatica da circensi professionisti e, dividendosi in due gruppi (gli atlantisti interventisti fanatici, convinti che qualche esplosione un po’ qua e un po' là possa salvare l’Ucraina grazie all’unità e al “nobile” sacrificio degli “altri” e i filoputiniani falsamente pacifisti che, per smarcarsi dai loro trascorsi con lo zar, fingono che non sia mai accaduto niente e stanno dalla parte dell’Ucraina o degli “ucraini” solo per convenienza), cercano di schiacciare chiunque contravvenga al gioco delle narrazioni e cerchi di portare un’analisi coerente e approfondita o anche solo chi professa una posizione coerentemente pacifista. Sarebbe comico tutto ciò se solo non fosse tragicamente reale, troppo reale.

Tra questo mare di parole che sono state pronunciate, io proverò a dare la mia analisi e la mia opinione sugli avvenimenti delle ultime settimane, non tanto per fare una lunga dietrologia storica ma per parlare di quello che sta accadendo in Ucraina: in particolare degli ultimi sviluppi politico-sociali e di come essi stiano lentamente annullando il motivo per cui molti invocano una no fly- zone per difendere l’Ucraina, non badando alle conseguenze che questo atto comporta.

Partiamo con qualche parola su Zelensky: salito agli onori dei media come il simbolo della democrazia contro la tirannide zarista, ha recentemente attuato un decreto per il quale l’attività di undici partiti verrà drasticamente limitata per il loro orientamento “filorusso” e per essere artefici diretti dell’invasione russa e di rapporti diretti con Putin (in verità in un articolo dell’Espresso, Vladyslav Starodubtsev, membro della formazione politica indipendente di sinistra Sotsialny Rukh, spiega che non avviene esattamente questo all’interno di tutti questi partiti) e tutte le TV ucraine saranno costrette a trasmettere a reti unificate le notizie riferite alla guerra su un unico canale televisivo. Insomma, tutto questo non sembra il comportamento di un presidente democraticamente eletto che combatte per la libertà e la democrazia e, soprattutto se poi si considerano anche gli arresti di oppositori politici, dovuti al solo sospetto che fossero “spie” russe e a volte anche un po' di giustizia sommaria verso un diplomatico ucraino, giustificato dalla legge marziale vigente in Ucraina, il quadro diventa più torbido e i difensori della “democrazia” sono imbarazzati nello spiegare questi avvenimenti. In verità tutto acquisisce un senso se analizziamo la vera natura della politica ucraina, di quella che è in verità la vera fragile base di Zelensky e dei gruppi organizzati di estrema destra che, pur non avendo un grande potere elettorale, hanno un grande potere nella società civile e nelle formazioni politiche protagoniste dell’Euromaidan (e non va sottovalutato).

Come tutti ormai sappiamo, Zelensky è emerso dall’elezione del 2019 come outsider della politica. Prima era conosciuto come comico di una serie televisiva nota come “Servitore del popolo” nella quale lui interpreta un professore che si candida e vince le elezioni, scontrandosi con l’oligarchia dominante. Questo prodotto mediatico si realizza il giorno in cui Zelensky vince veramente le elezioni e i suoi sostenitori creano il partito “Servitore del popolo”, per dare a Zelensky una base parlamentare per attuare il suo programma. Questo partito componeva o cercava di mettere insieme tutto quell’elettorato che negli anni post maidan non aveva mai trovato posto: un coacervo di liberali, conservatori, filorussi, filoucraini, pro-Nato e pro-Russia (infatti Zelensky all’inizio veniva tacciato di essere troppo filorusso). Si tratta di gente che normalmente non andrebbe d’accordo su nulla dal punto di vista politico ma che è accomunata da un unico malcontento generale per la situazione di precarietà e disuguaglianza venutasi a creare 30 anni or sono, quando le privatizzazioni selvagge post crollo dell’Urss colpirono il paese (per esempio, Poroshenko, uno dei più noti politici ucraini, aveva fatto fortuna con il mercato delle saponette delle ex fabbriche sovietiche). 

Insomma, una situazione speculare a quella di altri partiti nostrani, come il nostro caro M5S (infatti i paragoni tra Zelensky e Grillo non sono mancati) con la differenza che il M5S una base, per quanto confusa, almeno ce l’aveva e anche con idee interessanti (poi rovinate malamente ma questo è un altro discorso). Tempo qualche mese di governo e già il partito del giovane outsider veniva dilaniato dai numerosi conflitti delle sue diverse e incompatibili anime con, a loro volta, tanti interessi altrettanto contraddittori. Inoltre, aveva anche organizzato un congresso con l’obiettivo d’istruire i deputati del partito su come funzionasse il lavoro parlamentare (dato che molti di loro non avevano mai avuto a che fare pima di allora con la politica) ma il partito è rimasto frammentato, sballottato da una corrente al altra, paradossalmente diventando più un peso per Zelensky che un aiuto in quanto ostacolo nel portare avanti il suo programma (che già non spiccava per complessità e chiarezza su cosa volesse fare). Di contro, i partiti e i politici fautori della svolta di euromaidan nel 2014, nonostante il loro calo dal punto di vista dei seggi, la loro influenza egemonica (come direbbe Gramsci) sulla società civile, sui media e i loro rapporti clientelari con aziende e multinazionali che operano sul suolo ucraino, sono rimasti pressoché gli stessi. Si tratta di un sistema oligarchico e finanziario ben oleato, nato dopo lo scioglimento dell’Urss e che si è insinuato in tutti i gangli dell’apparato politico burocratico ucraino. Esso, dopo maidan e soprattutto dopo le famose leggi di “decomunistizzazione” attuate dal governo Poroshenko (che hanno ancora più stretto la morsa contro le opposizioni nel paese, sdoganando anche figure piuttosto “discutibili” come Bandera), si è ancora più saldato, supportato non solo da milizie paramilitari di estrema destra come il famigerato battaglione Azov (insieme anche a gruppi come C14 e Pravy Sektor) ma anche finanziato dal ministro dell’ interno Avakov e da insospettabili società di mining e transazioni in criptovalute (le stesse che nelle pubblicità su YouTube ti promettono guadagni stratosferici in un mese) che dal 2013-14 hanno trovato terreno fertile in Ucraina, contribuendo con il loro finanziamento ad esacerbare il conflitto in Donbass (e in questo periodo sono molto attive nell’occuparsi delle transazioni economiche in Russia per poter permettere ai russi di aggirare i limiti delle sanzioni economiche) e guadagnarsi le simpatie dell’estrema destra locale e mondiale.

Vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con Zelensky indebolito, giusto? Ve lo spiego in poche parole… non so se avete mai visto Game of Thrones (io no purtroppo) ma c’è una frase in quella serie televisiva che mi ha sempre colpito. Un personaggio pone un quesito ad un altro: “chi e più forte tra cinque e uno?” e, prima che l’altro possa rispondergli con la risposta più ovvia, ecco che quello che ha posto la domanda gliela ribalta completamente “cos’è più forte tra cinque sparpagliati, divisi e litigiosi e uno forte, compatto, determinato e organizzato?”. Questo è un ottimo esempio di Machiavellismo puro che, applicato alla politica ucraina, ci restituisce il quadro completo: uno Zelensky in balia dei suoi stessi parlamentari contro dei politici consumati che sono odiati ma, allo stesso tempo, hanno potenti agganci e sono uniti da un’ideologia forte e riconoscibile. Infatti se Zelensky nei sondaggi mantiene una soglia molto alta, non si può dire lo stesso del suo partito.

Per questo Zelensky sta attuando questo genere di politiche e utilizza un certo tono bellicista, conosce la sua posizione precaria e deve in qualche modo rafforzarla, mostrando i muscoli in un periodo così delicato come questo così da poter tenere alto il suo consenso popolare. Allo stesso tempo, deve anche accontentare i sostenitori degli oligarchi “nazional-liberali” (come amano definirsi), di fatto misurando le parole di distensione verso Putin, non solo per l’attacco che la Russia sta portando avanti ma anche perché sa che gli oligarchi ucraini temono che qualsiasi concessione fatta a Putin possa mettere in pericolo i loro affari e, qualora ne avessero il sospetto, non si farebbero problemi a cercare di deporlo con la forza (e anche Putin lo sa bene, per questo aveva cercato di stimolare all’interno dell’ Ucraina un colpo di stato militare, non andato a buon fine perché questi ultranazionalisti, al contrario dei suoi del gruppo Wagner, rispondono a un altro padrone).

Vorrei anticipare qualche risposta a chi, tra i sostenitori di Zelensky pro-Nato, verrà infastidito dal mio articolo: io non ho particolari problemi con Zelensky, infatti, fino a qualche anno fa, nemmeno lo conoscevo e non sapevo neanche della sua precedente attività di comico. Magari sta anche provando a fare qualche passo avanti verso la pace. Quello che voglio ribadire è che la mia critica è sistemica, cioè è indipendente da chi occupa i posti di potere in questo momento perché è un intero apparato economico, politico e burocratico ad aver condotto l’Ucraina nella disastrosa situazione in cui è ora (idem per la Russia). Persino Zelensky non si può definire del tutto pulito da questo sistema (i rapporti tra lui e l’oligarca Kolomoisky non sono mai stati chiariti).

Quello che Zelensky sta sdoganando in Ucraina è deleterio per quel poco di democrazia che si è costituita, e più questa guerra durerà, più si perderà il senso per cui molti stanno chiedendo ininterrottamente a squarcia gola di creare una no fly-zone (sulla quale vertono molti interessi economici di grandi produttori di armi ma che ha il potenziale di mandare il nostro mondo alla rovina). Ma non è tanto questo di cui mi preoccupo, come ha evidenziato Alberto Negri (giornalista ed ex inviato di guerra), infatti, il conflitto allo stato attuale rischia di trasformarsi in una nuova Siria o ancor peggio in un nuovo Afghanistan! Ma perché ci dovrebbe preoccupare un nuovo Afghanistan? O meglio, perché non ci dovrebbe preoccupare?

In un articolo del Time, viene documentato un incontro tra i rappresentanti del governo ucraino e il miliardario produttore di armi Eric Prince per creare una sorta di esercito privato composto da veterani ucraini (inoltre Prince proponeva, a suo vantaggio, l’acquisizione di metà dell’apparato militare industriale ucraino), utilizzando anche il suo esercito personale: la Blackwater (accusata di crimini di guerra durante l’invasione dell’Iraq). Se a questo si aggiunge il fatto che più di 17,000 mercenari si sono diretti in Ucraina per combattere con l’esercito (tra cui anche italiani che tramite organizzazioni terze riescono ad andare in Ucraina aggirando i vincoli costituzionali) e la pressione della Nato di mandare armi per “difendere la popolazione”, si delinea una prospettiva inquietante su quella che è la probabile strategia Nato che si vuole adottare per contenere la Russia: appaltare il conflitto alle milizie e all’esercito ucraino e contractor, lasciare l’Europa a gestire la patata bollente e cercare d’impantanare Putin in conflitto simile a quello in cui l’Urss trovò la disfatta. Il problema di questa “strategia” (oltre l’elevato costo di vite umane civili) è che, come per il conflitto in Afghanistan, crea dei veri e propri mostri perché è proprio armando i mujahidin che si è creato quello che oggi conosciamo come il moderno terrorismo islamico, con l’emergere di Osama Bin Laden e i Talebani. Ora immaginate la stessa cosa in Ucraina ma, al posto dell’estremismo islamico, mettete quello di estrema destra: nessuno sa quali effetti nefasti avrebbe una simile svolta. Del resto, anche uno degli architetti della strategia di contenimento dell’Urss durante la guerra fredda aveva dichiarato che un’espansione della Nato ad est avrebbe scatenato col tempo solo instabilità e, di questo conflitto interimperialista per l’espansione dei mercati esteri, a pagarne sono sempre i civili inermi, sia quelli direttamente coinvolti sia, a lungo termine, quelli dietro la linea del fronte, senza speranza, senza un futuro, senza niente. I venti di guerra spazzano via tutto senza lasciare traccia.

E con questo ho finito, ricordo che questa è una mia analisi basata sulle fonti che ho raccolto. Potrei anche sbagliarmi su alcune mie previsioni e spero sia così.

A quelle che sono le domande rivolte ai “pacifisti” su come far terminare la guerra nell’immediato presente, io rispondo che non lo so di preciso. In un mio precedente articolo avevo proposto delle opzioni a riguardo ma erano incentrate sul prevenire futuri conflitti e far terminare quelli in corso più che sul far terminare subito questo conflitto in particolare. Di certo, come dicono gli attivisti di Sotsialny Rukh, una cosa buona sarebbe annullare il debito ucraino in modo che la popolazione possa soffrire di meno ma quello che so per certo è che non basta inviare qualche fucile per dire di aver fatto la propria parte se vogliamo dimostrare che   l’Occidente è davvero portatore di “pace e libertà”. Cerchiamo di aiutare davvero affinché si ottenga la pace (dato che noi ci teniamo molto a ribadire che “loro non possono permettersele”), cercando di non fare gli stessi identici errori. 

 

08/04/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: