Controstoria della filosofia – V incontro: lo Scetticismo

Mercoledì 5 ottobre dalle ore 18 alle 20,15, quinta lezione del corso di filosofia: Controstoria della filosofia, tenuto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. La lezione (in presenza a via Goito 35/b; in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci e in differita su youtube) affronterà, in un’ottica marxista, lo Scetticismo.


Controstoria della filosofia – V incontro: lo Scetticismo

Mercoledì 5 ottobre alle ore 18 avrà luogo il quinto incontro del corso di filosofia, introdotto dal prof. Renato Caputo, intitolato Controstoria della filosofia da un punto di vista marxista (III ciclo): lo Scetticismo. Per una introduzione al corso in cui si chiariscono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema del corso clicca qui. Di seguito potete leggere una versione sintetica dei temi che saranno affrontati e discussi nel quinto incontro, il quale avrà luogo nel Circolo culturale Cento fiori via Goito 35/b Roma, metro stazione Termini, e in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci. Il video del corso sarà disponibile nei giorni successivi sul canale youtube dell’Università popolare Antonio Gramsci, sulla pagina facebook e sul sito.

1. Definizione e introduzione generale

Lo scetticismo ritiene che la più alta forma di intelligenza e saggezza consista nel riconoscere che l’uomo non possa accedere alla verità ultima delle cose. Il termine scepsi deriva dal greco antico skèpsis, che significa ricerca, indagine volta a riconoscere la fallacia delle varie dottrine. Lo scetticismo è infatti un atteggiamento mentale aperto alla ricerca, che non è soddisfatto del sapere disponibile, ma lo pone in dubbio, ne chiede una giustificazione razionale.

L’atarassia quale fine pratico dello scetticismo

La scepsi appartiene al filosofare, alla ricerca filosofica, in quanto contrasta ogni accettazione di una “verità” acritica e dogmatica. Lo scetticismo ha un fine pratico ottenere la pace interiore, l’atarassia, generata dalla consapevolezza che le problematiche discusse dai dogmatici sono vane ciarle.

La genesi dello scetticismo

La scepsi percorre tutto il pensiero greco, la ritroviamo ad esempio in Socrate, anche se lo scetticismo porta l’atteggiamento ironico socratico alle estreme conseguenze. Lo scetticismo si batte contro il dogmatismo e la pretesa di ritrovare una verità al di là dei fenomeni. Lo scetticismo sostiene la necessità di sospendere il giudizio (epoché) circa la verità o falsità delle nostre affermazioni. Lo scetticismo ritiene infatti che non sia possibile fissare un criterio di verità. Del resto la conoscenza sensibile è poco attendibile, ad esempio un remo nell’acqua appare spezzato. Inoltre la conoscenza sensibile è sempre relativa. I sensi non vanno oltre il fenomeno (ciò che appare).

Afasia e Atarassia

Del resto secondo gli scettici neppure l’attività razionale riesce ad andare veramente al di là dei fenomeni. Lo scarto fra la realtà in sé e la realtà percepita dai sensi non può essere colmata dall’intelletto. L’Afasia quale rinuncia a pronunciarsi, indica l’impossibilità di affermare alcunché di positivo sulla realtà, sia nella conoscenza che nella morale. Ne segue l’atarassia, l’assenza di turbamento, la tranquillità interiore dello scettico. Entrambe sono necessarie per il raggiungimento della felicità.

I tre momenti dello sviluppo storico dello scetticismo

Storicamente lo scetticismo si sviluppa in tre momenti:

1) Lo scetticismo primitivo, a partire da Pirrone vissuto al tempo di Alessandro Magno e poi i suoi immediati continuatori (IV-III a. C.).

2) Lo scetticismo dell’accademia, i cui protagonisti sono Arcesilao e Carneade (III-II a. C.)

3) Il Neopirronismo, ossia lo scetticismo empirico che si sviluppa in epoca romana fra il I secolo a. C. e il II d. C. I principali esponenti del neopirronismo sono Enesidemo e Sesto Empirico.

Pirrone e lo scetticismo primitivo

Pirrone, nato a Elide nel Peloponneso intorno al 365 a. C., è stato presumibilmente influenzato dalla scuola eleo-megarica. Partecipa alla campagna di Alessandro Magno, che gli consente di conoscere la cultura orientale. Tornato in patria fonda una scuola che dura poco dopo la sua morte. Vive in semplicità e muore vecchissimo.

Le fonti di Pirrone

Pirrone ama ripetere i versi omerici: “quale delle foglie la stirpe, tale anche quella degli uomini” e “volubile è dei mortali la lingua; son molti i discorsi”. Non ha lasciato nulla di scritto. Le sue dottrine ci sono note dall’esposizione di Diogene Laerzio e dai frammenti dei Sillogi (versi scherzosi) con cui il suo scolaro Timone ne ha difeso la dottrina.

La realtà in sé non è conoscibile, occorre perciò sospendere il giudizio

Per Pirrone non ci sono cose vere o false, buone o cattive assolutamente, per natura, ma solo per convenzione e relativamente. Sono le abitudini degli uomini, i loro costumi, a rendere qualcosa buono o cattivo, vero o falso. Al di fuori di tali credenze e convezioni, sempre mutevoli, non è possibile giudicare, visto che la realtà in sé è inafferrabile per l’uomo. Perciò l’unico atteggiamento legittimo è la sospensione (epoché) di ogni giudizio.

L’aterassia quale consapevolezza della mancanza della Verità

Secondo Pirrone solo lo scetticismo riesce a procurare l’atarassia, cioè l’imperturbabile serenità della mente. Infatti il sapiente, messosi il cuore in pace dopo aver compreso che al mondo non esiste la Verità con la lettera maiuscola, guarda con superiorità gli eserciti dei metafisici che si battono con guerre di parole su questioni su cui non è possibile decidere.

Vita secondo il senso comune e afasia

Ciò non toglie che nella pratica lo scettico viva come gli altri, ma egli ha in più la consapevolezza che nulla ha un significato assoluto. Perciò, ne dedurrà Timone di Fliunte, l’atteggiamento preferibile è quello di non pronunciarsi riguardo ad alcunché (afasia).

La media e la nuova accademia

L’indirizzo scettico è ripreso dall’Accademia platonica. Platone aveva sempre negato che il mondo sensibile, per il suo carattere mutevole e vario, potesse essere oggetto di scienza, ritenendo che la scienza, cioè la conoscenza assolutamente vera, potesse avere per oggetto il mondo dell’essere. In un’epoca in cui la filosofia è intesa essenzialmente come filosofia pratica e non teoretica, ci si attiene soltanto alla parte negativa dell’insegnamento platonico: l’impossibilità di una conoscenza certa delle cose di questo mondo. 

Arcesilao

Arcesilao di Pitane (315-240 a.C.) quando diviene direttore dell’Accademia gli dà un indirizzo scettico. Arcesilao non esprime nessuna opinione propria, ma si limita a criticare quelle altrui, anche per questo non ha lasciato nulla di scritto. Arcesilao radicalizza l’insegnamento socratico, il sapere di non sapere, affermando che anche di questo non si può esser certi. A ogni tesi contrappone l’opposta mostrando che nessuna delle due ha valore di verità e quindi non è possibile decidersi né per l’una né per l’altra. Così difende la sospensione (epoché) dell’assenso teorizzata da Pirrone.

Il buon senso o la ragionevolezza come criterio dell’agire

Anche l’azione, secondo Arcesilao, non può basarsi su una conoscenza assoluta, ma si fonda su un motivo ragionevole. Perciò il criterio di scelta deve essere il buon senso o la ragionevolezza. 

Carneade

Può tardi capo dell’Accademia diviene Carneade di Cirene (213-128 a.C.) che fonda la nuova Accademia. La sua eloquenza fa grande impressione a Roma quando viene in ambasceria. Un giorno in un discorso loda la giustizia come base della vita civile, mentre il giorno dopo dimostra che la giustizia cambia a seconda del tempo e dei popolo e spesso è in contrasto con la saggezza. Ad esempio il popolo romano per essere giusto avrebbe dovuto restituire ai popoli vinti tutti i loro territori, ma agendo così non sarebbe stato saggio. 

Il probabilismo

Carneade non ha lasciato, in quanto scettico, scritti. È stato acerrimo critico dello stoicismo e della sua concezione provvidenzialistica. Carneade ritiene che non è possibile individuare un criterio di verità, ma al contempo non volendosi limitare alla sospensione dell’assenso, individua un criterio di credibilità, che consente di selezionare le opinioni maggiormente plausibili. Una rappresentazione persuasiva non contraddetta da altre ed esaminata in ogni sua arte costituisce il grado più elevato di verosimiglianza cui l’uomo possa giungere. Questo grado moderato di scetticismo si definisce probabilismo.

Gli ultimi scettici

Abbandonato in seguito dall’Accademia lo scetticismo, fra il I secolo a.C. e il II d. C., è ripreso da pensatori che si richiamano direttamente a Pirrone.

Enesidemo

Enesidemo di Crosso (80-10 a.C.) insegna ad Alessandria e scrive i Discorsi pirroniani, oggi perduti. Egli indica dieci modi, o tropi (dal greco tròpoi), per giungere alla sospensione del giudizio, o meglio per considerare la conoscenza come sempre relativa. Le conoscenze variano a seconda dei diversi uomini, per le circostanze in cui si acquistano, per le varie mescolanze in cui si trovano, per le differenti educazioni, costumi e credenze di chi le fa. Dunque lo stesso oggetto appare diverso da uomo a uomo e per lo stesso uomo in tempi diversi. Perciò non si può sapere quale delle diverse opinioni sia vera e, dunque, occorre sospendere l’assenso (epoché).

Agrippa

Agrippa indica diversi modi per giungere all’epoché: 1) la discordanza fra le opinioni dei filosofi; 2) ogni dimostrazione si fonda su presupposti che debbono essere a loro volta dimostrati e così via all’infinito; 3) il soggetto non conosce mai l’oggetto in sé, ma solo in rapporto a se stesso, ossia in modo soggettivo.

Sesto Empirico

La fonte delle notizie sullo scetticismo antico è l’opera di Sesto, medico soprannominato empirico, vissuto nella seconda metà del secondo secolo d. C. Di Sesto ci sono giunti gli Schizzi pirroniani, un compendio di filosofia scettica, e due scritti detti Contro i matematici, nel senso etimologico di cultori delle scienze. 

Ogni deduzione è un circolo vizioso

Per Sesto ogni deduzione è sempre un circolo vizioso (diaelle), in cui si presuppone come vero ciò che si vuole dimostrare. Se si dice ogni uomo è un animale, Socrate è un uomo, dunque Socrate è un animale, si presuppone nella premessa la conclusione, ossia che Socrate in quanto uomo è un animale.

 Anche l’induzione non consente conclusioni certe

Anche l’induzione non consente conclusioni certe, perché si basa solo su alcuni casi e i casi non analizzati potrebbero smentirla. Sarebbe inoltre assurdo pretendere che si basi su tutti i casi, perché i casi sono infiniti.

La critica del nesso causale

Sesto critica anche il nesso causale, perché se la causa precede l’effetto, sarebbe causa prima di esserlo. Né la causa può essere contemporanea o seguire l’effetto, visto che quest’ultimo non può che nascere da qualcosa di anteriormente sussistente.

La critica alle rappresentazioni della divinità

Sesto critica anche le rappresentazioni sulla divinità. Infatti se dio vivesse sentirebbe piacere e dolore, ma dolore significa turbamento, e se dio fosse turbato sarebbe mortale. Allo stesso modo a dio si attribuiscono tutte le perfezione. Fra queste il coraggio, quale scienza delle cose temibili e non temibili. Dunque ci sarebbe qualcosa di temibile per dio, il che è assurdo.

La sospensione del giudizio e l’azione basata sul senso comune

Su tutte queste questioni teoretiche per Sesto è preferibile sospendere il giudizio, mentre nella vita pratica ritiene occorra seguire i fenomeni, seguendo le indicazioni che la natura dà all’uomo mediante i sensi, i bisogni del corpo, la tradizione delle leggi e dei costumi, le regole delle arti.

30/09/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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