Frammenti di una vita: Bianca e il PCI

Una prima ricerca storica sulla nostra compagna negli archivi del Partito Comunista. Un discorso da proseguire. 


Frammenti di una vita: Bianca e il PCI

 

Una prima ricerca storica sulla nostra compagna negli archivi del Partito Comunista. Un discorso da proseguire. 

di Fulvio Lorefice

Il primo riferimento a Bianca Bracci Torsi, nell’archivio storico de «l’Unità», reca la data di giovedì 26 novembre 1959. A pagina 4 de «l’Unità» – Cronaca di Roma, Rubrica «Convocazioni», si legge: «Tor de Schiavi, alle ore 16, Congresso di cellula con Braccitorsi». Comune destino di quanti possiedono un cognome doppio, apostrofato, composto o che, per qualche recondita ragione, qualcuno abbia presunto essere tale, è di vederlo storpiato o deformato. Una prima ricerca, che non ha pretesa di essere esaustiva, nell’archivio storico del quotidiano del PCI, non poteva quindi che snodarsi secondo due binari: Bracci Torsi e Braccitorsi. 523 è il numero dei riferimenti presenti nell’archivio digitando «Bracci Torsi», 165 digitando «Braccitorsi». Il primo aspetto che balza agli occhi svolgendo questo «scavo» è lo straordinario numero di riferimenti per le attività di Partito: il cognome ricorre, infatti, freneticamente nelle rubriche: «Partito», «vita di Partito», «Manifestazioni del Partito» e «Comizi».

Eccola, quindi, il 7 novembre 1969 ad Angri a celebrare la Rivoluzione d’Ottobre, il 20 agosto 1977, in piena estate, a Montecatini ad una manifestazione promossa dalla locale federazione, e poi ovunque: dai remoti paesini del cosentino, passando per Subiaco, Affile, Altaville Irpina, San Cipriano, Vallepietra, e poi ancora: nel gennaio 1961 a presiedere il congresso della sezione del Quarticciolo, il 12 agosto 1964 ad un’assemblea presso la sezione del Tufello, il 25 aprile 1965 a tenere un comizio ad Arcinazzo, nel gennaio 1976 a Potenza per un’assemblea sull’aborto, ed infine – ma si tratta solo di un consuntivo più che parziale – il 14 aprile 1988 a tenere una lezione del «Corso ’88» presso la federazione romana, dal titolo «Dal neocentrismo all’avanzata del ’76».
Centinaia e centinaia di iniziative cui Bianca ha partecipato come oratrice del Partito: estate, inverno, primavera e autunno, di ogni anno. Sezioni di città e di paese, cellule sul luogo di lavoro, incontri con e per le donne – a decine, assemblee e manifestazioni con mezzadri, contadini, operai, studenti. L’Italia girata in lungo e in largo, ripetutamente, continuamente, sempre in giro, auto, corriere, treni, in prossimità delle scadenze elettorali anche tre appuntamenti pubblici in un solo giorno. Un lavoro costante, enorme, dispendioso, realizzato sempre con premura e precisione, un lavoro che non conosceva confini, men che meno nazionali.

Nel settembre 1980 (ne dà conto «l’Unità» del 12), ecco Bianca – in qualità di membro della Commissione Centrale di Controllo e di vice responsabile della Sezione femminile del PCI - in Australia, all’altro capo del mondo, per svolgere degli incontri e delle assemblee con le organizzazioni del PCI a Melbourne, Adelaide e Sidney. A Pooraka, sobborgo di Adelaide, svolge un incontro con degli emigrati calabresi, presso una sala del sindacato dei metalmeccanici ad Adelaide incontra le lavoratrici con le quali discute «per ore» «dei loro problemi e del loro rapporto con i movimenti delle donne», a Sydney racconta le «lotte per ottenere la parità in Italia e in particolare la lotta delle disoccupate siciliane contro la FIAT di Termini Imerese». Nell’agosto 1968 eccola a Mosca in visita alla «Pravda», in qualità di membro della segreteria nazionale dell’Associazione degli Amici de «l’Unità». La delegazione italiana dona un esemplare del «Bolshevik» del 1921, quella sovietica la fotocopia del primo numero della «Pravda» del 5 maggio 1912. E poi ancora: nel settembre 1981, partecipa alle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista del Belgio; nel marzo 1982, a Managua per partecipare ad un incontro di donne per l’indipendenza nazionale e la pace, in solidarietà col Nicaragua di Daniel Ortega; nel marzo 1984 interviene a due iniziative organizzate dalle Federazioni PCI di Bruxelles e Genk; nel maggio 1985 incontra a Roma, insieme a Gian Carlo Pajetta, il segretario del Comitato Centrale del Partito congolese del lavoro, Celestin Giuma Foutou.

Un impegno politico, in qualità di oratrice, quadro e dirigente, che non conosce sosta e a cui si combina presto un meticoloso lavoro di organizzazione e formazione delle donne comuniste. Nel dicembre 1971 apre a Napoli il convegno delle donne meridionali organizzato dalla commissione centrale femminile: vi prendono parte 250 delegate «arrivate da tutte le federazioni del Sud e composta da giovani e da giovanissime studentesse ed operaie». Nell’aprile 1973, sempre a Napoli, introduce la seconda conferenza delle donne del sud. I temi all’ordine del giorno: «il problema, sentitissimo, della occupazione stabile e qualificata; quello dei servizi sociali; la tematica ideale, i problemi cioè della «dignità» della donna, del suo ruolo nella famiglia, nella società, sul posto di lavoro». Fra le innumerevoli iniziative cui partecipa, e di cui da conto «l’Unità», quella di Petronà (Catanzaro) del novembre 1979 coglie nel segno. Chiamata a concludere un’assemblea per il tesseramento delle donne presso la sala del Comune, racconta il giornalista Nuccio Marullo, Bianca, invece di concludere, è «costretta» a rispondere alle innumerevoli domande che alcune donne le vogliono rivolgere. Una ragazza di 16 anni rivolge lei la fatidica domanda: «vorrei sapere perché come donna devo iscrivermi ad un partito e perché proprio al Partito comunista». La risposta serafica e convincente di Bianca non si fa attendere: «perché il PCI è il partito della lotta allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche della lotta dello sfruttamento dell’uomo sulla donna; perché il PCI è stato il partito che più si è battuto per l’emancipazione femminile: la legge di parità, il divorzio, l’aborto, i servizi sociali, i consultori».

Nel maggio 1980, in prossimità del voto regionale e amministrativo, è autrice di un appello al voto al Partito comunista, «come garanzia che i diritti delle masse femminili non saranno conculcati». Nel dicembre dello stesso anno viene pubblicato un suo commento sul tesseramento appena conclusosi, dal titolo «Oltre un quarto degli iscritti al PCI sono donne». Non lesina critiche al Partito in merito al rapporto con il movimento delle donne: al Comitato Centrale del gennaio 1981, ammonisce contro le «vecchie e nuove teorie tendenti a relegare la questione femminile fra le questioni «culturali» o a farne oggetto di un movimento che può avere tutt’al più benevole attenzione del partito senza farla assurgere tra le grandi questioni politiche». Punta quindi l’indice contro quegli «atteggiamenti di sufficienza e di sottovalutazione nei confronti delle compagne in quanto portatrici di esigenze e proposte politiche». «In tal modo, – aggiunge – non solo si limita il nostro campo di impegno, ma diamo un segno assai pericoloso che va al di là della stessa questione femminile, il segno cioè di una indifferenziata permeabilità del nostro partito, che è cosa ben diversa dall’apertura e dalla disponibilità a recepire proposte e stimoli che ci vengono da una società della quale siamo parte ma per cambiarla. Insomma, bisogna essere laici davvero, non a senso unico». Pochi giorni dopo le elezioni politiche del 1987, in cui il PCI di Natta segnò un netto arretramento, si riunisce il Comitato Centrale. Bianca interviene e si sofferma sul voto dato «contro la politica»: alla lista dei pensionati, alle leghe regionali, ai Verdi. Un voto, afferma, «che riproduce l’estrema frammentazione della nostra società, la sua indifferenza o la sua ripulsa per la politica intesa come programma per cambiare o mantenere il mondo». Ciò che «abbiamo pagato» – afferma – è la «mancanza di scelte non solo nette e chiare ma nostre, il non avere espresso una proposta politica che tenga conto di quanto si muove nella società ma produca una sintesi nostra sapendo che non si può essere il partito di tutti e di tutto». Nel prosieguo del suo intervento, che merita di essere interamente citato, rincara la dose.

«Non si può addebitare a un senso di rispetto per i cattolici il non aver espresso un no netto all’ora di religione, agli atteggiamenti di Wojtyla in America Latina, al suo incontro con Waldheim. I momenti più intensi del nostro rapporto con il mondo cattolico sono stati proprio quelli in cui l’abbiamo chiamato a confronto su posizioni nostre, trovando un impegno comune su grandi temi come la pace, la libertà, i diritti civili. E perché non dire sul nostro giornale che la liberazione sessuale non è il commercio pubblico o privato del sesso, e che Ilona Staller è solo l’altra faccia speculare della famiglia proposta dai manifesti della DC? Lo scontro oggi in atto non è fra abolizione dei valori e riproposizione di ipocriti valori del passato. Ma tra valori e non-valori, e spetta a noi dare battaglia non dichiarando superata la cultura comunista ma riproponendola a viso aperto, arricchita e innovata. Una scelta più esplicita e più chiara deve essere espressa anche sui ceti a cui facciamo riferimento. Non so se gli operai abbiano o no votato PCI, ma certo non sono stati la forza trainante del voto comunista. Si sono sentiti non difesi, umiliati, trattati da classe residuale. Ora io credo che pur nell’ambito delle larghe alleanze sociali la nostra priorità non può che essere il mondo del lavoro largamente inteso ma del quale la classe operaia e i lavoratori dipendenti devono costituire il centro forte. Per concludere, si tratta di rivalutare e rilanciare la nostra diversità, che è poi la nostra identità di comunisti, sapendo che non esiste una formula buona per tutti per vincere e che la più rovinosa conseguenza del voto sarebbe per il PCI adeguarsi e allinearsi ai vincitori».

Il Comitato Centrale del novembre 1988 viene convocato per approvare il testo del documento congressuale. Bianca svolge alcune considerazioni in relazione al documento sul partito, ed in particolare sul capitolo che si intitola: «partito di massa e di opinione». L’accostamento, osserva, «ricorda quello, per me infelice, di ‘partito di lotta e di governo’. È evidente che un partito di massa, per sua natura, fa opinione. Mettere insieme i due termini dà, perciò, un’impressione di ambiguità, anche perché non possiamo ignorare che nel partito si è discusso molto sull’opportunità di un superamento di un partito di massa in favore di una ‘struttura leggera’; né possiamo nasconderci che quest’ultima ipotesi ha ancora qualche credito al nostro interno». Un partito di massa, conclude, «deve essere il partito dell’alternativa, che aderisce alla realtà per trasformarla e aggrega quelle forze che non si accontentano di risolvere le loro contraddizioni nell’ambito di questa struttura sociale». Un partito, quindi, che «deve avere un progetto e partire da una forte critica dell’esistente». Quanto all’ «apertura ai movimenti», così «come posta nel documento politico», Bianca si dichiara d’accordo: precisa però che non «faremmo un buon servizio, né ai movimenti, né al partito, né al paese, se alimentassimo una confusione di ruoli e di competenze».
Nel dicembre 1989, pochi giorni dopo la caduta del Muro di Berlino e la svolta della Bolognina, si riunisce il Comitato Federale di Roma. Bianca, in questa occasione, torna sul no, che aveva in precedenza espresso al Comitato Centrale, alla proposta di Occhetto. «Credo che il coraggio dell’innovazione non debba essere disgiunto da un’altra altrettanto forma di coraggio: il coraggio di non cedere a facili mode e a sollecitazioni interessate, a mantenere i propri ideali». 

Una vita consacrata al Partito, quale strumento di emancipazione delle classi subalterne.

20/12/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Fulvio Lorefice

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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