La macchina del genocidio è avviata e non si fermerà da sola: non solo l'inerzia la spinge avanti fino alla distruzione del popolo gazawi e in generale del popolo palestinese, ma come ci ha rivelato il rapporto della Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati palestinesi Francesca Albanese, potenti forze economiche la sospingono verso il suo obiettivo.
Le tante iniziative messe in campo da chi si oppone al verificarsi del primo genocidio del ventunesimo secolo non sono state inutili: la presa di posizione della Francia a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina, il ribadimento del riconoscimento da parte dello Stato del Vaticano, il precedente della Spagna, le pressioni esercitate su Starmer da parte di ben 221 parlamentari del Regno Unito, le pressioni che Germania, Gran Bretagna e Francia hanno rivolto al governo di estrema destra israeliano per un accesso illimitato degli aiuti umanitari a sostegno della popolazione della Striscia, le cosiddette “pause tattiche” agli incessanti attacchi ai civili da parte dell'esercito israeliano, sono lì a testimoniare che tutto quello che è stato fatto dagli antimperialisti, dai pacifisti, dagli onesti democratici e, in generale, dalle persone di buona volontà di tutto il mondo non è stato per nulla.
Il disgusto per il proprio governo si diffonde persino in Israele, crescono i segnali di disgregazione sociale che sono in fondo il frutto avvelenato del progetto colonialista: aumentano i suicidi nelle fila dell'esercito israeliano e in generale si mostra la crescente impossibilità di conciliare la tensione di uno sforzo bellico permanente con la possibilità di una vita civile decente.
Tuttavia, la mobilitazione contro il genocidio non è ancora sufficiente. Non sono nemmeno sufficienti, seppure assai necessarie, le coraggiose iniziative degli eroi della Freedom Flottila, la cui nave “Handala”, secondo i promotori è stata bloccata a 40 miglia dalle spiaggie di Gaza in acque internazionali: una notizia che se confermata comproverebbe l'avvenuta trasformazione dello Stato di Israele in una sorta di “Stato Barbaresco” come quelli attivi a partire dal 1500 nel Maghreb o una sorta di rediviva “Tortuga” dei bucanieri del '600.
Però, i bambini e i vecchi di Gaza continuano a morire, le donne incinte sono a rischio di non riuscire a partorire, l'orribile mattanza prosegue incessantemente.
Cosa fare pertanto?
Inceppare lo sterminio
Il rapporto della Relatrice Onu ha posto in luce l'integrazione nel progetto genocidario non solo del governo israeliano, ma di importanti atenei universitari e soprattutto di potenti aziende private del mondo cosiddetto “libero” (dove l'aggettivo ha evidentemente il significato di privo di vincoli etici, morali o religiosi di qualsiasi sorta al puro dominio del profitto sulle esistenze degli umani).
Se così è, diventa necessario porre un granello di sabbia nella “macchina infernale” del massacro per incepparla o almeno per renderne sempre più “antieconomico” farla funzionare.
Per questo motivo è essenziale proseguire la meritoria opera di boicottaggio dei prodotti israeliani frutto della depredazione del territorio palestinese operata dalla campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese), ma è anche necessario promuovere scioperi nei settori strategici come la logistica che assicurano l'efficacia della macchina dello sterminio con il trasporto di armi, di supporti tecnologici e di materie prime di ogni tipo alla potenza occupante.
I lavoratori francesi lo hanno già fatto nello scorso mese di giugno impedendo il carico di una nave israeliana nel porto di Marsiglia, la medesima cosa è avvenuta in luglio nel porto del Pireo da parte dei portuali greci e i lavoratori dell'Usb del porto di Genova hanno già chiesto l'interdizione all'attracco per le navi provenienti o dirette in Israele.
È necessario, però, estendere queste azioni e trasformarle in scioperi di settore ovunque l'economia del genocidio si palesi. Ci si può anche collegare alle diverse piattaforme sindacali che al momento sono attive nel nostro paese per il rinnovo dei contratti, in modo da estendere le ragioni della mobilitazione sindacale e politica. Tuttavia, appare urgente la necessità di un coordinamento e di una convinta partecipazione delle organizzazioni sindacali a questa campagna contro il genocidio.
Le donne, gli uomini e i bambini che stanno morendo a Gaza sono le nostre sorelle, i nostri fratelli e i nostri figli (non solo, ma anche) per ragioni di classe. Sono le persone che fino a quando hanno potuto hanno pescato, hanno lavorato i campi, hanno scaricato merci così come fanno le lavoratrici e i lavoratori di tutto il mondo.
Pertanto, è necessario un passo avanti di organizzazioni come i sindacati confederali e di base, la Cgil in primis, per colpire l'economia del genocidio, bloccare lo sterminio e renderla, oltre che abominevole, costosa per le tasche dei suoi promotori. E bisogna farlo ora, superando qualsiasi “patriottismo” di sigla. Bisogna costruire un appello condiviso per articolate astensioni dal lavoro in tutti i settori coinvolti.
È necessario, è urgente e, soprattutto, è giusto.