Ancora un giorno

Film rivoluzionario, sia nella forma che nel contenuto, narra la lotta per la liberazione dal colonialismo e dall’apartheid attraverso un geniale utilizzo di immagini odierne, di repertorio e disegni animati


Ancora un giorno Credits: https://tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2019/04/24/ancora-un-giorno-film.html

Ancora un giorno di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, Spagna, Polonia, Germania e Belgio 2018 è certamente il miglior film uscito nelle sale italiane quest’anno. È tratto dal più sentito libro-reportage del grandissimo giornalista socialista polacco Ryszard Kapuscinski. Quest’ultimo si ritrova a essere l’unico giornalista straniero che ha avuto il coraggio di rimanere in Angola in un momento decisivo della storia della liberazione del terzo mondo dal dominio colonialista. In Portogallo aveva appena avuto luogo l’ultima grande rivoluzione europea, la Rivoluzione dei garofani del 25 settembre 1974, che ha portato alla rovinosa caduta del più longevo regime fascista del mondo, quello instaurato dall’economista ultraliberista António de Oliveira Salazar nel lontano 1932. Protagonisti della Rivoluzione sono stati giovani militari di estrema sinistra, che hanno sviluppato una coscienza sociale e politica entrando in contatto con i movimenti guerriglieri egemonizzati dai comunisti che si erano sviluppati nelle colonie portoghesi africane, le più antiche del mondo, e che i soldati lusitani avrebbero dovuto reprimere nel sangue.

Fra le prime misure assunte dal governo rivoluzionario vi è il ritiro dei portoghesi dalle colonie, di modo che possano finalmente dichiarare quell’indipendenza, che si sono conquistati dopo lunghe e travagliate lotte. La vicenda, realmente accaduta e documentata dallo stesso più eminente maestro del giornalismo d’inchiesta del ventesimo secolo, si svolge nella più grande e potenzialmente ricca colonia portoghese, l’Angola. La dichiarazione d’indipendenza dovrebbe coincidere con la conquista del potere del Movimento popolare di liberazione dell’Angola (MPLA), guerriglia egemonizzata dai comunisti. D’altra parte le ricchissime risorse naturali del paese fanno gola all’imperialismo occidentale che non può accettare, in piena guerra fredda, l’affermazione anche in Angola di un movimento popolare guidato dai comunisti. Così le potenze imperialiste, con alla testa gli Stati uniti finanziano e armano le forze reazionarie autoctone del FNLA e dell'UNITA, che scateneranno una terribile guerra civile, per impedire al popolo angolano di potersi godere in pace e libertà l’agognata conquista dell’indipendenza. D’altra parte, il vastissimo sostegno popolare di cui gode la guerriglia filocomunista angolana rischia di risolvere in tempi relativamente rapidi il conflitto e, perciò, le potenze imperialiste fanno pressione sul Sud Africa, bastione dell’apartheid e testa di ponte dell’imperialismo nell’Africa australe, affinché invada l’Angola, forte delle modernissime armi, anche di distruzione di massa, di cui è stato dotato dai paesi a capitalismo avanzato.

Tale operazione – nel caos che si è venuto a creare fra il precipitoso abbandono del paese da parte dei coloni portoghesi e la guerra civile che già impazza – deve essere tenuta nascosta dalle potenze imperialiste, in quanto il Sud Africa rappresenta il paese dell’apartheid che le liberal-democrazie non possono sostenere in maniera troppo aperta, in quanto sempre più discreditato a livello internazionale. Nel caos prodotto dalla guerra civile, che ha prodotto la fuga dal paese di tutti i giornalisti internazionali, l’unico a rimanere al suo posto e a tentare di indagare su quanto sta accadendo nel decisivo fronte sud del paese – da dove partirà l’aggressione sudafricana – è dunque il grande e impavido reporter polacco. Quest’ultimo, quindi, non solo non ha abbandonato la capitale del paese, in buona parte controllata dallo MPLA, ma intende raggiungere il prima possibile il caldissimo fronte sud, per documentare lo scontro decisivo che intuisce vi avrà luogo. Tale temeraria impresa è fortemente osteggiata dallo stesso movimento guerrigliero, che in quella delicatissima situazione non è assolutamente in grado di garantire l’incolumità del già famosissimo giornalista.

Quest’ultimo, però, non intende ragioni e si getta, accompagnato da un solo giornalista angolano, in questa temeraria impresa. Tale impresa è documentata in parte con materiali di archivio, in parte con interviste ai protagonisti ancora viventi di questa eccezionale impresa giornalistica, in parte con immagini attuali dei luoghi in cui si è svolta e – per quanto non è possibile documentare in modo diretto – con un efficacissima ricostruzione degli eventi mediante degli spezzoni di un film di animazione molto significativi. Questa efficacissima ed estremamente avvincente, oltre che godibilissima dal punto di vista estetico, accurata ricostruzione storica è realizzata traducendo in questo sperimentale contesto filmico alcuni aspetti cardine della poetica rivoluzionaria elaborata per il teatro dal grandissimo scrittore marxista e leninista: Bertolt Brecht. La ricostruzione dei momenti più avvincenti dell’impresa mediante spezzoni di film d’animazione consentono un eccellente effetto di straniamento che consente allo spettatore di poter prendere posizione nel modo più libero e razionale sugli avvincenti eventi che vengono esplicitamente messi in scena. Per altro, alternando sapientemente le azioni del celebre reporter con eccellenti ricostruzioni avanguardistiche dei suoi stati emotivi. Inoltre. l’interpolazione di immagini storiche di repertorio e i commenti odierni da parte di alcuni dei sopravvissuti agli eventi, consente di realizzare una messa in scena dialettica ed epica liberamente ispirata al teatro rivoluzionario brechtiano.

Figure chiave di questa impresa sono in particolare una giovanissima e umanissima guerrigliera che guida il reporter nel suo rischiosissimo reportage, salvandogli la vita. Per quanto sia una delle migliori dirigenti della guerriglia è animata da un fortissimo spirito umanitario, tanto da darsi da fare per curare i nemici colpiti in battaglia o per ripulire dai cadaveri i luoghi dei combattimenti per salvaguardare la salute dei bambini nei dintorni. L’altro grande protagonista è un giovane paracadutista portoghese passato quasi subito dalla parte della guerriglia in cui svolge un ruolo fondamentale, presidiando la zona più pericolosa del paese e mettendo le proprie capacità nel condurre la guerra al servizio delle forze volenterose, ma generalmente impreparate del movimento di liberazione nazionale. Infine vi sono due giornalisti locali, anch’essi sostenitori dello Mpla, che supportano Kapuscinski nel suo temerario ruolo di testimone dell’aggressione imperialista e del tentativo, attraverso di essa, di esportare il modello sudafricano dell’apartheid da contrapporre alla grande lotta dei popoli africani per l’indipendenza e l’autodeterminazione contro il colonialismo. In particolare uno dei due svolge un ruolo anche importante nell’aiutare i registi a ricostruire le vicende del film, favorendo ancora una volta una fruizione riflessiva e critica da parte dello spettatore. Ad esempio, il giornalista che nelle vicende della lotta di liberazione nazionale si batte senza remore come intellettuale organico alle masse popolari in lotta contro il colonialismo, nella conclusione del film lamenta come molte delle promesse di tale lotta siano state tradite con il tempo e il venire meno della forza propulsiva rivoluzionaria che avrebbe dovuto condurre alla costruzione di una società socialista.

D’altra parte sia Kapuscinski alla fine del suo reportage, sia il comandante guerrigliero portoghese intervistato nel film tendono a vedere il bicchiere più mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto, mostrando come si sia contribuito a combattere una battaglia decisiva per la liberazione del terzo mondo dal giogo del colonialismo e dell’apartheid.

In tale epico scontro un ruolo decisivo hanno svolto le forze rivoluzionarie cubane che – intervenendo generosamente in massa nel momento in cui, dopo l’invasione sudafricana, tutto appariva perduto – riescono dapprima a riequilibrare le sorti del conflitto e, in seguito, a dare un contributo essenziale al trionfo delle forze rivoluzionarie e alla sconfitta delle forze sudafricane e dei loro sponsor imperialisti che si battevano per la disemancipazione dell’umanità, mirando a reimporre l’apartheid. Anche in questo caso la rivoluzione cubana ha svolto un ruolo decisivo, superando l’attitudine prudente che aveva portato l’Unione sovietica, nel tentativo di preservare un’impossibile convivenza pacifica, a non intervenire nel conflitto. Al contrario il governo rivoluzionario cubano non ha esitato a sacrificare migliaia di giovani padri di famiglia, arruolatisi come volontari in questo importantissimo frangente della secolare lotta per l’emancipazione del genere umano. L’intervento dei cubani ha svolto un ruolo essenziale anche dal punto di vista simbolico, in quanto molti di essi erano i diretti discendenti di quelli schiavi neri che, spesso, proprio dall’Angola erano stati deportati secoli prima per lavorare nelle grandi piantagioni dei caraibi e che ora potevano, finalmente, far ritorno nella propria terra d’origine da liberatori.

Occorre, infine, ricordare il dramma personale del grande reporter Kapuscinski, che assume una valenza universale, in quanto rappresenta il contrasto fra la sua etica professionale, che lo porterebbe a realizzare un eccezionale scoop – ovvero far conoscere al mondo l’intervento cubano in risposta all’aggressione sudafricana che aveva per primo documentata e denunciata – e la sua morale antimperialista. Dunque all’etica professionale, che lo aveva spinto sino a quel momento a rischiare più volte la vita pur di testimoniare i tragici ed epici eventi che si stavano compiendo, si contrappone – finendo per avere la meglio – la sua morale che lo spinge a contribuire fattivamente alla lotta per l’emancipazione del terzo mondo, tenendo nascosto il decisivo ruolo svolto dai cubani, per evitare le inevitabili ritorsioni su questo eroico e martoriato popolo da parte delle potenze imperialiste. Tanto più che la sua etica professionale è intrinsecamente connessa con il suo essere un intellettuale impegnato in particolare a far sopravvivere e a rendere, in qualche modo, immortali i giovanissimi militi ignoti caduti in questa epica battaglia della guerra apparentemente infinita per l’emancipazione del genere umano. Una bella e salutare lezione per i troppi che oggi, al contrario, subordinano la propria etica professionale all’utile individualistico, che li spinge a voler emergere a ogni costo, sino a porre il proprio interesse particolare al di sopra dell’interesse generale.

Il difetto principale del film, che lo rende solo potenzialmente rivoluzionario, è che la morale conclusiva del film è fatta esprimere, in ossequio all’ideologia dominante, all’ex intellettuale organico, divenuto ora tradizionale e che, unilateralmente, coglie con il pessimismo della ragione esclusivamente nel successivo corso storico il tradimento dei propri ideali giovanili. In effetti, per quanto un’analisi realistica e spietata dell’attuale situazione di stasi dei movimenti sociali – rispetto ai grandi avanzamenti degli anni sessanta e della prima metà degli anni settanta – sia necessaria, essa non può mai essere disgiunta dall’altrettanto essenziale ottimismo della volontà che, sulla base dello spirito dell’utopia rilanci il principio speranza, aprendo una prospettiva che guarda alla necessaria ripresa dei movimenti di lotta per l’emancipazione del genere umano.

10/06/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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