Angelo Calemme, sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico

Il libro di Calemme ci offre un’interessante chiave di lettura dei manoscritti inediti di Marx sulle scienze tecnologiche. Distinguendosi da interpretazioni di alcuni marxisti, mette in evidenza il rapporto dialettico fra scienze naturali e scienze sociali, fra scienze tecnologiche e modo di produzione.


Angelo Calemme, sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico

In un assolato e affollato lunedì di nove anni fa, precisamente il 6 maggio 2013, in occasione della Giornata nazionale di Studi galileiani Le modernità politiche e la rivoluzione del sapere, svoltasi presso il Centro culturale La Città del Sole di Napoli, Fabio Minazzi, uno dei più acuti e originali allievi di Ludovico Geymonat, riflettendo sulla natura tecnologica di quegli strumenti filosofici di misurazione e di calcolo che condussero Galileo Galilei alla svolta copernicana e alle sue grandi scoperte, affermò insieme a Giuseppe Antonio Di Marco, Vito Francesco Polcáro e Maurizio Torrini che nella Rivoluzione scientifica del Seicento, precisamente in quella galileiano-newtoniana.

“Mutò la percezione stessa di un oggetto […]; [esso] si qualifica proprio per la sua capacità di sapersi dotare di una normatività [di un lume, di un pensiero, di una ragione disciplinata, codificata] intrinseca che rispetta le leggi naturali, universali e necessarie, proprio perché è in grado di cogliere aspetti oggettivi del mondo […]. Pertanto, per commentare criticamente la battuta di Alexandre Koyré [les lunettes ne sont pas des idées], dovremmo cominciare a ripensare la rivoluzione galileiana come il prodotto degli strumenti tecnologici: le lenti del cannocchiale galileiano sono infatti il prodotto più eminente di nuove idee e di nuovi pensieri” [1].

A questo punto diviene del tutto legittimo domandarsi: a) che cosa sia l’oggetto tecnologico entro la filosofia naturale galileiana; b) in che misura quest’ultima, in quanto tecnologia scientifica, a partire dall’ultimo trentennio del XVIII secolo, rappresentò la ragione necessaria, se non soltanto quella sufficiente, della prima Rivoluzione industriale. 

Secondo Angelo Calemme e il suo ultimo libro, Dalla Rivoluzione scientifica alla Rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico (Meltemi 2022), la risposta alla prima questione è offerta dallo stesso Galileo Galilei il quale, per il tramite di una sensibilità misurata e di una ragione calcolata, per la mediazione di un’integrazione sempre più o meno esatta tra astratto matematico e concreto empirico, entro i poli formali di un thinking with object [2], riuscì a escogitare una nuova accezione di verità e con essa ad aprire il campo di una nuova e rivoluzionaria visione del mondo [3]. 

A rispondere al secondo interrogativo fu invece Karl Marx che, soprattutto negli Hefte zur Technologie (Quaderni sulla Tecnologia) degli anni 1850-1857/1858 e in quelli preparatori (V, XIX, XX) al Capitale del 1857/1858, 1861/1863, 1863-1865, in altre parole in quei suoi lineamenti per una Storia critica della tecnologia, espone non solo il processo di sussunzione, prima formale e poi reale, della filosofia fisico-matematica al capitale, ma anche quello della selezione indipendente o naturale delle applicazioni industriali della tecnologia scientifica. In questa prospettiva, contraddicendo più di un secolo di storiografie marxiste su una scienza ridotta ad appendice della legge economica del plusvalore, sfruttata dal capitale in vista del capitale, il libro di Calemme, sulla falsariga di importanti storici della scienza europea, del calibro di Koyré, Geymonat, Aleksandr Abramievič Kusin, riscopre un Filosofo di Treviri fino a ora misconosciuto, occultato, in gran parte inedito, per il quale, volendo fare un esempio, la Critica dell’economia politica e la Storia critica della tecnologia non vennero mai confuse né giustapposte né ridotte l’una all’altra, ma mantenute distinte seppure dialetticamente integrate. Secondo il Marx della Storia critica della tecnologia, una volta criticate la Storia delle scienze, la Storia delle tecniche, la Scienza della tecnologia, la Storia della tecnologia industriale, la Storia del management

“La riconciliazione intera dell’uomo in sé stesso e nel mondo [può avvenire soltanto attraverso il] compimento pieno di questa reciproca comprensione tra scienze sociali e scienze naturali, [il] superamento di ogni antagonistica contraddizione tra uomo e uomo, tra Io e Sé, in un’unica scienza […]” [4].

Premesso ciò, per comprendere allora complessivamente il processo storico e dialettico del trasferimento, della marginalizzazione, della relativa sostituzione del lavoro vivo da parte del capitale, e/o il fenomeno dell’emancipazione dell’uomo dalla legge del plusvalore, Marx non analizza soltanto le condizioni extralogiche con cui la tecnologia scientifica, una volta applicata alla produzione capitalistica, sfrutta e dissangua il lavoro, ma si profonda anche nella comprensione infralogica, materialisticamente storica e dialettica, dell’oggetto tecnologico con cui la subordinazione capitalistica dell’uomo sull’uomo avviene. Soprattutto i marxismi novecenteschi, da Vladimir Il’ič Ul’janov a Jean Fallot e da Raniero Panzieri o Romano Alquati a George Caffentzis o Matteo Pasquinelli, hanno dimenticato il monito engelsiano, secondo il quale la storia dello sviluppo della tecnologia deve essere riflessa criticamente salvaguardando l’elemento naturale o indipendente entro quello più propriamente di pertinenza dell’economia politica. 

“Lungi dal ricadere nei feticismi delle teorie neutraliste e attendiste della tecnologia scientifica applicata all’industria che sembrano misconoscere come il rapporto sociale capitalistico si annidi fin «dentro le esigenze tecniche del macchinario» [5]; lungi dal peccare degli eccessi di quelle teorie marxiste che semplicemente riducono l’impulso all’innovazione tecnologica, «la macchinofattura» [6], esclusivamente al principio del plusvalore relativo e dei «profitti straordinari»” [7], sulla scia delle riflessioni che Kusin compì alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, diversamente dai Fallot e dai Panzieri, come del resto dai più contemporanei Guido Frison e Roberto Finelli, il volume di Calemme restituisce la parola alla marxiana Storia critica della tecnologia; lo studioso napoletano fornisce infatti al lettore una ricca cassetta degli attrezzi, indispensabile per la comprensione dei complessi frammenti marxiani sulla selezione tecnologica e le sue condizioni, articolando il piano dell’opera in due sezioni distinte. La prima consta di tre genealogie dei concetti di lavoro, vita e natura, dall’antichità fino alla seconda metà dell’Ottocento, indispensabili per introdurre il lettore a quegli indici epistemologici che strutturano l’orizzonte di senso entro cui il Moro abbozza la sua storia critica dello sviluppo delle scienze e delle tecniche. La seconda parte del volume entra più nel merito dell’analisi della Storia critica della tecnologia, cioè in uno studio più propriamente ontologico dei suoi principi e delle sue leggi, materialisticamente storiche e dialettiche. In altre parole, in Dalla Rivoluzione scientifica alla Rivoluzione industriale, Calemme ci mette sin da subito in guardia dai più comuni errori interpretativi a cui le letterature marxiste, neopositiviste e neoluddiste, ci hanno tradizionalmente abituati. Tra le deformazioni o gli stravolgimenti storiografici più significativi della teoria marxiano-engelsiana che il ricercatore napoletano critica e con cui polemizza, sottolineiamo quelle secondo le quali: a) la teoria darwiniana della selezione naturale, a cui Marx ed Engels guardarono criticamente, viene spesso tradotta con formule meccaniciste e perciò confusa con un evoluzionismo di tipo neolamarckiano; b) ignorando le origini tedesche (kantiano-schellingane) della biologia darwiniana e occultando la matrice hegeliana (dialettica) del materialismo storico, i principi e le leggi marxiano-engelsiane della selezione degli organi di produzione, vengono riconsiderate all’interno di una teoria dell’ereditarietà degli organi di produzione di tipo debole; c) la tecnologia scientifica viene ridotta a tecnica o modo di produrre: essa viene intesa non più come fondamento teorico imprescindibile all’avvio storico di una produzione grande-industriale, ma esclusivamente come una razionalità, empirica e contingente, conseguente all’appropriazione capitalistica del lavoro e dei suoi mezzi di produzione. Una volta liberati da tutti questi pregiudizi storiografici, una volta ripulita la marxiano-engelsiana Storia critica della tecnologia da tutte le sue forzate interpretazioni, con il lavoro di Calemme è finalmente possibile riscoprire in Marx una riflessione critica sullo statuto scientifico della tecnologia grande-industriale all’interno della critica dell’economia politica. Questa operazione si giustifica non solo con l’auspicio, piuttosto semplicistico, di promuovere la lotta per una proletaria appropriazione della borghese tecnologia scientifica applicata, “un mero contro-uso politico della razionalità scientifico-tecnica fino a questo momento capitalisticamente orientata dalla classe sociale dominante, ma anche e soprattutto una profonda e radicale opera di conoscenza delle forme, dei fenomeni, [delle leggi e principi] interni con cui la tecnologia scientifica si è fino a oggi storicamente e dialetticamente selezionata o applicata e con cui potremmo giungere socialmente a esiti alternativi, più intelligenti e finora mai prospettati” [8]. 

Questa operazione teorica, in ultima istanza, non ha però nulla di idealistico o, per altri versi, nulla di neopositivista, come potrebbe sembrare a partire da una lettura superficiale del volume, ma recupera in senso materialista la dialettica hegeliana. Contraddicendo i meccanicisti e i materialisti volgari, Calemme, citando Engels, ci ricorda ancora una volta: 

“Quel che manca a tutti questi signori è la dialettica. Essi vedono sempre solamente qui la causa, là l’effetto. Non arrivano a vedere che questa è una vuota astrazione, che nel mondo reale simili contrapposizioni metafisiche polari esistono soltanto nei momenti di crisi, ma che l’intero grande corso delle cose si svolge nella forma dell’azione e reazione reciproca, anche se di forze molto ineguali, tra cui il movimento economico è di gran lunga il più forte, il più originario, il più decisivo; essi non arrivano a capire che niente è assoluto e tutto è relativo. Per essi Hegel non è esistito” [9]. 

 

Note: 

[1] F. Minazzi, Alcune brevi considerazioni su Galileo e il significato della sua opera, in A. Calemme (a cura di), L’illuminismo prima dell’Illuminismo. Perché la Chiesa condannò Galilei, La Città del Sole, Napoli 2013, p. 183. Cfr. anche F. Minazzi, Les lunettes ne sont pas les idées? Sul valore culturale della tecnica, nella rivista Scuola e ricerca, vol. 2015.

[2] A proposito del thinking with object (pensiero con gli oggetti) nella Rivoluzione scientifica del Seicento, si veda D.B. Meli, Thinking with object, The trasformation of Mechanics in the Seventeenth Century, John Hopkins University Press 2006. 

[3] A. Calemme, La ragione galileiana del mondo. Tra metafisica, filosofia e tecnologia, Guida, Napoli 2017. 

[4] A. Calemme, Dalla Rivoluzione scientifica alla Rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico tecnico, Meltemi, Milano 2022. 

[5] R. Panzieri, Plusvalore e pianificazione, in ‘Quaderni rossi’, Nuove edizioni operaie, Roma 1964, p. 277.

[6] Ivi, p. 268.

[7] Ibidem.

[8] A. Calemme, Dalla Rivoluzione scientifica alla Rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico tecnico, Meltemi, Milano 2022, p. 20. 

[9] F. Engels, Lettera a C. Schmidt a Berlino del 27 ottobre 1890, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. XLVIII, Carteggio 1888-1890, Roma 1983, p. 523.

25/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Ciro Schember

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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