Avvelenati da un’Asfaltata

Banalità e versi maldestri di un cantore di destra.


Avvelenati da un’Asfaltata

Sta imperversando, tra gli elettori della destra nostrana, una versione rimaneggiata de L’avvelenata di Francesco Guccini, per l’occasione ribattezzata L’asfaltata. L’autore è il veneto Fabio Lucentini, che tardivamente scopro già artefice di altre versioni parodistiche di vecchi successi.

Pare che il brano diverta molto, e diverta molti. Eppure, sia detto tra parentesi, già il fatto che il titolo riporti un’espressione così palesemente à la page è cosa che potrebbe indurre in sospetto.

Sottoposta alla prova dell’ascolto, quel che la canzone rivela è un’abbondanza di luoghi comuni e di irritante autocompiacimento. Ma la fortuna è cieca, recitava un noto detto… O forse ci vede benissimo, ed è proprio in questo connubio di boria e pigrizia intellettuale che risiede la chiave del suo exploit commerciale.

Di brani mediocri è pieno il mondo, ovviamente. Ma visto il palpabile entusiasmo, limitato a un ambito circoscritto ma con toni quasi da stadio (… nei commenti al video, su YouTube, i dissidenti vanno rintracciati con il lanternino), è lecito rizzare le antenne, perché in certa misura questo piccolo fenomeno è parte del nostro ritratto.

Dalla sua, Lucentini può vantare un’efficace imitazione del timbro vocale di Guccini, riprodotto in maniera credibile. Occorre sorvolare invece, sul pessimo gusto che lo porta a definire gli elettori di sinistra (… ammesso che di sinistra si possa ancora parlare) come “i soliti bastardi” e “quei quattro mentecatti comunisti”, e gli attuali governanti come “carogne”. Ma dimentichiamocene in fretta, ed entriamo più in profondità.

All’ascolto del brano, un succedersi di strofe che vorrebbero essere pungenti, chiunque abbia un minimo di sensibilità letteraria non può non domandarsi come sia possibile che nel nostro paese, un tempo culla di cantautori di ottimo livello, sembri ormai smarrita la capacità di inorridire, di fronte a una padronanza della metrica e della grammatica a tal punto sgangherata. Certo, è vero che Lucentini non ha intenti esattamente artistici, ma una capacità minima di sorvegliare la propria scrittura sarebbe auspicabile.

In più occasioni, le strofe inciampano in versi ora troppo lunghi e ora troppo brevi, esibendo senza vergogna una quantità di accenti sballati che un autore di qualche decennio fa, c’è da giurarlo, non avrebbe saputo inanellare nemmeno da ubriaco. Abbondano poi espressioni macchinose da pugno nello stomaco, che solo chi è a digiuno cronico di solide canzoni e decorose letture può digerire senza sforzo.

Un esempio: “ma che nazione è diventata questa / sempre più cogliona / con chi ci calpesta”… Poco brutto, forse?

Eccone un altro: “la sinistra vi ha pisciato addosso / per ridurvi all’osso / e depensanti senza testa” … Depensanti? Passi l’eleganza del primo verso, mirabilmente attento all’evacuazione urinaria, ma è difficile scovare un vocabolo più artificioso, meno scorrevole e musicale. Orribile. E sarebbe facile riportare altri esempi di pari livello.

Tra i commenti al video, udite, c’è chi definisce l’autore “… poeta”. Dubitiamo che si tratti di ironia. Poeta, ormai, è appellativo che si può sfoderare a casaccio, non serve nemmeno aver mai letto una poesia.

Ma abbandoniamo l’aspetto formale, e rivolgiamo la nostra attenzione ai contenuti (per così dire). Come diceva Nanni Moretti, “facciamoci del male”.

“… Giornalista, o meglio scribacchino / lecchino fai l’inchino.” Sottinteso, i giornalisti sono quelli “di sinistra”, soltanto loro. Deduciamo che dall’altra parte, fieramente assoldati nelle pagine di “Libero” e “La Verità”, si ergono fieri idealisti che combattono controcorrente. E va bene.

“… La musica in Italia è in mano ai rossi / col pugno chiuso pur di far concerti.” Molto, molto originale. A parte il fatto che la lettura della realtà di Lucentini è probabilmente ancorata agli anni ’70 (non proprio l’altro ieri), di regola un artista è persona più immaginifica e idealista che pragmatica. Francamente fare “poesia” con i concetti della Meloni in saccoccia, o di Salvini, pare impresa eccessivamente ardua. Al di là del giudizio che si può nutrire rispetto l’una o l’altro, diciamo pure che ogni stagione ha i suoi colori.

… Ma ecco che finalmente si sfiora un tema importante, drammatico, complesso. L’immigrazione. L’autore ci informa che, se mai fosse possibile, piacerebbe anche lui “arrivare dal mare col gommone”, per farsi “mantenere”. Non so se dovremmo augurarglielo. Forse sarebbe meglio che non rischiasse la pelle su una precaria imbarcazione, magari con moglie e figli, per scappare da un paese che al posto del rintocco delle campane può regalare qualche bella scarica di mitra. Ma se proprio ci tiene a farsi mantenere, gli si può suggerire un modo per realizzare il suo sogno: basta liberarsi della casa di proprietà, licenziarsi, rinunciare agli introiti di natura artistica e otterrà il reddito di cittadinanza. Un sogno che si realizza. Senza nemmeno il viaggio sul gommone.

E procediamo.

“… Tu volpone, parassita di sinistra / ma col portafoglio a destra / senza voto hai governato.”

Bene. Qui si riesce con rara efficacia a inserire due luoghi comuni in soli tre versi. Sorvolando sul termine “sinistra”, che come già si è detto richiederebbe qualche precisazione, qualcuno dovrebbe finalmente spiegare perché mai un benestante non avrebbe il diritto di votare chi diavolo ritiene. E perché a un operaio che vota a destra non spettano mai le stesse invettive, se vogliamo ragionare con il medesimo parametro.

In quanto al “governare senza voto”, le forze presenti in parlamento sono il risultato delle elezioni politiche del 2018. Potrà piacere o non piacere, ma qualora un governo si esaurisca anzitempo (… e fingiamo, in questo caso, di non ricordarne i motivi), è prerogativa del presidente della repubblica verificare la possibilità di formare un nuovo governo, e solo in caso di esito negativo è previsto il ritorno alle urne. Punto. Trattasi di regole.

Ma la fiera delle banalità prosegue. Con rara capacità di sintesi, il nostro ci spiega che i “comunisti” sono “ormai estinti”. Se confrontiamo i numeri odierni con le masse di qualche decennio fa, e concediamo il beneficio dell’approssimazione, c’è del vero. Non ci voleva un grande acume per accorgersene. Lo pseudo-Guccini canta questa ovvietà con tono di rivalsa, come a dire “vi abbiamo sconfitti”.

Ma allora perché continuano a vederne dappertutto, lui e altri? Non erano scomparsi? Forse si nascondono sotto il letto? Insomma, si chiarisca le idee.

Giunti al termine di questo calvario, congediamoci con l’ultima perla. L’irridente musico, armato di megafono, non manca di illuminarci sugli “operai rinnegati e abbandonati”. Dalla sinistra, s’intende. Ci spiega inoltre che “… il rosso, di rosa ormai si è tinto”. In pratica, si rimprovera alla sinistra di somigliare sempre più alla destra.

Tutto vero, per carità. Ma la cosa curiosa è che lui se ne lamenti. Non è contento, finalmente, che quei suoi “nemici” abbiamo finito per somigliargli?

… O magari li preferiva “comunisti”?

Insomma, al di là di generici improperi la tesi di fondo non è chiara. Ma pare che non sia necessario. La canzone fa il pieno di ascolti, e invita a grandi manate sulle spalle e all’orgoglio di stare dalla parte “giusta”, la sponda di quelli che non le mandano a dire.

Considerare satira un brano come questo è quanto mai azzardato. Perché la satira è da ritenersi un legittimo strumento per mettere alla berlina un malcostume, o una determinata parte politica, ma non prevede il prostrarsi servilmente a un’altra fazione, come lasciano intendere versi quali “… tu, ingenuo, non hai votato a destra / ora beccati il disastro giallorosso”, “… vi insinuate tra i comizi di Salvini, a fare i soliti casini”, e ancora “ma tanto prima o poi si va a votare / metteremo fine ai vostri danni”.

Insomma, il panorama è desolante. Ma forse, non è il caso di disperare. Può darsi che uomini e donne particolarmente brillanti, gli aficionados di Lucentini, siano in grado di scorgere in questo brano qualcosa che a noi sfugge. Noialtri scettici, consci del divertimento che molti trarranno dal graffiante motivetto, potremmo anche risolverci a gioire con loro.

… Perché no, potremmo bearci dell’altrui soddisfazione, dei lazzi, delle pernacchie, degli insulti. Matteo Salvini, finalmente, potrà tornare a cantare a squarciagola, come quando era un ragazzino. Già allora – lo ricordate? – insofferente alla dittatura televisiva “comunista”, per sottrarsi al giogo della sinistra pensò bene di partecipare a Doppio Slalom e Il pranzo è servito. Conduzione di Corrado Tedeschi e Davide Mengacci. Programmi Mediaset, edificanti, stimolanti. Formativi. C’è aria di libertà, da quelle parti. Mica la dittatura dei rossi.

12/12/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Walter Chiesa

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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