Il commissario Montalbano 2019

Due mediocri prodotti dell’industria culturale del nostro imperialismo degli straccioni, spacciati come ispirati all’opera di un grande scrittore comunista.


Il commissario Montalbano 2019 Credits: https://www.tpi.it/2019/02/11/commissario-montalbano-2019-anticipazioni-11-febbraio/

Confesso che è la prima volta che mi convinco a vedere il Commissario Montalbano, vincendo il disgusto per i programmi televisivi e per quei prodotti che piacciono a tutti. La televisione la evito per principio, in quanto principale e acritica cassa di risonanza dell’ideologia dominante e luogo di spaccio di prodotti mercificati dell’industria culturale che tendono a generare dipendenza. Infine, soltanto non vedendo mai la televisione diviene possibile occupare il proprio tempo in quelle attività sostanziali che danno senso alla nostra esistenza e rendono la vita – non ridotta all’essere per la morte – degna di essere vissuta. Inoltre se ripenso a quando ero teenager e, non essendo ancora comunista, sprecavo tempo dietro la televisione, ricordo la profonda tristezza in cui mi lasciava ogni volta che la spegnevo. In quanto, proprio come una droga, lì per lì tende a catturarti, ma poi ti lascia con un forte senso di frustrazione e di angoscia dinanzi al tempo perduto, difronte alla radicale finitezza della nostra esistenza. L’unica controindicazione è la perdita di contatto con il senso comune e l’ideologia dominante, a cui cerco di rimediare, la mattina mente mi preparo, ascoltando i radiogiornali e le rassegne stampa.

Mi sono convinto a vedere le due puntate di quest’anno del Commissario Montalbano in primo luogo per il lavoro che sto portando avanti di recensione sistematica dei prodotti cinematografici, in secondo luogo perché ho sentito compagni piuttosto attendibili sostenere che Camilleri è un comunista, in terzo luogo in quanto persone esperte, che lavorano nel settore e che considero attendibili, mi hanno assicurato (come del resto le recensioni che ho letto) che si tratta di una delle rarissime produzioni televisive italiane di qualità; in quarto luogo per sfatare questo mito interclassista per cui vi sarebbero prodotti dell’industria culturale che godono di un consenso generalizzato, come se si ponessero al di sopra della lotta di classe al livello delle sovrastrutture, ovvero della lotta per l’egemonia sulla società civile.

Ora, dal punto di vista del lavoro di sistematica considerazione critica dei prodotti cinematografici degni di interesse, ritengo che vedere i due episodi di quest’anno del Commissario Montalbano sia stato utile solo per avere conferma di quello che sospettavo, ossia che non hanno nulla di cinematografico, ma rientrano in pieno nei prodotti televisivi dell’industria culturale, che hanno essenzialmente la funzione di oppio per il popolo. Tanto è vero che ho avuto seri dubbi se valesse la pena recensire prodotti sostanzialmente allotri rispetto all’obiettivo di recensire in modo sistematico i prodotti cinematografici distribuiti in Italia. Tanto che mi sono risolto a inserirli nella classifica dei film dell’anno più per un’esigenza di completezza che per il loro intrinseco valore, sostanzialmente del tutto trascurabile.

Anche il secondo motivo che mi ha portato a vedere questi due film televisivi tratti da opere di Camilleri, ossia il fatto che compagni sinceramente in buona fede lo definiscono un comunista, mi ha confermato del giudizio che mi ero fatto leggendo alcune delle sue opere letterarie che, per quanto possa aver pensato o sostenuto di esserlo per sé, non è certo comunista in sé e per sé. Credo, al solito, che il malinteso dipenda essenzialmente dal fatto che in Italia, nella generazione precedente alla mia, si consideravano e definivano comunisti individui che gravitavano intorno al Pci, ovvero un partito che, principalmente dopo la morte di Togliatti, ha subito una deriva sempre più apertamente revisionista. Tanto che, negli ultimi anni di vita di questo partito, il suo nome comunista era un semplice residuo di un glorioso passato, ma non aveva più nessun significato reale, tanto da essere divenuto mistificante. Altrimenti non si spiegherebbe come tanti militanti di questo partito della generazione precedente la mia – che ho iniziato la mia militanza comunista subito dopo lo scioglimento del Pci – pur rivendicando la loro appartenenza a tale partito, oggi non hanno vergogna di militare nel Pd, cogliendo più gli elementi di continuità che quelli di discontinuità. Volendo tacere dell’appoggio a Cossiga presidente della Repubblica, o la vergognosa politica eurocomunista, termine che è in sé un vero e proprio ossimoro.

Dunque, è del tutto evidente, leggendo un’opera media di Camilleri, ossia escludendo quelle poche opere veramente riuscite, e a maggior ragione vedendo dei film televisivi ispirate alla prima tipologia, che si tratta di puri e semplici prodotti dell’industria culturale, che hanno essenzialmente la funzione di oppio per il popolo, in un’epoca di secolarizzazione come la nostra. Evidentemente nessun vero comunista si sognerebbe di produrre opere di questo tipo, dal momento che portano nella lotta di classe a livello delle sovrastrutture acqua al mulino dell’ideologia dominante e non certo a l’unica ideologia che gli si contrapponga in senso progressivo, ossia il marxismo.

Del resto, la stessa scelta di produrre opere di genere e di un genere particolarmente conservatore o reazionario, come il genere poliziesco, non può che stridere con il proprio essere o anche solo definirsi comunista, a meno che di non considerare comunisti gli iscritti al Pci che appoggiarono l’elezione a presidente della Repubblica del picconatore della Costituzione, o sostenevano la posizione di E. Berlinguer che sosteneva più sicuro sotto l’ombrello della Nato, ovvero la più grande e criminale alleanza inter-imperialista della storia nata in funzione anticomunista e sviluppatasi come forza volta a rovesciare ogni governo antimperialista. Tanto più che nelle opere di Camilleri, ad eccezione delle poche di spicco, non vi è affatto un’attitudine autocritica rispetto al genere scelto, un tentativo di decostruirlo dall’interno come poteva esserci nei capolavori di Sciascia, né è uno strumento comunque utile per criticare dall’interno gli apparati repressivi dello Stato imperialista, come nei migliori Hard boiled statunitensi. Al contrario si dà a credere che gli apparati repressivi dello Stato imperialista abbiano la funzione di far trionfare la giustizia contro il crimine, come se appunto possa considerarsi giusto l’organo repressivo di uno Stato imperialista. Come se la difesa dell’ordine imperialista costituito sia qualche cosa di compatibile con il proprio essere o definirsi non solo comunista, ma anche semplicemente di sinistra.

Anche il terzo motivo che mi ha convinto a perdere tempo nel vedere e poi recensire questi due episodi (ossia che si tratta comunque di prodotti di eccellenza della televisione italiana) mi ha portato a pensare che – per quanto possa dipendere da me il non riconoscere la (relativa) qualità di questi prodotti, non avendo termini di paragone adeguati in quanto da troppi anni non guardo la televisione – il fatto che tali prodotti del tutto culinari e funzionali a narcotizzare il popolo dell’industria culturale siano considerati da persone intelligenti che lavorano del settore prodotti di qualità, non può che rafforzare la mia convinzione che sia assolutamente deleterio perdere il proprio (prezioso, in quanto inevitabilmente limitato) tempo davanti a una televisione, in particolare italiana o, più in generale, di uno Stato imperialista.

Solo il quarto motivo che mi aveva convinto, vincendo i miei fondati pregiudizi, a vedere il Commissario Montalbano ha dato esito, per così dire, positivo confermandomi nella convinzione che bisogna dubitare su prodotti dell’industria culturale che sono giudicati positivamente da tutti, a prescindere dalle proprie convinzioni intellettuali, morali e politiche.

Del resto, non solo qualsiasi marxista, ma anche qualsiasi persona dotata di sano buon senso umano, non può dubitare che l’ideologia dominante non può che essere l’ideologia del blocco sociale dominante, in particolare in un’epoca come la nostra in cui sul piano internazionale e, ancora di più sul piano nazionale, i rapporti di forza sono del tutto sfavorevoli non solo alle forze rivoluzionarie, ma anche alle forze sinceramente progressiste. Quindi il suscitare consenso generalizzato non può che portare a dedurne che o si tratta di un’opera espressione dell’ideologia dominante, in grado di egemonizzare anche la grande maggioranza dei subalterni oggi privi di coscienza di classe, o può trattarsi di un’opera interclassista, opportunista, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte, per evitare di schierarsi e non fare torto a nessuno. Aggiungiamo subito che, anche in questo secondo caso, si tratta comunque di un’opera del tutto indegna per un comunista, in quanto in un’epoca e in un paese dominato dall’alta borghesia l’interclassismo non solo è una evidente mistificazione della realtà e una posizione antitetica al marxismo, ma fa oggettivamente gli interessi della classe dominante, che riesce ad assicurarsi la propria egemonia sui subalterni proprio occultando il fatto che la lotta di classe, in particolare di chi ha il potere nei confronti di chi non lo ha, sia una costante della storia in ogni società divisa in classi.

Arrivando infine ai due episodi del 2019, non possiamo che costatare che L’altro capo del filo appartenga senz’altro alla seconda categoria, mentre un Diario del 43 appartiene senz’altro alla prima. Nel primo episodio infatti, al di là della storia principale del tutto priva di contenuti sostanziali, inverosimile e, quindi, essenzialmente mistificante, vi è comunque una significativa – in questi tempi bui – presa di posizione a favore dei disperati del terzo mondo costretti ad abbandonare le proprie terre per cercare di vendere la loro forza-lavoro in paesi a capitalismo avanzato. D’altra parte, però, il colpo al cerchio – ossia all’attuale governo che deve le sue fortune proprio all’aver scatenato una guerra fra poveri, per impedire a questi ultimi di difendersi dalla guerra portata avanti ai loro danni dai ricchi – è subito controbilanciato da due colpi alla botte, ossia due prese di posizione funzionali all’ideologia dominante. In primo luogo invece di mostrare le cause reali della emigrazione nelle guerre imperialiste, nel colonialismo e nel neocolonialismo, si rovescia completamente la realtà indicando come causa esemplare dell’emigrazione la presenza di governi come quello siriano che tentano, dinanzi a rapporti di forza così sfavorevoli, di fare da argine all’imperialismo e al suo doppio, ovvero l’integralismo religioso. In secondo luogo, si presentano gli apparati repressivi di uno Stato imperialista come sostanzialmente dei benefattori nei riguardi dei deportati dalla borghesia, ossia i poveri provenienti dai paesi del terzo mondo.

In Diario del 43 non si fa nemmeno finta di prendere una posizione super partes nella lotta di classe a livello delle sovrastrutture, ma si assume in pieno l’ottica dell’ideologia dominante, anche in uno dei suoi aspetti più reazionari, ovvero il tentativo di riabilitare i “ragazzi di Salò”, ossia coloro che rimasero fedeli al fascismo anche quando, dopo l’8 settembre, era divenuto un semplice strumento di morte e oppressione del Terzo Reich. Senza contare che, al centro dell’episodio, vi è di nuovo una vicenda del tutto inverosimile e, quindi, antirealista che, per altro, appare come l’ennesimo inutile diversivo rispetto a quello che dovrebbero fare i sinceri democratici appartenenti alle forze dell’ordine e a maggior ragione gli scrittori sedicenti comunisti, ossia, in particolare occupandosi di Sicilia, concentrare i propri sforzi nella lotta alla criminalità organizzata, piuttosto che, come avviene io Diario del 43, perseguire chi si è fatto giustizia da sé di un fascista, capitalista e reo confesso assassino dei genitori della sua vittima-giustiziere.

30/03/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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