La virtù e il corso del mondo

Proseguiamo nella recensione analitica di Soluzioni hegeliane, opera di Francesco Valentini un grandissimo storico della filosofia, in particolare hegeliana


La virtù e il corso del mondo Credits: https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Francesco-Valentini-che-cos232-la-politica-Aforismi-5e61471e-72ed-4d67-a929-de067ba26af4.html

Segue da “Cominciamento, illuminismo e sapere assoluto

La questione che si pone Francesco Valentini è se una volta raggiunto lo stadio del sapere assoluto le forme precedenti del manifestarsi dello spirito abbiano ancora un ruolo, o debbano essere considerate unicamente come appartenenti al passato. Per ciò che riguarda l’arte, le difficoltà che incontra nel mondo moderno sono individuate da Valentini – in maniera piuttosto unilaterale, almeno per quanto riguarda il giudizio di valore dato a quest’epoca – nel prevalere dell’utile, dei meschini interessi della vita. “In questo mondo non c’è posto per l’arte. Ma è evidente che non c’è posto perché l’arte è superiore (serviamoci di questa metafora) a questa cultura” [1].

Discorso analogo potrebbe essere fatto per la religione. Tuttavia ciò, per quanto riguarda la religione e la teologia, per Valentini sarebbe contraddittorio, in quanto esse acquistano il loro pieno valore dal punto di vista filosofico. Valentini porta l’esempio della rivalutazione hegeliana contro Kant dell’argomento ontologico. Questa rivalutazione, almeno nell’interpretazione di Valentini, ha un significato solo storico. Si tratta di rivalutare positivamente lo sforzo fatto, attraverso di essa, dall’uomo per elevarsi al piano del pensiero e non di considerarla ancora attuale. “Com’è stato osservato e come appare ovvio, il sistema hegeliano è la più vera prova ontologica dell’esistenza di dio; la teologia è diventata interamente positiva, e con ciò non ha più nulla di teologico” (200). La rappresentazione quale forma espressiva propria della religione, pur restando superiore all’intelletto riflessivo dell’illuminismo e del criticismo, resta tuttavia una sorta di prologo in cielo del concetto, una intuizione in forma mitica di ciò che nel concetto è adeguatamente dispiegato. Così nell’interpretazione di Valentini il concetto di dio non è altro che una metafora utilizzata da Hegel per indicare la totalità concreta, la ragione storica. La questione, però – che Valentini sembra dimenticare o sottovalutare – è che Hegel stesso, pur essendo giunto al concetto assoluto, continua sovente a servirsi della forma rappresentativa della religione per illustrarlo, il che ha favorito fraintendimenti e incomprensioni.

Lo stesso discorso, benché in misura minore, vale per l’arte, che sopravvive solo non presentandosi più come portatrice di verità. Ciò che resta è o l’arte come puro gioco, dotto esercizio puramente creativo o l’elemento formale dell’arte come immaginazione produttiva, allegorizzante, poetante. Questa è forse la parte meno convincente del libro di Valentini in quanto contrasta esplicitamente con il favore accordato da Hegel a opere moderne che rappresentano l’esatto contrario di un’arte puramente fantastica, quali ad esempio il Faust di Goethe.

D’altra parte, Valentini, presenta un’altra possibilità, che sembra riaprire il cerchio troppo frettolosamente chiuso sulla presunta fine dell’arte e della religione. L’uomo e, in particolare, l’uomo d’azione potrebbe in futuro ancora avere bisogno della forma rappresentativa una volta che la sua azione trasformativa abbia dato origine a un nuovo mondo. Questo perché l’azione di per sé non ha la possibilità di riflettere preventivamente sul senso cui sta dando vita e la forma filosofica, il sapere assoluto si dispiega – per così dire – troppo tardi, unicamente quando il nuovo assetto costituito inizia a entrare in crisi. Valentini, richiamandosi a Karl Marx, afferma che “la nuova realtà in formazione viene intesa in termini mitici, e solo più tardi (al crepuscolo) subentra la comprensione razionale” (213).

Nell’ottavo capitolo Valentini si occupa di una figura del quinto capitolo della Fenomenologia dello spirito: La virtù e il corso del mondo. Si tratta di una figura individualistica come quelle che la precedono. Si ha così una serie che va dall’uomo del piacere che, perseguendo il proprio fine individuale, realizza inconsapevolmente l’universale; di ciò ha coscienza l’uomo della legge del cuore la cui legge universale, però. si scontra con l’impenetrabile legge del reale; interviene così l’uomo della virtù che riconosce nel reale dietro lo scontro di individualità egoistiche un nucleo buono che si realizza, per cui ciò che va tolto è unicamente questo lato individuale; si arriva così all’uomo del corso del mondo, vero e proprio uomo di azione, che agisce, come è necessario, sulla base della volontà individuale e in questo modo entra in collisione con princìpi etici costituiti.

In questa figura il personaggio negativo, polemico, è l’uomo della virtù che finisce per non agire per il timore di intaccare la razionalità sottesa all’empiria del corso del mondo. Il personaggio positivo è, dunque, l’uomo del corso del mondo, che non pone l’essenza nell’in sé, ma nella volontà agente e così ha in suo potere tanto la virtù che l’uomo della virtù. L’individualità rigettata dall’uomo della virtù è il principio stesso dell’azione, che consente all’in sé di passare dal vuoto dell’astrazione all’effettuale. Dunque, nell’interpretazione di Valentini, l’uomo del corso del mondo “appartiene alla famiglia dei realizzatori, che con la loro opera cangiano il mondo conferendogli nuovo senso” (225). Tuttavia più che alla figura di un creatore cui fa riferimento Valentini, dal sapore troppo superomistico, l’individuo storico-universale è colui che è in grado di cogliere, anche inconsciamente, e contribuire a realizzare le linee di sviluppo fondamentali della propria epoca. “Naturalmente – e questo è l’essenziale – queste considerazioni si fanno post eventum: è la realizzazione, il processo compiuto, che spiega la virtualità, come è l’azione che spiega l’intenzione, il reale che spiega il possibile” (233).

L’universale è, dunque, tale solo in quanto si realizza nel corso del mondo, attraverso l’individuo, che a sua volta è riconoscibile come interprete del corso del mondo solo nel risultato delle proprie azioni. “Ciò che conta è l’opera non quegli che agisce, l’opera è l’originario, il singolo è un derivato” (237). A parere di Valentini la polemica hegeliana con l’uomo della virtù è la polemica con Kant, cui Hegel rimprovera di aver voluto eliminare le passioni e l’amor proprio come motore dell’azione individuale, per il mito della perfezione interiore che nasconde in sé l’anima bella. Per Hegel ciò che conta è il risultato, il divenire storico, opera di tutti e di ciascuno, che ha in sé la sua misura e non può essere fatto dipendere da un astratto principio a priori.

Tuttavia, se il senso per Hegel deriva dalla storia, ciò non significa che tutta la storia sia da considerare come egualmente portatrice di senso, non si tratta di cadere in un relativismo storico, ma di considerare l’idea come reale, l’universale in re, nel processo della sua formazione. Ciò però non toglie nulla al fatto che, d’altra parte, l’uomo d’azione non può mai prevedere a priori tutte le conseguenze della sua azioni. Qui Hegel finisce per recuperare la fede pratica, deteologizzata di Kant, fede nel corso del mondo e nell’accordo del risultato della mia azione con essa. È un momento fondato solo in astratto sulla sensatezza della storia, ma che non garantisce nulla al singolo, che non può mai sapere fino in fondo se la sua azione si incontrerà con le tendenze fondamentali, con lo spirito della storia, che è qualcosa di sovraindividuale, in quanto è il risultato dell’azione di tutti e di ciascuno. Tuttavia è necessario accettare questo elemento tragico dell’azione, se non si vuol cadere nel destino altrettanto tragico, ma privo di speranza dell’anima bella.

Nel nono capitolo Valentini passa ad occuparsi di Eric Weil, in particolare dell’assoluto nella Logique de la philosophie [Logica della filosofia]. La categoria che precede l’assoluto in Weil è la personalità, categoria che Valentini definisce nietzschiana, scambiando Nietzsche per un umanista. La personalità reagisce alla categoria dell’intelligenza che, riducendo tutto a interesse, nega ogni verità assoluta. La personalità accetta questa negazione e così non si limita all’interpretazione come la categoria precedente, ma, ponendo al centro l’uomo, crea il mondo. Per essa solo questa attività poietica ha valore. Tuttavia questo atteggiamento negativo verso l’altro da sé è il suo limite che ne porta al superamento nell’assoluto. Così da un lato l’assoluto segna il ritorno all’atteggiamento contemplativo dell’intelligenza, ma dall’altro gli si oppone in quanto non considera più l’essere al di fuori del discorso, per essa, infatti: “l’Essere è discorso e ontologia e logica coincidono” (245).

Così, come in Hegel, l’assoluto segna per Weil una relativa fine della storia, che ora viene considerata come materiale della comprensione assoluta. Tuttavia la logica di Weil non si arresta qui, l’uomo non può essere ridotto a discorso sensato e quest’ultimo può certo comprendere la violenza, ma non per questo eliminarla. Sorgono così due nuove categorie, categorie della rivolta le definisce Weil, l’Opera e il Finito che non confutano il discorso sensato dell’assoluto, ma semplicemente lo rifiutano. Con l’Opera si torna ad una categoria dell’azione, che pone l’azione come fine in sé. Con il Finito, categoria esistenzialistica la definisce Valentini, si riflette sull’impotenza della stessa azione, sulla sua incompiutezza, dato che l’essere resta precluso tanto al discorso che all’azione. Si tratta ora di riconciliare le esigenze del discorso, dell’assoluto, con quelle della particolarità, del sentimento, che vi si oppongono nell’Opera e nel Finito. Interviene così la categoria dell’Azione, categoria marxista la definisce Valentini, che è la categoria ultima, la categoria della modernità che porta a compimento, tramite la realizzazione della filosofia, lo scopo finale del pensiero politico. «In questo modo il mondo non sarà soltanto compreso e giustificato, ma sarà reso giusto, l’Universale abiterà la particolarità» (247). A questa categoria seguono le ultime due: Senso e Saggezza. Si tratta in questo caso di categorie formali, in quanto sono quelle che permettono di prendere coscienza del percorso categoriale percorso dalla Logique. Il Senso si pone come il discorso per eccellenza, la poesia nel suo senso etimologico, la capacità di creare dando significato. La saggezza, infine, è il senso vissuto, la scelta di vita sensata, l’unità realizzata di particolare e universale, benché al livello formale, e dunque fonte ultima di tutte le categorie.

Fin qui Weil. Ora per Valentini si tratta di vedere se la categoria dell’assoluto sia realmente superata. Ciò implica fare i conti con l’interpretazione che Weil dà di Hegel e per noi, di conseguenza, con quella di Valentini. Per entrambi il sistema di Hegel va inteso storicamente. Il radicalismo storicista dell’interpretazione di Valentini trova piena conferma nell’interpretazione e ancora di più nella filosofia stessa di Weil, fino nei suoi esiti più estremi e certamente più discutibili per cui la filosofia essendo rivolta al passato non sarebbe di nessun aiuto per il presente dell’azione: “non serve a nulla”. Tuttavia per Weil Hegel stesso non avrebbe pensato ciò fino in fondo, il suo tentativo di fissare le strutture nel sapere assoluto sarebbe da considerare un limite, dato che la struttura non coincide mai con lo strutturato e la filosofia non è altro che filosofare. A ragione, in queste posizioni, Valentini coglie una critica di origine kantiana a Hegel. Il sapere assoluto coglie ciò che è wirklich, effettuale, ma non il Dasein, l’esserci. Qui, al di là del dualismo tra sostanza e fenomeno, noi vediamo anche, indipendentemente da Valentini, l’influsso di filosofie esistenzialistiche e heideggeriane per le quali il Dasein in quanto in rapporto all’essere avrebbe la priorità sul pensiero. Da questo punto di vista l’interpretazione di Valentini ci sembra accentuare troppo l’hegelismo di Weil.

Note:

[1] Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Guerini e associati, Napoli 2001, p. 194. D’ora in avanti inseriremo direttamente nel testo, in parentesi tonda, il rinvio alla pagina di questo testo da cui la citazione è desunta.

29/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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