Orange Is the New Black

Una serie statunitense tutta al femminile che ci parla dello sfruttamento e delle principali lotte in corso.


Orange Is the New Black

Serie disponibile su netflix voto 8--

Benvenuti negli States, in un sistema marcio, in una società dove le contraddizioni sono evidenti e alla portata di tutti. Il principale paese a capitalismo avanzato è disumano. Orange Is the New Black (OITNB) svela molte delle principali e alcune delle secondarie contraddizioni della vita del proletariato statunitense.

Il principale problema di questa serie, come di altre, è la lunghezza. OITNB conta 7 stagioni da 13 puntate ciascuna di un’ora circa. Uno dei punti di forza della serie è il cast tutto al femminile. Le protagoniste della serie sono per la maggior parte donne che ricoprono tutte le categorie del proletariato moderno: immigrate, minoranze etniche, lavoratrici professionali, semplici operaie, provenienti da famiglie di diverso ceto sociale, culturale e politico, alcune di esse cadute nella trappola del sottoproletariato...

Il salto ad una classe sociale diversa per scalare la piramide sociale è difficile, diciamo impossibile nel fasullo sogno americano. Le classi sociali appaiono come delle caste in perenne lotta fra di loro. La serie mostra inoltre il volto disumano delle condizioni delle famiglie con problemi economici negli USA, il più delle volte taciuto: la facilità di affidare e di dare in adozione la prole, senza che lo Stato intervenga per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono alle famiglie di mantenere la propria unità. Un vero e proprio giro di minori nel principale paese capitalista. Lo stato invece di tentare di tutelare la genitorialità delle persone in difficoltà, la dà in appalto. L’affidamento e l’adozione, istituzioni di grande rilievo ed importanza, sono negli USA abusate.

I limiti principali della serie sono di non rivelare la necessità di questo sistema socio-economico di mantenere persone in uno stato di sfruttamento e la mancata constatazione che la classe lavoratrice è il soggetto rivoluzionario per eccellenza: i proletari possono fare a meno di avere oppressori, i padroni non possono fare a meno degli oppressi. La serie, inoltre, presuppone che i nuovi sfruttati siano i detenuti in quanto tali e non le classi sociali cui appartengono, sebbene tale conclusione viene confutata spesso, sia attraverso le differenti condizioni delle detenute in carcere, che dipendono dalla loro condizione di classe, sia nel finale di ciascuna delle protagoniste. Infatti, in tale sistema disumano l’organizzazione politica dominante, pur collocandoti nella stessa classe, nella stessa prigione, ti differenzia e ti fa apparire in costante conflitto con il tuo compagno di cella, in una costante guerra fra poveri.

Nel paese più forte militarmente e più egemonico nel mondo, lo Stato si mantiene attraverso un legame di minacce ed estorsioni, fondate sul ricatto. Vuoi sopravvivere!? Devi farti sfruttare. Per questo sistema economico l’illegalità o la prigionia di molti soggetti è una condizione per massimizzare il profitto: più sei ricattato più posso sfruttarti, fino a farti gioire per 30 centesimi per un’ora di lavoro. Non interessa se il tuo lavoro è legale o illegale, anzi, per certi versi, lo stato di illegalità è un’ulteriore minaccia, in quanto se vuoi alzare la testa contro l’oppressore, il padrone, il boss… la classe sociale al potere ha tutta l’ingiustizia di un sistema giudiziario e carcerario.

Orange is the new black è un’opera che ci sono voluti tre soldi per realizzarla. Ha dell’incredibile come una serie del genere con delle idee brillanti sia stata distribuita e prodotta negli USA, sia pure con un budget limitato. Tutto ciò fa ben sperare. Il cast, quasi tutto al femminile, non brilla di attrici famose a livello internazionale; non sono delle modelle, al contrario, sono caratterizzate da tutte le imperfezioni naturali di ciascuno di noi. La serie non viene seguita per scene di sesso o di pura violenza, dove il sangue prevale come nella maggior parte dei film di Quentin Tarantino. Realizzata in fretta per il piccolo schermo, molti dei tagli in fase di montaggio o i controcampi sono sbagliati. La comicità non è fine a se stessa anzi è di supporto alla trama. Dunque, l’attrazione per questa serie è tutta nella storia e nella sua particolarità e originalità, nel fatto che riesce a farti ragionare e riflettere sul mondo contemporaneo attraverso i dialoghi ben riusciti.

La sceneggiatura non originale è la rivisitazione dell’esperienza di una nota scrittrice statunitense (Piper Kerman) e del suo omologo libro. Benvenuti nel sogno degli States, il re è nudo, il sistema è marcio, il vecchio deve morire, il nuovo non decolla ma viene represso. Il momento epico e centrale dell’opera non può che essere il momento collettivo. La Storia è storia di lotta di classe, la disfatta finale è la tragedia della mancanza di una direzione consapevole alla mobilitazione. Il luddismo vince, poi viene il caos e l’anarchia fino alle ultime sacche di resistenza lodevoli ma limitate. La restaurazione si rafforza con la sconfitta momentanea della rivoluzione. La disfatta all’apice della scontro è solo un momento delle classi oppresse e la vittoria è solo rinviata. Dovrebbe iniziare la fase della riflessione, dell’analisi delle motivazioni oggettive e soggettive affinché non si ripetano gli stessi errori nella fase dello scontro finale. Ecco che la serie è mutilata, manca totalmente la ragione della sconfitta o meglio della vittoria rimandata. La serie sbaglia ad enfatizzare la parte repressiva dello stato di polizia e a raccontare come le rivoluzionarie nel momento della sconfitta, mancando di una formazione politica e culturale adeguata, si scannano a vicenda tornando nell’individualismo.

Il finale in Orange is the new black è aperto per la maggior parte delle protagoniste come se la storia dovesse continuare con un livello di coscienza aumentato; fortunatamente il lieto fine rimane una delle caratteristiche del cinema hollywoodiano ma non per questa serie.

Una serie fin troppo lunga ha tutto il tempo per raccontare anche le principali battaglie civili contemporanee: la questione degli omosessuali, delle donne, la rieducazione del condannato, il movimento pacifista, il movimento dei black lives matter, l’ambiente, … Anzi per certi versi è stata predittrice della mobilitazione contro il razzismo negli USA innescato dall’omicidio attraverso la tecnica del soffocamento di Floyd. Molto simile a una telenovela, il punto di forza della narrazione è l’immedesimazione dello spettatore a qualsiasi personaggio che apparentemente è la figura chiave e buona. Tale rapporto di coinvolgimento emotivo fra lo spettatore e il personaggio interpretato viene tradito in un battibaleno, svelando i difetti di ciascun individuo. Aggiungiamo la presenza solo di due costumi: orange (la divisa del carcerato negli USA è l’arancione) e blu (divisa del secondino), una scenografia povera (il tutto si svolge in un carcere) e qualche flashback di contorno per raccontare i trascorsi dei personaggi. La recitazione è portata al massimo, l’espressività di molte attrice è teatrale, l’accento sulle caratteristiche distintive delle protagoniste è una costante. L’effetto straniamento se non è voluto comunque rappresenta un dato di fatto. L’immedesimazione costantemente tradita dai difetti delle protagoniste è accompagnata dall’aspetto critico dello spettatore.

La serie è stata pensata per un pubblico statunitense e questo rappresenta un limite per gli spettatori del resto del mondo che non riusciranno a cogliere le molte citazioni. La molteplicità delle metonimie narrative che accompagnano lo svolgimento della storia collettiva promettono uno sviluppo come micce che esploderanno nel corso degli eventi. Sono sempre meno in proporzione le commedie cinematografiche o, come in questo caso, televisive che hanno il pregio, rispetto ad altri generi, di lasciarti pensare e di poter criticare l’esistente.

Il regista come il montatore avranno avuto uno spazio di tempo limitato per sapersi divertire e poter sperimentare o cimentarsi in forme di espressione più creative. Gli effetti speciali quasi assenti lasciano il posto ai dialoghi e la recitazione che rappresentano la punta di diamante della serie. Alcuni titoli delle puntate sono originali come del resto il titolo della serie e anche se non sono ad effetto, molte delle volte ti fanno riflettere e si avvicinano ai binomi fantastici dei capolavori cinematografici di De Santis “Riso amaro” e “Non c'è pace tra gli ulivi”.

Ad ogni puntata un Flashback realizzato per descrivere un personaggio o un evento. Questa tecnica artistica viene abusata in OITNB, molte delle volte risulta ripetitivo o insignificante fatto per allungare il brodo. Con questa rievocazione di eventi passati ci si concentra troppo spesso a raccontare episodi legati al sottoproletariato, narrando lotte fra gang e famiglie criminali. Ci si concentra troppo spesso sul sottoproletariato narrando le loro vicende criminali e trascurando troppo spesso l’alienazione e le problematiche dei lavoratori.

07/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Angelo Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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