Revenant e La grande scommessa: due film da Oscar

Recensione dei film The Revenant di Alejandro González Iñárritu e de La grande scommessa di Adam McKay.


Revenant e La grande scommessa: due film da Oscar

In una società divisa in classi, affermava Marx, l’ideologia dominante è espressione della classe dominante. Dunque i film migliori non possono che essere quelli prodotti dall’industria culturale dominante, ossia dalle major hollywoodiane. Tale potere si esercita con il mancato finanziamento di opere non funzionali al sistema e mediante l’egemonia, ossia conquistandosi il consenso dei subalterni, i quali, sino a che saranno privi di una visione del mondo autonoma, non potranno fare a meno degli oppiacei che l’industria culturale generosamente gli elargisce.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

In questi giorni sono usciti nelle sale italiane due film che stanno ricevendo moltissimi riconoscimenti a livello internazionale. Il primo, The Revenant, Redivivo è opera del regista messicano Alejandro González Iñárritu, già pluripremiato l’anno scorso con il suo Birdman [1]. Il film ha ricevuto ricevuto 7 nomination (miglior film, regia, attore, fotografia, montaggio, suono, trucco) ai BAFTA (gli Oscar inglesi); 4 nomination ai Golden Globe (miglior film e attore drammatico, regia, colonna sonora) e 3 premi (miglior film e attore drammatico e regia); ha fatto nuovamente da mattatore nelle nomination agli Oscar, per i quali è il grande favorito con ben 12 nomination (miglior film, regia, attore protagonista e non, fotografia, scenografia, costumi, montaggio, effetti visivi ecc.).

Molti riconoscimenti ha altresì ricevuto La grande scommessa di Adam McKay, con 5 nomination ai BAFTA (miglior film, regia, montaggio, attore non protagonista, sceneggiatura non orginale); 4 ai Golden Globe (miglior film brillante e attori brillanti, miglior sceneggiatura); 5 nomination agli Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura non originale, attore non protagonista, montaggio).

Revenant è un film decisamente sopravvalutato, in quanto comodo e funzionale all’ideologia dominante. Il film è un classico prodotto d’evasione della cultura popolare rivolto a un pubblico intellettuale tradizionale, quindi molto curato dal punto di vista formale ma sostanzialmente privo di contenuto sostanziale. L’impianto della trama è quello trito e ritrito che ha il suo prototipo nel basso romanticismo del romanzo d’appendice, di opere come il Conte di Montecristo di Dumas padre.

Lo stesso protagonista, interpretato da Di Caprio, ormai, come Scorsese, disposto a tutto pur di conquistarsi un Oscar, assume pose superomistiche che non sono altro che una ripresa del primo Rambo, anche se in una forma più raffinata e formalisticamente ricercata. Rispetto a Rambo, più legato allo spirito popolaresco del romanzo di appendice, ossia intriso di quella ideologia democratica e piccolo borghese che ama mostrare il figlio del popolo buono, semplice e generoso che lotta contro le forze oscure di un potere tirannico [2], in Redivivo vi è solo la lotta contro un mero delinquente individuale, che per uscire dalla sua misera condizione di lavoratore sfruttato, ricorre al delitto. In tal modo il protagonista opera come rinforzo del rappresentante dell’ordine legale – qui per altro strumento del colonialismo genocida a stelle e strisce. Al solito, dinanzi ai limiti del rappresentante dell’ordine legale, troppo impacciato dal suo ruolo istituzionale, risultano più efficaci gli strumenti superomistici dell’agente privato, che può porsi al di là del bene e del male per realizzare la sua personale vendetta, anche se nel finale possiamo assistere a un vero e proprio omaggio all’ipocrisia puritana imperante negli Usa [3].

Restano da comprendere i motivi del perdurante successo, non solo fra le masse popolari prive di coscienza di classe ma anche fra gli intellettuali tradizionali di questo scontatissimo modello dell’eroe individualistico, che in modo superomistico riesce a colpire il puro male, ponendosi al di là dei limiti stabilite dalla legge. Presumibilmente, come intuiva già Gramsci [cfr. Quaderno 6 (VIII) § (28)], si tratta della stessa ragione per cui ancora oggi continua a essere popolare la religione, ossia la più antica forma di evasione dal mondo reale che l’umanità ha collettivamente riprodotto con infinite variazioni dello stesso tema, più o meno raffinate, più o meno barbare. In effetti “c’è sempre stata una parte di umanità la cui vita è stata sempre taylorizzata, e […] questa umanità ha cercato di evadere dai limiti angusti dell’organizzazione esistente che la schiacciava, con la fantasia e col sogno. La più grande avventura, la più grande ‘utopia’, che l’umanità ha creato collettivamente, la religione, non è un modo di evadere dal mondo terreno? E non è in questo senso che Marx parlava di ‘oppio del popolo’ ” [Ivi].

Tale problematica è oggi non solo ancora attuale ma decisamente aggravata dal fatto che tale “razionalizzazione della vita”, interamente messa all’opera per incrementare i profitti di poche enormi multinazionali, colpisce non solo, come ha sempre fatto, i gruppi sociali subalterni ma le stesse “classi medie e intellettuali in una misura inaudita” [Ibidem]. Ciò provoca in tali ceti sociali una fortissima preoccupazione che viene esorcizzata tanto per via religiosa, quanto attraverso questi prodotti culturali di evasione, che svolgono la stessa funzione di “oppio del popolo”, nel caso dei Blockbuster più dozzinali, di “oppio per piccolo borghesi e intellettuali tradizionali”, nel caso di Blockbuster per palati più raffinati, come Redivivo.

Decisamente più interessante, anche se altrettanto decisamente meno raffinata da un punto di vista cinematografico, è La grande scommessa, opera di un regista che si è precedentemente cimentato con il genere demenziale. Ciò, d’altra parte, gli è certamente di aiuto per rappresentare in modo piuttosto avvincente, o quantomeno senza annoiare, il diabolico meccanismo dei mutui subprime che hanno sviluppato in modo talmente “demenziale” la bolla speculativa da farla esplodere disastrosamente.

In modo apparentemente paradossale, tale spaventoso meccanismo speculativo, che pare aver sorpreso tutti gli “addetti ai lavori”, persino i principali esperti del settore, sarebbe stato intuito da un gruppo più o meno scalcagnato di piccoli speculatori, che si sarebbero limitati a constatare che il re era nudo, scommettendo, così, non su un’ulteriore crescita di una borsa sempre più drogata ma sul suo imminente crollo.

Si tratta, evidentemente, anche per chi ha anche solo - come chi scrive - rudimentali conoscenze delle scienze economiche, di un segreto di Pulcinella. Nel senso che ormai quantomeno da decenni i “critici dell’economia politica”, quale ideologia al servizio della classe dominante borghese, hanno denunciato le invarianti della crisi di sovrapproduzione. Riassumiamole, comunque, in poche parole: la caduta tendenziale del tasso di profitto, dovuta al progressivo crescere della quota di capitale investito in lavoro morto, in quanto tale impossibilitato a produrre plusvalore, produce una sovrapproduzione di capitali nel settore produttivo. Non potendo più sperare negli usuali tassi di profitto, gli investimenti nel settore produttivo diventano sempre più rischiosi e tendono a spostarsi nel settore speculativo, che scommette sul futuro andamento del mercato. In tal modo i capitali, disponendo di mano d’opera specializzata in grado di fornire adeguate informazioni, rastrellano i risparmi del parco buoi, ossia dei piccoli investitori, spinti a investire quote del loro salario, necessarie alla loro stessa riproduzione come classe subalterna, ingannati dalle sirene di facili guadagni. Tali sirene hanno un eccezionale potere persuasivo, dal momento che esso è il prodotto del lavoro delle maggiori agenzie di rating a livello internazionale.

Tale patrimonio scientifico, frutto dell’elaborazione di generazioni di economisti, viene al solito ridotto dal cinema americano all’intuizione del genio individuale piccolo borghese che, estraniandosi da tutto e da tutti, grazie a puri calcoli matematici, scopre l’acqua calda, ossia che la bolla speculativa si è sviluppata ad un punto tale che dovrà necessariamente esplodere.

D’altra parte i registi statunitensi sono così ingenui che, a differenza dei raffinati e corrotti Tui [intellettuali al servizio del potere] europei, finiscono talvolta per constatare, appunto, che l’imperatore è nudo. Ovvero che l’esplosione della bolla speculativa, non porta al discredito e tanto meno all’arresto dei grandi operatori finanziari internazionali, che hanno ordito questa trama [4], ma colpisce quei poveri “piccoli investitori” che avevano creduto di poter ottenere più del necessario alla propria riproduzione in funzione subalterna giocando in borsa o, addirittura, ipotecandosi l’abitazione di cui pur continuavano a pagare il mutuo. Al solito, la bomba a orologeria ordita dal capitale finanziario e passata di mano in mano, arriva con la miccia troppo corta nelle mani dei piccoli investitori, non a caso recintati nel cosiddetto “parco buoi” della borsa.

In entrambi i film si mostrano in modo piuttosto realistico le nefandezze che avvengono nel mondo reale, alla faccia dei Candide che ancora si lasciano illudere dal grande fratello di vivere nel migliore dei mondi possibili. Tuttavia, non distinguendo fra grandi e piccoli delinquenti, tra grandi e piccoli opportunisti, si perdono anche le differenze fra carnefici e vittime. Così nel primo caso (The Revenant), con un procedimento tipico del rovescismo storico, si mettono sostanzialmente sullo stesso piano la violenza prima degli occupanti, dei colonialisti, e la violenza seconda, ossia la resistenza degli occupati. In tal modo si vuol dare a intendere che non possiamo che vivere nell’orizzonte nicciano o spenceriano del darwinismo sociale, in cui vale come unica legge quella dell’homo homini lupus, per cui la violenza viene quasi naturalizzata e in tale lotta per la sopravvivenza si affermeranno i superuomini, ossia i più forti, mentre gli altri sono destinati a soccombere, nonostante tutti i loro sforzi e le loro resistenze. Per quanto crudele, questo resta l’unico mondo possibile ed è, in ultima istanza, anche progressivo perché garantisce lo sviluppo, visto che a sopravvivere sono gli individui, i gruppi sociali e nazionali più capaci di adattarsi a un habitat naturale dove vige la legge della giungla. Nel secondo caso ognuno, dai più grandi banchieri ai più miseri lavoratori immigrati, si illude di poter realizzare i propri interessi all’interno di un modo di produzione costretto per sopravvivere a creare un universo sempre più illusorio e fittizio come quello dei Futures, per cui oramai per ogni dollaro o euro investiti nel reale settore produttivo, ve ne sono almeno dieci investiti nel fittizio regno delle speculazioni, ovvero delle scommesse sulle sorti, per altro segnate, dell’economia reale all’interno di questo modo di produzione. Certo, quando questo comune edificio sempre più marcio, in cui tutti hanno cercato di vivere curando i propri interessi, inevitabilmente crolla, a subirne i danni non possono che essere i più deboli; del resto la pioggia non può che naturalmente cadere dall’alto verso il basso.

Note

[1] Ci permettiamo di rinviare alla nostra recensione su questo giornale: La verità è che nun c’avete niente da dì ed al nostro articolo sulla passata assegnazione dei premi Oscar: Un Oscar alla capacità di egemonia della società dello spettacolo.

[2] Anche se questi aspetti “democratici” sono demagogicamente sfruttati per un’operazione del più bieco rovescismo storico, per cui le truppe d’élite divengono le ingenue vittime degli attentati terroristici dei bambini vietnamiti strumentalizzati dai Viet Cong.

[3] Il protagonista, dopo averlo massacrato, non finisce il proprio nemico, rappresentante del puro male, ma lascia la vendetta nelle mani del “creatore”, dopo essersi assicurato che in sua vece la legge dell’occhio per occhio sia fatta rispettare dai selvaggi autoctoni, per riconoscenza all’eroe che ha salvato la figlia del capo tribù.

[4] Come mostra involontariamente l’incredibilmente sopravvalutato modesto film di Scorsese, The Wolf of Wall Street, è soltanto il piccolo speculatore – che crede di poter partecipare agli introiti di questa rapina di dimensioni colossali, da far impallidire anche i più eccezionali svaligiatori di banche, ingannando individui della classe dominante – a finire in carcere. Salvo essere poi rilasciato allo scopo di fargli spacciare ai giovani studenti la favola del sogno americano del self made man.

22/01/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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