Brecht e la responsabilità storica dell’intellettuale

Come può un grande artista rifiutarsi di prendere posizione con la propria opera dinanzi alle grandi problematiche economiche, sociali, politiche e ideologiche del proprio mondo storico?


Brecht e la responsabilità storica dell’intellettuale Credits: https://luoghidautore.com/2017/11/14/benjamin-e-brecht-a-berlino-si-racconta-la-loro-amicizia/

Link alla lezione su temi analoghi tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

Premessa. I brani che commenteremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970. Tra parentesi tonde metteremo a fianco di ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana. Non segnaliamo i casi in cui abbiamo considerato necessario modificare la traduzione per rendere maggiormente perspicuo il pensiero di Brecht.

Della pittura e dei pittori (75) [1].

Brecht in quanto Me-ti, ovvero in quanto intellettuale marxista, chiede a un artista proveniente da una famiglia proletaria come mai nelle sue opere il tema dello sfruttamento del lavoro non è presente. Tanto più che il livello di sfruttamento del proletariato è spaventoso e l’artista ne è ben consapevole e, pur potendo denunciare tale misfatto con le sue opere, si limita a riprodurre aspetti idilliaci della natura. L’artista, dopo aver rivendicato il proprio diritto di scegliere arbitrariamente i temi delle proprie opere, precisa che nelle sue opere esprime in modo astratto e simbolico i propri sentimenti. In tal modo, dinanzi a Brecht che lo interroga sullaresponsabilità storica, politica e morale di un artista che potrebbe nelle proprie opere denunciare la condizione di sfruttamento, che per altro gli è così familiare, il pittore rivendica la concezione romantica dell’arte, che crea nel modo più libero, mirando a esprimere in forme non realistiche i sentimenti dell’autore. Al che Me-ti gli risponde, incalzandolo, con la domanda “se quantomeno i suoi sentimenti siano ispirati dalla situazione spaventosa” (76) di sfruttamento della propria classe di provenienza? E dinanzi alla risposta sfuggente dell’artista, per porlo più chiaramente dinanzi alle proprie responsabilità gli domanda “se ha per caso ormai dimenticato” la propria classe di provenienza e la sua sofferenza e “ricordi ormai esclusivamente i suoi sentimenti” (76).

Al che l’artista, sentendosi messo alle strette, per uscire dalla situazione complicata in cui si è venuto a trovare, rivendica di partecipare, con le proprie opere di contenuto astratto e allegorico, “all’evoluzione” dell’arte. Al che Me-ti gli domanda se in tal modo non intenda alienarsi dalla questione della “evoluzione” del proletariato dalla propria condizione di subalternità.

Per uscire dall’imbarazzo l’artista controbatte che “in quanto uomo milita nel partito comunista rivoluzionario che intende sopprimere sfruttamento e oppressione, mentre come” artista mira “a sviluppare le forme” (pure) dell’arte. Spiazzante e implacabile è la replica del Brecht marxista che fa notare a questo suo tipico collega artista, che la sua risposta equivarrebbe a sostenere: “come cuoco avveleno i cibi ma come uomo compro antidoti. La situazione” dei proletari è così “allarmante, proprio perché non possono aspettare. Quando la vostra” arte “si sarà sviluppata, essi rischiano di” non poter neppure più riuscire a riprodursi come forza lavoro impietosamente sfruttata. Tu potresti denunciare la loro miserrima condizione, ma dai l’impressione di aver bisogno di troppo tempo per apprendere a esprimerti. Tu hai dei sentimenti universali, ma astratti, mentre il proletariato da cui provieni, contava sul fatto che tu avresti potuto sfruttare le potenzialità che hai acquisito, essenzialmente grazie al suo sostegno, per essergli d’aiuto nella sua concreta necessità di riuscire, quantomeno, a riprodursi. Tu hai gli strumenti che loro non possiedono per denunciare la loro condizione e li utilizzi per degli scopi a loro del tutto estranei. Cosa te ne fai delle capacità formali che hai appreso di produrre forme artistiche, se non hai nulla di concreto e di sostanziale da comunicare? Per altro è certamente complicato fare una ricerca formale per trovare la forma espressiva adatta a comunicare qualcosa di ben determinato. “Gli sfruttatori parlano di mille cose diverse, mentre gli sfruttati parlano di sfruttamento” (76). Da qui il convinto invito del Brecht marxista all’artista, in particolare se di origini proletarie, di rappresentare nelle proprie opera la condizione della propria classe.

Il medico impolitico:

Brecht in quanto intellettuale marxista discuteva con alcuni dottori sulle gravi problematiche dello Stato, spronandoli a collaborare alla loro eliminazione. Dinanzi al loro rifiuto, giustificato sostenendo di non essere uomini politici, Brecht rispose narrando un apologo. Un medico aveva partecipato a una guerra riuscendo con grande perizia a sostituire con protesi gli arti dei soldati feriti. Sosteneva che questa sua capacità, divenuta proverbiale, era dovuta all’aver impegnato tutte le proprie energie in tale formazione professionale. In tal modo, però, quando gli si chiedeva conto della guerra alla quale aveva preso parte, “rispondeva di non poterla giudicare in quanto medico” (95), poiché dal suo punto di vista specialistico “vedeva solo uomini mutilati e non redditizie colonie” (95). Il potere non dava peso a tali affermazioni visto il grande contributo dato professionalmente dal medico. Allo stesso modo gli apparati repressivi dello Stato poterono “chiudere un occhio quando, richiesto del suo atteggiamento nei confronti del sovversivo Ki-en [presumibilmente lo stesso Brecht in quanto scrittore], che rifiutava la guerra, la conquista, l’obbedienza dei soldati, l’impero e il basso salario dei contadini e dei coolies, egli si limitò a rispondere: in quanto filosofo prenderei una posizione su tali questioni, come uomo politico potrei combattere l’impero, come soldato potrei rifiutarmi di obbedire o di uccidere il nemico, come coolie potrei trovare troppo basso il mio salario, ma come medico non posso far nulla di tutto questo, posso fare solo quello che tutti costoro non possono, e cioè guarire ferite” (95-96). D’altra parte in una particolare contingenza il nostro medico si è visto costretto ad abbandonare questo punto di vista. Quando fu necessitato a lasciare la città in cui prestava servizio militare come medico, per non essere ucciso dai nemici, ha dovuto “attraversare le linee come contadino, come aggredito ha ucciso delle persone e come filosofo ha risposto ad alcuni che gli rimproveravano il suo comportamento: ‘come faccio a continuare a prestare la mia opera come medico, se vengo ucciso come uomo’” (96).

Quindi, anche in questo caso, Brecht intende mostrare come non sia difendibile la teoria dell’anima bella, che non intende sporcarsi le mani con modalità dettate dalla logica necessaria della prassi politica, per mantenere la sua funzione di professionista che, in quanto tale, contribuisce al bene comune. Cosa che non potrebbe svolgere adeguatamente se non avesse concentrato buona parte delle proprie energie nella propria attività specialistica. D’altra parte tale posizione apparentemente coerente entra in contraddizione nel momento in cui emerge che non si può separare astrattamente la propria professionalità dai propri doveri di cittadino, dalla propria appartenenza di classe, dalla propria responsabilità verso le sorti dello Stato, in quanto in un contesto sempre più oscuro anche fare correttamente la propria limitata professione richiede uno sforzo da titani. Senza contare che, se la situazione dovesse trascendere, bisognerebbe sporcarsi ben più seriamente le mani con il corso del mondo, semplicemente per poter continuare a svolgere la propria particolare professione.

In entrambi gli apologhi incontriamo, dunque, il tema dell’arte impegnata. Una questione particolarmente cara e urgente a Brecht, considerate le tragiche condizioni storiche affrontate in quanto grande professionista, in quanto artista, ma al contempo a causa della sua consapevolezza storica della posizione che avrebbe dovuto prendere all’interno dei particolarmente crudi conflitti sociali della propria epoca. Tale drammatico contesto storico lo aveva portato a seguire l’imperativo categorico che lo spingeva a utilizzare le proprie competenze al servizio della lotta per l’emancipazione del genere umano, contro chi si batte per la sua dis-emancipazione.

Secondo Brecht non si può essere dei grandi artisti lavorando unicamente allo sviluppo delle forme espressive della propria disciplina, in quanto la ricerca della forma non può procedere slegata rispetto al contenuto determinato che si tratta di esprimere. Inoltre, limitarsi a esprimere contenuti accidentali, sentimenti soggettivi, limitarsi a dare prova della propria perizia formale in astratto, non può che comportare la mancata assunzione della propria responsabilità rispetto a una società divisa fra sfruttati e sfruttatori. Tanto più che le mancata presa di posizione dinanzi a un sistema che, con la sua crisi rischia di far precipitare la civiltà in un nuovo stadio di barbarie e di mettere sempre più a repentaglio la possibilità di sopravvivenza dell’uomo sulla terra, non può che comportare una propria complicità e corresponsabilità. Allo stesso modo, ad esempio, passare la propria esistenza ad apprendere a costruire arti mutilati dalla guerra imperialista, senza prendere una netta posizione contro di essa, non può che apparire un atto di vigliaccheria dinanzi alla propria morale, alla propria ragione. Senza contare che prender parte a una aggressione militare anche come medico, volto a curare i feriti di un esercito di aggressione imperialista, può portare a divenire un possibile obiettivo di una resistenza che considera un nemico da combattere ogni funzione ausiliaria all’invasione e all’occupazione del proprio paese.

Allo stesso modo Brecht pone in luce la contraddittorietà dell’attitudine a voler sostenere, in quanto membri di un partito che si pone come rivoluzionario la radicale trasformazione della società e poi, nella propria attività di artista, o più in generale professionale, non prender parte e contribuire allo lotta per l’emancipazione del genere umano.

Al contrario oggi la critica e gli artisti “di sinistra” tendono a valutare la radicalità di un’opera in funzione esclusivamente di quanto abbia contribuito al presunto sviluppo in astratto delle forme espressive di un determinato genere artistico. Anzi, generalmente, si ritiene che affrontare una questione rilevante da un punto di vista politico, storico e/o sociale, prendendo parte con chi si batte per l’emancipazione del genere umano costituisca in generale un ostacolo alla possibilità di un libero e pieno sviluppo delle potenzialità formali di un determinato genere artistico.

Come se il contenuto sostanziale e veritativo di un’opera sia qualcosa di non solo secondario, ma di sostanzialmente d’intralcio alla pura espressione artistica in quanto tale. A dimostrazione che attualmente sembra quasi del tutto assente nella nostra epoca nel mondo occidentale una combattiva corrente di artisti pronti ad assumersi le proprie responsabilità artistiche e, più in generale, intellettuali e umane rispetto alle grandi problematiche economico-sociali e politico-ideologiche della nostra epoca storica, segnata come mai dal conflitto sociale fra classi con interessi sempre più antagonisti.

Il destino dell’uomo

Brecht, in quanto intellettuale marxista, amava sottolineare che “il destino dell’uomo è l’uomo” (17).

Note:

[1] I brani che commenteremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970. Tra parentesi tonde metteremo a fianco di ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana. Non segnaliamo i casi in cui abbiamo considerato necessario modificare la traduzione per rendere maggiormente perspicuo il pensiero di Brecht.

17/02/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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