Il marxismo della seconda Internazionale

Dalla teoria marxista dello Stato di Engels al marxismo della seconda Internazionale.


Il marxismo della seconda Internazionale Credits: http://fondazionefeltrinelli.it/seconda-internazionale/

Segue da numero precedente / Link alla lezione

Engels e il materialismo dialettico

Le considerazioni di Engels sulla dialettica della natura e, in particolare, le tre leggi universali della dialettica, sono state considerate dai marxisti volgari e poi nell’URSS staliniana un compendio delle leggi della dialettica materialista e il fondamento dell’interpretazione marxista delle scienze naturali. Allo stesso modo le riflessioni dell’Anti-Dühring sono state assolutizzate, dai volgarizzatori del marxismo, e poste come dei fondamenti indiscutibili del socialismo scientifico anche dal punto di vista epistemologico. Perciò Engels è stato accusato da diversi esponenti del “marxismo occidentale” di aver tradito lo spirito critico del pensiero di Marx rendendolo dottrinario, favorendone così l’uso improprio che se ne è fatto da parte di volgarizzatori e burocrati stalinisti.

Si tratta di accuse discutibili in quanto, se è certamente vero che Engels si sia sforzato di sistematizzare il marxismo, con il fine di renderlo una visione del mondo autonoma e unitaria, non può essere ritenuto colpevole della sua successiva riduzione a una dottrina dogmatica, mediante l’uso improprio che è stato fatto di un suo libro di polemica politica come l’Anti-Düring – per altro decisamente apprezzato da Marx – e dei suoi appunti sulla filosofia e le scienze naturali. In altri termini Engels può essere legittimamente criticato da chi giudica in modo negativo, accusandolo di aver favorito l’irrigidimento dottrinario del marxismo, il suo tentativo di elaborare, sulla base di un numero il più possibile limitato di fondamenti, una concezione generale della realtà, cercando di far sì che il marxismo fondato sulla dialettica divenga uno strumento di interpretazione universale del reale, sia dal punto di vista storico che naturale. Maggiormente opinabile è invece l’accusa di essere corresponsabile dell’irrigidimento del marxismo e della sua volgarizzazione sino a divenire una dottrina di Stato, in diversi paesi in cui si era affermato il capitalismo di Stato, con il nome di “materialismo dialettico” (DiaMat).

L’origine della famiglia

Nel 1884, in l’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, tesaurizzando le scoperte etnologiche dell’epoca – a partire dagli studi dell’etnologo americano Lewis Henry Morgan (1818-1881) e dagli appunti di Marx a essi relativi – Engels mostra come la famiglia non sia sempre esistita, ma sia sorta e si sia trasformata anche radicalmente nel corso della storia, sulla base degli sviluppi e delle trasformazioni sociali.

La famiglia borghese e il suo necessario superamento dialettico

Non essendo un’istituzione naturale sovrastorica, la famiglia moderna borghese vive una crisi parallela a quella del modo di produzione capitalistico, come è stato ampiamente documentato dalla stessa pubblicistica, letteratura e produzione artistica borghese. Perciò, anche la forma storica della famiglia è destinata a essere superata dialetticamente, nel momento in cui verrà meno la funzione sociale che svolge nel modo di produzione capitalistico. Del resto, come ricorda Engels, la schiavitù e l’oppressione della donna nella famiglia non è sempre esistita, ma si è affermata unicamente con l’avvento della famiglia monogamica. Quest’ultima non ha la sua origine storica nell’amore “sessuale individuale, col quale non aveva assolutamente nulla a che vedere, giacché i matrimoni, dopo come prima, rimasero matrimoni di convenienza. Fu la prima forma di famiglia che non fosse fondata su condizioni naturali, ma economiche, precisamente sulla vittoria della proprietà privata sulla originaria e spontanea proprietà comune. La dominazione dell’uomo nella famiglia e la procreazione di figli incontestabilmente suoi, destinati a ereditare le sue ricchezze: ecco quali furono i soli ed esclusivi fini del matrimonio monogamico”.

Per una teoria marxista dello Stato: dalla sua origine al suo assorbimento nella società civile

Nella parte conclusiva dell’opera, dopo aver mostrato le origini storiche e sociali della proprietà privata, affermatasi a spese della originaria proprietà collettiva, Engels intende sistematizzare la teoria marxista dello Stato. Approfondendo lo studio delle società primitive mediante il materialismo storico, Engels mostra come il concetto stesso di Stato sia sorto solo a un certo livello di sviluppo storico, in seguito alla scissione dell’insieme sociale, sulla base della divisione del lavoro, in ceti i cui interessi tendono a confliggere sino a divenire antagonisti. Lo Stato e la sua conformazione storica è, dunque, necessariamente connessa, come aveva già intuito Rousseau, all’esigenza del gruppo sociale economicamente dominante, in seguito all’appropriazione priva della proprietà precedentemente comune, di preservare i propri privilegi. Così l’espropriazione della proprietà collettiva, fonte della polarizzazione sociale, è sancita, con l’intenzione di eternizzarla, dall’invenzione del diritto, su cui si fonda il potere statuale dei gruppi dominanti sui ceti sociali resi subalterni dalla divisione del lavoro e dalla privatizzazione della proprietà comune. Perciò, la conformazione dello Stato, essendo strettamente connessa all’esigenza del gruppo dominante di esercitare il proprio potere sui lavoratori manuali, muta storicamente. Tale trasformazione delle strutture e degli apparati dello Stato è dettata essenzialmente dalla necessità di renderli funzionali, nel corso dello sviluppo storico, all’esigenza della classe possidente di consolidare il proprio dominio accentuando lo sfruttamento dei subalterni. Così le diverse forme statuali tendono a conformarsi allo sviluppo storico dei diversi modi di produzione: dal modo di produzione antico, in cui il potere statuale è funzionale al dominio sulla schiavitù, al feudale in cui diviene strumento di controllo sui servi della gleba, al modo di produzione capitalistico in cui le strutture e gli apparati dello Stato tendono ad assicurare e favorire lo sfruttamento dei lavoratori salariati. Nella società socialista, venendo progressivamente meno la divisione in classi, tenderà ad estinguersi la stessa macchina statale, le cui funzioni separate dalla società civile saranno progressivamente riassorbite in essa. Come osserva a questo proposito Engels: “la società che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l’intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo”.

La via al potere nei paesi a capitalismo avanzato

Va infine menzionata la riflessione politica dell’ultimo Engels, volta a ripensare la concezione politica del marxismo alla luce di significativi eventi storici quali lo sviluppo del capitale monopolistico e l’impetuosa crescita del peso politico e sociale del Partito socialdemocratico tedesco. Nell’introduzione alla ristampa di Le lotte di classe in Francia di Marx (1895), Engels osserva come la via insurrezionale al potere, ipotizzata da lui e Marx – sulla base delle esperienze delle Rivoluzioni del 1848 e del 1871 – mediante un unico scontro campale da condurre per le strade fra le barricate, rischiasse di divenire inadeguata in paesi a capitalismo avanzato dotati di istituzioni liberal-democratiche e di una società civile sempre più ampia. Le azioni di forza di piccole organizzazioni coscienti alla testa di grandi masse incoscienti dovrebbero, dunque, essere sostituite da un processo più lungo e complesso di progressiva conquista delle istituzioni politiche e sociali dello Stato borghese, in grado di coinvolgere in tale lotta settori di massa sempre più vasti. Tali riflessioni sono stare riprese e sviluppate in modo differente tanto da chi ha inteso revisionare il marxismo con l’intento di abbandonare la concezione rivoluzionaria a favore del gradualismo socialdemocratico, quanto da chi, come Gramsci, ha studiato la specificità della questione della conquista del potere in Occidente, ovvero in presenza di complesse società civili.

Il marxismo della Seconda Internazionale: dalla teoria del crollo al dibattito sul revisionismo

Nell’ultimo decennio del XIX secolo la rapida crescita dei partiti socialisti in Europa procede di pari passo con l’affermarsi in essi di orientamenti ideologici che si ispirano al pensiero di Marx e che individuano nel marxismo tedesco il principale punto di riferimento teorico. Fondamentale per l’intero movimento socialista europeo è la svolta del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) che, a partire dal congresso di Erfurt del 1891, si richiama esplicitamente al marxismo, al punto che a stenderne il programma è chiamato Karl Kautsky, cui Engels aveva lasciato in eredità la cura del lascito marxiano.

Karl Kautsky, il papa rosso

Nato a Praga nel 1854, Kautsky studia storia e filosofia a Vienna dove si avvicina al movimento socialista sino a divenire segretario e principale collaboratore politico del vecchio Engels. Nel 1883 fonda, dirigendola sino alla chiusura nel 1917, la rivista teorica del socialismo tedesco, “Die Neue Zeit” [La nuova epoca], volta a diffondere il marxismo in Germania e fra i gruppi dirigenti della Seconda Internazionale. La rivista è stata un organo di enorme rilievo culturale contribuendo a far conoscere anche a strati popolari, sino ad allora esclusi, argomenti di politica, scienze sociali, scienze naturali, filosofia e storia delle religioni. Kautsky, fra i protagonisti dell'affermazione delle posizioni marxiste in seno alla SPD, eredita il lavoro al lascito marxiano di Engels, dopo la sua morte nel 1895, curando, fra l'altro, la pubblicazione di Teorie sul plusvalore sulla base degli appunti lasciati da Marx per la realizzazione di quello che avrebbe dovuto divenire il quarto libro de Il capitale. In tal modo Kautsky diviene il più influente teorico del movimento socialista internazionale sino al 1914, al punto da essere soprannominato il “papa rosso”.

Sebbene in modo critico, Kautsky segue la maggioranza della SPD che vota i crediti di guerra nel 1914, segnando la fine della Seconda Internazionale e del ruolo egemonico svolto nel suo seno dalla Spd. Nel corso della prima guerra mondiale, tuttavia, assume posizioni sempre più contrarie alla guerra sino a capeggiare una scissione da sinistra della SPD nel 1917. In seguito alla Rivoluzione di Novembre (1918), che segna il crollo del Secondo impero tedesco, Kautsky assume nel governo repubblicano, capeggiato dai socialdemocratici, la funzione di segretario di Stato agli affari esteri. Nel dopoguerra polemizza in modo sempre più intenso dapprima con Lenin e la Rivoluzione d’Ottobre, poi con lo Stato sovietico, sino a rompere con la maggioranza dei suoi compagni di partito che aderiranno al Partito comunista tedesco. Così nel 1922 ritornerà nel partito socialdemocratico, prima tedesco, poi austriaco, di cui sarà fra i dirigenti sino alla morte in esilio nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista.

Kautsky ha lasciato significativi contributi alla storia delle idee politiche, con studi di un certo rilievo su Tommaso Moro e la sua utopia (1887) e I precursori del socialismo moderno (1894). Di notevole interesse sono i suoi studi economici, in particolare quelli dedicati all’analisi del rapporto fra l’industrialismo e la produzione agricola come La questione agraria (1899) e vanno segnalate anche le sue ricerche di filosofia pratica come Etica e concezione materialistica della storia (1906).

Continua sul prossimo numero

12/08/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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