Kant e il giovane Hegel

Il giovane Hegel distingue nettamente la concezione morale della religione dalle altre, definite “utilitaristiche”, in quanto volte a conquistare il favore della divinità mediante pratiche esteriori. Del resto, egli rinviene l’origine stessa della religione nel sentimento morale dell’uomo, ovvero nel senso interiore del giusto e dell’ingiusto, nel sentimento che al torto debba seguire la punizione e all’agir bene la felicità.


Kant e il giovane Hegel

Nei primi frammentari scritti del giovane Georg Wilhelm Friedrich Hegel si ritrovano diversi temi ripresi dalla filosofia critica, quali la necessità che la religione si accordi con l’imperativo categorico o che i princìpi della religione trovino una precisa rispondenza nell’animo del credente, tanto da considerare l’apparato del cerimoniale e dei riti degli elementi sostanzialmente esteriori alla religione. Hegel, citando il più grande illuminista tedesco: Gotthold Ephraim Lessing, ne deduce il principio di tolleranza per le differenti declinazioni positive della fede: “«ciò che a voi fa sembrar me cristiano a me fa sembrar voi ebreo», dice Nathan. Infatti la religione è affare del cuore, che spesso agisce inconseguentemente di fronte ai dogmi che il suo intelletto o la sua memoria accolgono” [1]. Il giovane Hegel distingue nettamente la concezione morale della religione dalle altre, definite “utilitaristiche”, in quanto volte a conquistare il favore della divinità mediante pratiche esteriori. Come già per Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte la religione positiva, storica, è considerata essenzialmente in funzione della sua adattabilità o meno ai princìpi della religione razionale.

Se nella Critica della ragion pratica Kant aveva considerato il cristianesimo l’unica religione storica in grado di farsi veicolo della religione razionale – si tratta però di un cristianesimo in cui gli elementi positivi, fondati sulla rivelazione non sono ancora espunti, ma nettamente distinti dal nucleo morale e considerati sostanzialmente in funzione strumentale rispetto a quest’ultimo – nella Religione entro i limiti della sola ragione [2] risultava accentuata l’opposizione tra la religione razionale, in cui la purezza dell’imperativo categorico costituisce il fondamento della religione, e la religione positiva, in cui è l’evento storico della rivelazione a fungere da principio d’autorità in grado di determinare l’agire etico degli uomini.

Dunque, nei primi frammentari scritti di Hegel, come ha osservato Edoardo Mirri, “l’essenza della religione è esaurita nella morale (che è la tesi della Religione nei limiti della sola ragione [3]); la morale è concepita come signoria della legge razionale sugli impulsi sensibili (secondo quanto è argomentato nella Critica della ragion pratica); e dalla religione, finalmente e in conseguenza di ciò, viene eliminato ogni elemento «statutario» (di nuovo secondo il modello della Religione di Kant)” [4].

Ciò non comporta, come invece pretende di dedurne Mirri, “la conoscenza diretta e lo studio approfondito” da parte del giovane Hegel delle opere di Kant a Tubinga” [5], dove studiava dal 1788. Tanto più che Mirri tale “studio approfondito” non ce lo prova, anche perché non può farlo, non essendoci documenti che possano provarlo. Anzi da quanto si sa, risulta che Hegel più che al circolo kantiano avesse preso parte a quello rivoluzionario nel seminario di Tubinga, e più che a questioni teoretico astratte, alle quali si interessava Friedrich Schelling, era impegnato in studi storico-politici. Per quanto riguarda il rinvenimento nelle opere del giovane Hegel dei “prìncipi fondamentali” della filosofia kantiana, “soprattutto in materia di filosofia della religione” [6], non c’era certo bisogno di una approfondita “conoscenza diretta”, in quanto bastava aver letto delle recensioni, tanto più che la filosofia di Kant era ormai divenuta parte integrante dello spirito del tempo [7] e, inoltre, alcuni sui concetti erano contenuti in nuce nell’illuminismo o erano stati sviluppati da Fichte, di cui è attestata una conoscenza diretta da parte di Hegel. Senza contare che certamente i professori di Hegel a Tubinga e forse anche a Stoccarda, come non manca di far notare lo stesso Mirri, nelle loro lezioni avevano trattato i princìpi fondamentali del kantismo, soprattutto in riferimento alla religione. Infine andrebbe considerato quanto di prekantiano fosse contenuto nella religione protestante, alla base dell’educazione tanto di Hegel quanto di Kant [8]. Infine, occorre ricordare quanto osservato a ragione da Carmelo Lacorte: a proposito dei Materiali per una filosofia dello spirito soggettivo [9], titolo, per altro poco felice, ideato da Hoffmeister. “Una notizia di Rosenkranz, e un documento ricordato da Betzendörfer, permettono di precisare che deve trattarsi in massima parte di estratti o di semplici copie di un corso di lezioni tenute da Flatt nel semestre estivo del 1789. Ciò consente di stabilire che a questa epoca risalgono le prime testimonianze di uno studio sistematico, ma solo sommario e indiretto, delle opere teoretiche di Kant” [10]. 

Del resto, il giovane Hegel rinviene l’origine stessa della religione nel sentimento morale dell’uomo: “questo – osserva Hegel – è per lo meno il germe da cui scaturisce la religione; la coscienza, il senso interiore del giusto e dell’ingiusto, il sentimento che al torto debba seguire la punizione ed all’agir bene la felicità (…) quell’idea [della religione] si è poggiata su quel sentimento morale che l’ha trovata del tutto commisurata al proprio bisogno” [11].

 

Note:

[1] G.W.F. Hegel, Scritti giovanili I, traduzione italiana di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, p. 177.

[2] La struttura dell’opera kantiana è l’itinerario che dal male, attraverso la conversione, conduce l’uomo al bene e si snoda dal primo capitolo sul male radicale nella natura umana, al secondo capitolo dedicato alla lotta del buon principio con il cattivo per il dominio sull'uomo, al terzo con la vittoria del buon principio e la fondazione del regno di dio sulla terra. Il quarto sembra rimettere in dubbio la linearità del percorso intitolandosi del vero e del falso culto sotto il dominio del buon principio. In un certo senso la lotta tra bene e male permane, pur nella vittoria conseguita con il passaggio dalla dimensione antropologica alla dimensione comunitaria. Permangono poi le quattro aggiunte in cui la ragione è spinta a trascendere i propri limiti verso le idee trascendenti riguardo agli effetti della grazia, ai miracoli, ai misteri e ai mezzi della grazia.

[3] Alla base de La religione nei limiti della sola ragione di Kant vi è la rivoluzione francese, la situazione della Germania e della Prussia in particolare), l’illuminismo (Johann Wolfgang Goethe, Schiller e Lessing), la posizione di Leibniz, oltre che la Critica di ogni rivelazione di Fichte e Grazia e dignità di Schiller. L’opera nasce nel 1792 come serie di saggi da pubblicare su di una rivista: Berliner monatsschrift, l’organo principale del dibattito sull’illuminismo in Germania in cui Kant aveva pubblicato Risposta alla domanda che cos’è l’illuminismo, tracciando i riflessi pratici dell’illuminismo proprio in rapporto alla problematica religiosa. In questo scritto aveva sostenuto l’esigenza della libertà nell’uso pubblico della religione, ovvero che ognuno doveva essere libero di rendere pubbliche le proprie considerazioni sulla religione dal punto di vista della ragione, e la liceità del divieto sull’uso privato della stessa, ossia l’esigenza che avevano gli impiegati dello Stato nella loro funzione di attenersi alla religione di Stato. In questo modo Kant rovesciava l’impostazione degli illuministi anglosassoni, di John Locke e di David Hume, che avevano sostenuto il non intervento dello Stato sulla religione privata dei cittadini e la liceità dell’intervento sul piano pubblico in base al principio della ragion di Stato. La censura governativa arrestò la pubblicazione della Religione nei limiti della sola ragione quando Kant fece uscire la seconda parte. Kant continuò l’opera che sottopose nel 1793 alla censura della facoltà filosofica di Jena. A Kant interessava, in effetti, veder sancito il principio in base al quale il filosofo fosse libero di trattare questioni di religione una volta che si mantenesse nei limiti del suo ambito. L’opera ricevette, infine, il benestare alla sua pubblicazione, sebbene il tema trattato nei secondi due capitoli fosse ben più pericoloso del discorso antropologico dei primi due, riguardando una teoria e una analisi empirica della società. Nella terza parte la lotta tra principio buono e cattivo dall’interno dell’uomo si spostava nella comunità etica. La quarta poi, sulla base di questi principi, discriminava vere e false forme di culto. Il titolo dell’opera, dato in extremis, indicava il fatto che la religione razionale, campo di indagine del filosofo, è un sottoinsieme della religione rivelata, e se ne deve mostrare la compatibilità. La religione razionale o naturale ha infatti bisogno della rivelata per colmare le sue lacune teoriche sull’origine del male, il passaggio dal male al bene e la certezza dell’uomo di trovarsi nello stato di bene.

[4] G.W.F. Hegel, Scritti…, op. cit., pp. 324-25.

[5] Ivi, pp. 110-111.

[6] Ibidem.

[7] Tanto che l’influenza del pensiero di Kant avrà una grande influenza anche nella formazione degli illustri colleghi e amici di Hegel a Tubinga. In effetti, il kantismo porterà Schelling all’approfondimento della filosofia di Fichte, mentre Friedrich Hölderlin ne trasferirà l’impulso innovatore in una poesia volta all’ideale di un’umanità rinnovata sulla scia di Friedrich Schiller.

[8] Va, infine, almeno menzionata la testimonianza diretta di un collega di Hegel al seminario di Tubinga – pubblicato nel 1839 nella rivista Zeitung für die elegante Welt – che ricordava come Hegel trovasse “poco gusto a occuparsi di Kant e della metafisica”, anzi che “a Tubinga non gli era ben noto nemmeno il padre Kant”. La validità di tale testimonianza è stata messa in dubbio da Johannes Hoffmeister, che ha bollato il collega di Hegel come “uomo pieno di ‘vanità e di limitatezza d’intelletto”. D’altra parte è stata invece considerata attendibile dal primo biografo di Hegel Karl Rosenkranz, che come è noto aveva la possibilità di consultare diversi documenti sul giovane Hegel andati poi perduti.

[9] G.W.F. Hegel, Dokumente zu Hegels Entwicklung, a cura di J. Hoffmeister, Fr. Frommans Verlag, Stuttgart 1936, pp. 195-217.

[10] Carmelo Lacorte, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, p. 301.

[11] G.W.F. Hegel, Scritti…, op. cit., p. 176.

12/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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