La protestantizzazione dell’America Latina e la penetrazione del pentecostalismo

La religione come strumento di lotta per conquistare l’egemonia.


La protestantizzazione dell’America Latina e la penetrazione del pentecostalismo Credits: https://www.flickr.com/photos/paullew/14361414451/

Questo breve intervento contiene gli aspetti più importanti dell’ultima lezione (la quarta) del corso “Storia religiosa dell’America Latina” da me tenuto per l’Università popolare Antonio Gramsci. Gli altri articoli relativi alle tre lezioni precedenti sono già usciti sul nostro giornale (vedi ultimo).

Vorrei cominciare una garbata nota polemica: in genere i marxisti quando parlano di paesi periferici o di Terzo Mondo si soffermano in profondità sugli aspetti economico-sociali dei contesti esaminati, mettendo da parte la dimensione ideologica o tutt’al più riconducendola alla cosiddetta teoria del riflesso, che presenta molte problematicità, che magari cercherò di approfondire in un’altra occasione. Invece, soprattutto oggi che risulta sempre più evidente come le condizioni oggettive per una protesta organizzata ci siano corposamente tutte, l’importanza del fattore ideologico diventa sempre più determinante e mostra che senza la presa di coscienza niente si muove. Né, d’altra parte – come sosteneva Eric Hobsbawm – le condizioni miserrime di esistenza sono sempre in grado di accendere la scintilla della messa in discussione dell’ordine esistente, giacché da esse spesso si sprigionano rassegnazione, passività, abbrutimento.

Tale importanza della dimensione ideologica, in particolare nella sua forma religiosa [1], emerge se si indaga la storia religiosa dell’America segnata dalla forte collaborazione tra Corona e Chiesa nel processo che abbiamo definito di colono-evangelizzazione.

Chiusa la fase coloniale, che si fa coincidere con il termine delle guerre di indipendenza dalla Spagna (1824) [2], gli Stati che si costituirono in realtà non furono mai completamente autonomi, giacché molti mantennero legami privilegiati con l’antica metropoli o entrarono nella sfera di influenza della Gran Bretagna, che aveva sostenuto la liberazione dal giogo coloniale perché interessata a commerciare liberamente con il nuovo mondo.

Come è noto, è di quegli anni anche la cosiddetta Dottrina Monroe (1823) con la quale il presidente James Monroe dichiarava sostanzialmente che gli europei non avrebbero dovuto intervenire negli affari americani. Dottrina che fu ribadita nel 1904 nel corollario del presidente Theodor Roosvelt, il quale nel 1912 dichiarò anche che il cattolicesimo costituiva il maggior ostacolo alla penetrazione statunitense in America Latina. E d’altra parte, il protestantesimo è considerato da autori come Samuel Huntingon un fattore straordinario di sviluppo e un elemento costitutivo della potenza statunitense. Infatti, egli scrive: “In America la Riforma protestante ha creato una nuova società: unica tra tutti i paesi, l’America è figlia di queste riforme, senza di queste non ci sarebbe l’America come la conosciamo”.

Ora queste convinzioni non sono rimaste tali, dal momento che gli Stati Uniti – come si vedrà in seguito – hanno avviato un processo di protestantizzazione dell’America Latina per una serie di ragioni di capitale importanza. Questo processo è stato individuato e denunciato dalla stessa Chiesa cattolica, come si può ricavare dalle parole pronunciate da Joseph Ratzinger nel 2004: “gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell’America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di Chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, in quanto dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle Chiese libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelle caratteristiche degli Stati Uniti” (ibidem).

Queste parole di Ratzinger sono del tutto veritiere, se prendiamo in considerazione i dati di una recente ricerca, condotta dal Pew Research di Washington, pubblicata nel novembre del 2014, dai quali si ricava che oggi i cattolici in America Latina costituiscono il 69% della popolazione, mentre fino agli anni 60 del Novecento erano il 90%. Inoltre, sempre dalla stessa indagine risulta che i cattolici latinoamericani hanno in gran parte fatto propri una serie di valori secolari come il divorzio, l’uso degli anticoncezionali, si dichiarano propensi all’introduzione di significative innovazioni nella struttura ecclesiastica come il sacerdozio femminile, la fine del celibato per i religiosi.

Il risvolto di tale fenomeno è rappresentato dalla contemporanea crescita degli evangelici (in America Latina non si usa chiamarli protestanti perché questo termine è in stretta relazione con la storia europea), i quali tra il 1970 e il 2014 sarebbero passati dal 9% al 19%. In generale, in una percentuale più alta rispetto ai cattolici, attribuiscono un ruolo centrale alla religione nella loro vita. A differenza dei cattolici gli evangelici hanno un atteggiamento più rigorista, nel senso che sono contrari al divorzio, al matrimonio tra individui dello stesso sesso, all’uso degli anticoncezionali, partecipano in misura maggiore alla vita religiosa e si distinguono per il loro attivismo caritatevole verso i poveri. Il rifiuto dell’aborto sembra invece accomunare le due comunità religiose.

Dalla ricerca su menzionata si evince anche che il 60% degli evangelici, che proviene dalla Chiesa cattolica, ha abbandonato questa forma religiosa perché desiderava una esperienza religiosa più coinvolgente, in cui un forte accento fosse posto sulla vita morale. I due terzi degli evangelici appartengono a una denominazione pentecostale o si definiscono tali; essi si sono dislocati nella regione dando vita a chiese indipendenti, che si diramano sul territorio secondo una struttura a rete. Pur essendo assai eterogenee per struttura, credenze e liturgia, le chiese pentecostali hanno le loro radici nelle “Missioni di fede” statunitensi, provenienti dal movimento protestante di santificazione, il quale è portatore di un fondamentalismo evangelico volto ad un proselitismo aggressivo mirante all’incremento delle conversioni. Esso focalizza tutto il suo interesse sulla vita del singolo individuo, che deve essere riformata secondo i nuovi ideali religiosi, stimolando l’indifferenza verso l’ambiente sociale e conseguentemente il disimpegno politico. Ha, inoltre, un esplicito orientamento anticattolico – giacché considera pagano il cattolicesimo – e anticomunista, essendo il comunismo una visione del mondo del tutto incongruente con la fede professata.

Al centro del fenomeno pentecostale sta la fede nella discesa dello Spirito santo sui seguaci del Cristo, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione, con la quale una serie di doni vennero effusi sugli astanti, che grazie alle straordinarie capacità così acquisite avrebbero potuto portare avanti con successo l’evangelizzazione. L’importanza di tale evento segna tutta la liturgia pentecostale, nel corso della quale si mira essenzialmente a “sperimentare” collettivamente il sovrannaturale, che in essa si manifesta tramite miracoli, guarigioni, soluzione di problemi esistenziali. Si tratta dunque di una liturgia in cui non si trasmettono dottrine, quanto piuttosto ci si predispone, con danze e canti, con comportamenti emotivamente coinvolgenti, a raggiungere una sorta di estasi collettiva. In definitiva, una religione orale, gestuale, emotivamente trascinante, dai caratteri simili a quelli di uno spettacolo televisivo, che trasforma gruppi di individui di origini culturali ed etniche diverse in una comunità sotto il controllo di un leader carismatico. Allo stesso tempo, una religione che ha recepito una serie di pratiche provenienti dal mondo africano e da quello del cattolicesimo popolare, e che sembra coinvolgere essenzialmente i settori sociali bassi e medi della popolazione latinoamericana.

La penetrazione dell’evangelismo in America Latina risale alla seconda metà dell’Ottocento, ma la massiccia ondata pentecostale ha inizio con l’urbanizzazione dei contadini poveri che si stabilivano nelle periferie delle megalopoli (anni 70 del Novecento), dove si insediavano i pastori per fare proselitismo e per sostenere questi gruppi sradicati. Questi ultimi erano e sono attratti dal pentecostalismo perché permette un accesso ad un Dio vicino, che esorta gli uomini al soddisfacimento dei loro bisogni e alla realizzazione dei loro desideri con lo slogan “smetti di soffrire”. Qualcosa dunque di molto diverso della rassegnazione spesso predicata dai pulpiti cattolici.

La diffusione del pentecostalismo non è un fatto casuale, ma è risultato dell’azione di varie concause, tra le quali debbono essere annoverate l’atteggiamento delle amministrazioni statunitensi e il trionfo del neoliberalismo alla fine degli anni 70 del Novecento.

Come abbiamo visto, già Theodor Roosvelt vedeva nel cattolicesimo un nemico, che si è fatto più agguerrito quando si sviluppano in America Latina le comunità ecclesiali di base, la Teologia della liberazione e apparvero addirittura i preti guerriglieri come Camilo Torres Restrepo. D’altra parte, il pauperismo cattolico (l’America latina era stata convertita dagli Ordini mendicanti) si scontrava con l’individualismo imprenditoriale evangelico, e allontanava le masse dall’accettazione dell’American way of life, tanto importante per trasformare quel subcontinente in una neocolonia.

L’ipotesi della protestantizzazione dell’America Latina non scaturisce dalla “teoria della cospirazione”, ma è suffragata di documenti molto precisi, i quali sono la Informe di N. Rockfeller del 1969, i Documenti di Sante Fe I e II, del 1980 e 1989. Da tali documenti si ricava la forte preoccupazione dell’amministrazione statunitense per tendenze progressiste sorte nella Chiesa cattolica a seguito del Concilio Vaticano II; preoccupazione del resto condivisa da papi come Wojtyla e Ratzinger. In particolare, nel documento di Santa Fe II, in cui si fa addirittura riferimento alla riflessione di Antonio Gramsci e alla grande importanza che questi ha attribuito alla dimensione culturale e morale, si afferma: “Non basta più lo Stato con i suoi caudillos, non basta il giogo della dipendenza economica, non basta nemmeno l’intervento militare diretto degli Usa” (M. Filippini, Gramsci globale, 2011: 150). Per concludere invita a operare vigorosamente anche in campo ideologico, come del resto mostra l’operato di varie agenzie statunitensi che controllano a livello internazionale la libertà religiosa, finanziano le chiese loro gradite e i “cristiani che lottano per la democrazia” (per es. l’Institute on Religion and Democracy).

Del resto, con la sua enfasi sull’individuo, spinto ad agire nella sfera quotidiana per raggiungere il successo promessogli da un Dio che vuole solo la sua prosperità, il pentecostalismo si configura come la forma religiosa più congeniale alla visione della società propria del neoliberismo, che ha fatto proliferare in America Latina il mercato informale in cui ognuno diventa imprenditore di se stesso. Inoltre, a partire dagli anni 90 del Novecento, esso ha dato vita a partiti confessionali di carattere conservatore, che, in occasione dei processi elettorali, operano come strumenti di orientamento politico dei fedeli, intesi come massa di manovra, che deve votare per i candidati “fratelli”, perché un presidente cristiano sarà sempre meglio di un non cristiano. Questi partiti, legati a megachiese che funzionano come luoghi di aggregazione e di celebrazioni spettacolari, sono fondati sullo sviluppo di rapporti clientelari tra i pastori e i fedeli, tra gli uomini politici e lo Stato, e sono riusciti ad ottenere il riconoscimento legale delle chiese pentecostali e l’elezione di presidenti come, per esempio, Alberto Fujimori in Perù nel 1991, che nominò vicepresidente un pentecostale. La stessa vicenda della brasiliana Dilma Rousseff è stata organizzata e diretta da uomini politici pentecostali.

Stanti così le cose, pur segnato dalle influenze religiose del contesto latinoamericano, il pentecostalismo non può non far comodo alle amministrazioni statunitensi, che per questo ne sostengono l’espansione.


Note

[1] Per il forte appoggio che essa fornisce alle strutture di potere Terry Eagleton definisce la religione la più ideologica delle ideologie.

[2] Il Brasile divenne indipendente per decisione degli stessi monarchi portoghesi nel 1822.

21/10/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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