Addio a Luigi Pestalozza, un militante degli infiniti possibili

Si è spento ad 89 anni a Milano il musicologo e partigiano Luigi Pestalozza. Un omaggio alla sua memoria, alla sua intensa vita e ai preziosi insegnamenti da parte di un amico


Addio a Luigi Pestalozza, un militante degli infiniti possibili Credits: vulcanostatale.it

Giovedì 23 febbraio scorso si è spento al Policlinico di Milano, all'età di ottantanove anni, Luigi Pestalozza, storico della musica, intellettuale, partigiano, comunista. Ho avuto l'opportunità di essere amico di Luigi per quasi un ventennio, da quando, giovanissimo, lo conobbi durante la comune militanza nel Partito dei Comunisti Italiani. Ultimamente teneva a ripetermi quanto apprezzasse la qualità della nostra amicizia, che definiva una prassi autenticamente comunista, condivisa tra eguali, dei rapporti umani. Era così Luigi: aveva fatto la sua scelta politica, intellettuale, morale nella prima giovinezza e la viveva in modo integrale, al di fuori e oltre lo stato di cose presente, come riconcezione dei rapporti che partiva dal quotidiano per investire e cambiare il mondo.

Figlio di una famiglia della borghesia democratica erede delle migliori tradizioni intellettuali del Risorgimento e conseguentemente antifascista, Luigi conobbe nella prima infanzia le persecuzioni del regime mussoliniano: suo padre, uno dei sette avvocati del foro di Milano che rifiutarono d'iscriversi al fascio, fu perseguitato e incarcerato e la famiglia costretta in ristrettezze economiche. Fu dai genitori che Luigi apprese a misurare il contenuto di critica profonda dell'esistente che anima l'antifascismo conseguente e che si sostanzia in un'abitudine ad agire da soggettività critica che mai lo avrebbe abbandonato. La coscienza dell'antagonismo di classe era allora al centro della dialettica politica. Essa delineava nettamente i campi che si contrapponevano nelle fasi convulse in cui alla borghesia liberale aveva infine prodotto il fascismo come reazione violenta e di massa all'esplodere della questione dell'eguaglianza sostanziale, portata tra i fatti concreti del mondo dalla Rivoluzione bolscevica. L'antifascismo si nutriva di questa contraddizione, le dava sostanza, si fondava socialmente sull'emersione di due soggetti protagonisti dell'Italia nuova possibile: la classe operaia con i suoi partiti, il PCI e il PSI, da un lato, la borghesia democratica figlia delle correnti più avanzate della cultura risorgimentale e incarnata da Giustizia e Libertà, dall'altro.

Fu proprio nelle brigate partigiane di Giustizia e Libertà che Luigi prese parte alla Resistenza milanese. Vi entrò nel febbraio del 1944, all'indomani del suo sedicesimo compleanno. Anni dopo avrebbe scritto pagine di grande significato umano su quella scelta, emblematicamente intitolate "Il gioco e la guerra": a Luigi toccò di passare quasi senza soluzione di continuità dall'uno all'altra, di conoscere i pestaggi e le torture della X MAS, di soffrire le perdite più dolorose tra i compagni di brigata deportati o assassinati. Era solito ricordare con meraviglia il clima elettrizzante di risveglio delle masse durante le giornate dello sciopero antifascista del marzo '44 e le infinite possibilità appena balenate nella breve stagione di trasformazione apertasi il 25 Aprile. Ed era solito diffondersi a parlare della ferocia ideologica e poliziesca con cui la restaurazione clerico-fascista della DC aveva infine imprigionato quegli infiniti possibili sotto la cappa di piombo della Guerra Fredda, a lui stesso negando per anni il diritto di possedere un passaporto in seguito al suo primo viaggio in Unione Sovietica, avvenuto nel 1953 all'indomani della morte di Stalin.

Dapprima membro del Partito Socialista, vicino umanamente e politicamente a Lelio Basso, Luigi scelse nel 1956 di aderire al Partito Comunista Italiano. Significativamente, tra i fattori contingenti che lo indussero a scegliere la militanza comunista era solito annoverare la posizione assunta da Togliatti in merito alla repressione della controrivoluzione in Ungheria: antifascista conseguente, Luigi non aveva vacillazioni nel compiere radicali scelte di campo in difesa della storia nuova che vedeva incarnata nei tentativi di costruzione socialista in atto in quel momento nel mondo. La frequentazione dei paesi socialisti, per ragioni politiche e professionali, s'intensificò. Luigi conobbe bene la DDR, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e, soprattutto, l'Unione Sovietica.

Poi vennero le rivoluzioni africane, gli incontri con il FLN algerino per conto del PCI e quello con Gheddafi all'indomani della rivoluzione del '69, il resoconto del quale, apparso sulle colonne de "l'Unità", costituisce la prima testimonianza occidentale riguardo la figura e gli intendimenti del dirigente libico. E ancora il Sudan, lo Yemen, Cuba, la Tanzania, il Congo, il Madagascar, l'Angola della lotta contro il colonialismo portoghese, il Mozambico e soprattutto, a segnarlo, l'esperienza in Somalia, dove rappresentò ad altissimo livello i comunisti italiani impegnati nel sostegno alla rivoluzione di Siad Barre prima che essa degenerasse. Su quella rivoluzione pubblicò, nel 1973, un resoconto intitolato "Somalia, cronaca della rivoluzione", che ad oggi rappresenta ancora l'unica fonte organica d'informazione sulle prime fasi del difficile percorso di emancipazione materiale e morale di un popolo spossessato di tutto dal colonialismo italiano e ripensando al quale Luigi era solito commuoversi, rievocando le intense esperienze di vita vissute affiancandone le lotte e adoperandosi per scongiurare quella guerra dell'Ogaden che sarebbe venuta a distruggere le prospettive di liberazione di tutto il Corno d'Africa.

Parallelamente alla lotta politica, e ad essa organicamente fusa, l'opera di Luigi in campo culturale rappresenta un lascito di singolare importanza. Protagonista, da storico della musica, del fiorire della nuova musica elettronica ed elettroacustica italiana, dei cui legami con il PCI fu artefice fino a portare Luigi Nono, suo amico fraterno, nel Comitato Centrale, Luigi fu sempre strenuo oppositore dello zdanovismo, convinto com'era che la cultura potesse essere costruttrice di un senso comune antagonista solo se capace di educare le menti alle infinite possibilità della creazione e dunque del mondo. E fu proprio per queste sue posizioni che lo stesso Togliatti lo volle, nel 1962, come critico musicale della nuova "Rinascita" divenuta quell'anno settimanale. Con la rivista del PCI Luigi collaborò fino alla fine, fino a esserne estromesso su mandato di Occhetto da quello stesso Alberto Asor Rosa che ne portava avanti la liquidazione come contributo alla mutazione genetica del Partito le cui conseguenze oggi possiamo appieno misurare.

Gli ultimi decenni della vita di Luigi s'identificano con il travaglio del movimento comunista nel nostro paese e con l'ostinata resistenza dei settori più vivi della nostra cultura contro l'omologazione e l'emarginazione figlie dell'imporsi della dittatura del capitalismo finanziario. Due volti, questi, della normalizzazione capitalista dell'Italia e del mondo di cui Luigi non smise mai di essere un fiero oppositore. Fondatore nel 1980 della rivista di studi musicali "Musica/Realtà" e successivamente dell'associazione ad essa legata, per anni è stato animatore instancabile della vita culturale milanese, mai rassegnato alla ghettizzazione della nuova musica nel circolo ristretto degli amatori e sempre attento a cogliere ogni opportunità per popolarizzarla, senza mai però confinarvisi da specialista e sempre appassionato cultore e diffusore di tutto, dal rock all'opera lirica e al canto popolare.

Vicino ad Armando Cossutta nell'opposizione allo strappo berlingueriano con Mosca, fu poi tra i più fermi avversari della Bolognina. Contribuì a fondare il Partito della Rifondazione Comunista e poi il Partito dei Comunisti Italiani. Sempre presente come soggettività critica, mai allineato per obbedienze d'apparato, discutendo delle esperienze successive allo scioglimento del PCI s'inorgogliva nel ricordare di essere stato tra i quattro membri del Comitato Politico Nazionale del PRC a votare contro la nomina di Bertinotti alla segreteria del partito, rievocando con un sorriso tra l'ironico e il divertito, che chi lo frequentava gli conosceva bene, l'ira di Cossutta che per quel motivo si abbatté su di lui. Sul finire degli anni Duemila, con dolore dovette porre fine alla sua parabola di militante di partito. Si sentiva lontano e incompatibile con ogni logica burocratica e denunciava, nelle guerre per bande che tutti noi, militanti politici di oggi, ben conosciamo, il trionfo di una visione aziendalista del fare politica incompatibile alla radice con il movimento di trasformazione rivoluzionaria dei rapporti tra gli esseri umani che il comunismo deve incarnare.

Fin qui lo sforzo di trasmettere al lettore alcuni lineamenti della personalità di Luigi dentro la Storia che ha intensamente vissuto. Mi sento in questo fedele al suo insegnamento: mi ripeteva spesso di essere sempre stato avverso alla categoria del Genio, nell'arte e quindi nella politica, perché riteneva che l'opera di un uomo, e dunque la sua esistenza, acquisiscano un significato dentro le contraddizioni in cui s'inseriscono e a contatto con i rapporti che le producono. Raccontando qualcosa - molto poco, rispetto alla ricchezza di esperienze vissute da Luigi e raccolte nel suo recente "Mie memorie - Vita, musica, altro" (LIM, 2013) - di quel che ha fatto, sento dunque di aver rispettato le sue scelte filosofiche e reso onore alla dimensione esistenziale entro cui aveva scelto d'inserirsi.

Ma l'eredità intellettuale di Luigi è anche richiamo circa l'importanza e la responsabilità del suono, come era solito spiegare aprendo i suoi corsi di Storia della musica all'Accademia di Brera. È consapevolezza di come la parola scritta, da sola, sia impotente a trasmettere fino in fondo i significati che ad essa sono affidati. Sicché posso solo sperare che in queste righe il lettore senta echeggiare quello che difficilmente potrò trasmettergli affidandomi alle limitazioni della sintassi: l'affetto per un maestro, un amico, un compagno che non c'è più e a cui devo moltissimo. Il vuoto che mi ha invaso apprendendo della sua scomparsa, la commozione dell'ultimo saluto, l'impegno di fare della sua memoria un elemento attivo di trasformazione della mia vita quotidiana e, attraverso la militanza rivoluzionaria, di quelle di tutti.

"Siamo compagni e questo dice tutto", ripeteva spesso il nostro Luigi. Il mio pensiero per lui è carico della gratitudine profonda per questo inestimabile insegnamento non solo enunciato, ma praticato con la semplice e fraterna franchezza con cui si apriva a tutto e a tutti, da tutti disposto a imparare perché gramscianamente convinto che tutti avessero qualcosa da insegnare. Di Luigi restano gli scritti, i contributi filmati, il lavoro intellettuale e politico di una vita che serve da esempio e muove all'azione: un lascito a ciascuno accessibile, cui spero che queste righe siano state in grado di associare il rimpianto, la nostalgia e l'affetto per l'uomo straordinario che ho il privilegio e l'orgoglio di poter ricordare.

04/03/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Alessio Arena

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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