Con la scusa di "Ruth e Alex"

Diciamo la verità: il film di per sé stesso è davvero poca cosa. Un'opera di maniera, fiacchissima, con due interpreti di successo, Morgan Freeman e Diane Keaton, molto sazi degli allori già mietuti; una regia convenzionale di Richard Loncraine (che pure ha nel suo curriculum un Orso d'Argento a Berlino nel 1996 per il suo originale “Riccardo III”), parzialmente ingentilita da una bella fotografia ad opera di Jonathan Freeman. 


Con la scusa di "Ruth e Alex"

Riflessioni ad ampio raggio su un film mediocre con Morgan Freeman e Diane Keaton. Lo spaccato snob di una generazione, quella degli anni '60, che ha avuto grande aspirazioni di cambiamento e ha portato coraggiose sfide alla mentalità razzista vigente negli Usa dell'epoca. Ma oggi i due protagonisti vivono la passività degli integrati benestanti, solo un po' stupiti dalla volgarità e dalla violenza dei tempi. La mancata valorizzazione del capitale induce l'accelerata usura di ogni valore di solidarietà umana. 

di Stefano Paterna

Diciamo la verità: il film di per sé stesso è davvero poca cosa. Un'opera di maniera, fiacchissima, con due interpreti di successo, Morgan Freeman e Diane Keaton, molto sazi degli allori già mietuti; una regia convenzionale di Richard Loncraine (che pure ha nel suo curriculum un Orso d'Argento a Berlino nel 1996 per il suo originale “Riccardo III”), parzialmente ingentilita da una bella fotografia ad opera di Jonathan Freeman. 

“Ruth & Alex – L'amore cerca casa” in quanto film sta tutto qui. Ma questa storia banale di una coppia interrazziale di anziani intellettuali (lui pittore, lei insegnante in pensione) in cerca di una nuova casa dopo quarant'anni per l'assenza nella propria di un ascensore, dà modo di fare una riflessione più ampia sullo stato dei rapporti umani in una società a capitalismo avanzato. Nel caso specifico si tratta di quella statunitense, ma sarebbe semplice, incattivendolo un poco, adattarla a un contesto come quello italiano.

Lo stesso sguardo con il quale i due protagonisti (soprattutto Alex) guardano al mondo è pregno di significati non immediatamente dichiarati, ma comunque evidenti. Si tratta, in effetti, di due reduci della generazione “ribelle” degli anni '60. Di più, si tratta di un uomo e una donna che hanno osato portare la sfida sociale sino al cuore dei pregiudizi della società finto-democratica, ma realmente segregazionista degli Usa dell'epoca: si sono sposati, violando la consuetudine non dichiarata di non mescolare il bianco con il nero. E per questo hanno pagato un prezzo, in termini di rotture di rapporti familiari. 

Ma ora dopo quattro decenni cosa sono divenuti? Due anziani benestanti per nulla interrogati dai conflitti dell'attualità. La realtà presente per loro è del tutto mediata dalla tv a colori e (con difficoltà) da Internet. Della passata capacità di indignazione è rimasto poco: il distacco di Alex nei confronti degli ossessivi allarmi terroristici che provocano il crollo dei prezzi degli immobili del suo quartiere; l'inclinazione un po' freak di Ruth a considerare tutti quelli che incontra splendidi amici. 

 Solo dinanzi allo spettacolo televisivo del “terrorista” maltrattato dalla polizia che in realtà si rivela uno spaesato ragazzo mediorientale, Alex esploderà in un accesso di rabbia proiettando forse il giovane di oggi sul ragazzo nero, con i capelli a cespuglio, che era negli anni '60.

Di oggi, degli anni che scorrono velocemente dinanzi agli occhi dei due protagonisti cosa rimane se non l'usura radicale a cui sono sottoposti i più elementari valori di solidarietà umana? La ruggine li ricopre e soffiandoci sopra si può temere che scompaiano in una piccola nuvola rossa. 

Il mondo degli agenti immobiliari di New York (ma non sarà difficile riconoscervi un certo modo di vendere attualmente molto pervasivo anche in Italia) è così ben rappresentato dalla nipote di Alex: una vita da avvoltoio appollaiato sul telefonino, pronta a volteggiare al primo squillo, affettuosa e disponibile sino all'ultimo momento prima di rendersi conto dell'impossibilità di vendere; poi solo volgare e risentita come se ogni momento di vita non valorizzato nello scambio merce-denaro, costituisca un vuoto insopportabile, un oltraggio irrecuperabile. 

Il non venduto è, in effetti, il limite estremo della società capitalistica. L'ostacolo di fronte al quale questo sistema singolarmente dotato di tenacia e flessibilità, getta la maschera, si arrende o meglio passa alla violenza, psicologica o fisica che sia. Si potrebbe individuare in questo aspetto la tendenza congenita del capitalismo a generare la violenza per superare gli inceppamenti del meccanismo di accumulazione. Ma non si deve chiedere troppo a un film come “Ruth e Alex”, non per niente in uscita nelle sale a metà estate. 

Ci si accontenti di un mediocre quadro sul tramonto di una generazione di ribelli. 

 

 

13/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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