Gramsci, il diritto e la società regolata

Quale funzione continua a svolgere il diritto nello sviluppo di una società socialista in cui lo Stato tenderà a dissolversi nella società regolata?


Gramsci, il diritto e la società regolata Credits: https://www.igsitalia.org/

Segue da “Gramsci dalla critica del parlamentarismo alla necessità della rivoluzione

Iniziamo con l’analizzare il modo in cui Antonio Gramsci espone la questione della crisi del parlamentarismo, dell’incapacità di risolverla da parte dello Stato burocratico fascista e della conseguente esigenza di battersi per un nuovo sistema rappresentativo fondato sui consigli di fabbrica: “il punto è – osserva Gramsci – se (il) regime rappresentativo e dei partiti invece di essere un meccanismo idoneo a scegliere funzionari eletti che integrino ed equilibrino i burocratici nominati, per impedire (ad essi) di pietrificarsi, sia divenuto un inciampo e un meccanismo a rovescio e per quali ragioni. Del resto anche una risposta affermativa a queste domande non esaurisce la quistione: perché anche ammesso (ciò che è da ammettere) che il parlamentarismo è divenuto inefficiente e anzi dannoso, non è da concludere che il regime burocratico sia riabilitato ed esaltato. È da vedere se parlamentarismo e regime rappresentativo si identificano e se non sia possibile una diversa soluzione sia del parlamentarismo che del regime burocratico, con un nuovo tipo di regime rappresentativo” [1].

Il partito rivoluzionario, quale principe moderno [2], può assumere in tali fasi la funzione di guida dello Stato allo scopo di egemonizzare la società civile – che è però “talmente intrecciata di fatto con la società politica che tutti i cittadini sentono che esso invece regna e governa” (5, 127: 661-62) – senza perciò fondersi organicamente con il governo, ma ponendosi al servizio della transizione. La stessa funzione educativa dello Stato può essere democratica e non funzionale a un’oligarchia [3] “solo – sottolinea Gramsci – nelle società in cui la unità storica di società civile e società politica è intesa dialetticamente (nella dialettica reale e non solo concettuale) e lo Stato è concepibile come superabile dalla ‘società regolata’: in questa società il partito dominante non si confonde organicamente con il governo, ma è strumento per il passaggio dalla società civile-politica alla ‘società regolata’, in quanto assorbe in sé ambedue, per superarle (non per perpetuarne la contraddizione)” (6, 65: 734).

Da questo punto di vista di decisiva importanza è la giusta impostazione dialettica fra la necessità dell’autonomia di classe [4] e l’altrettanto indispensabile politica delle alleanze di classe. Come sottolinea a ragione Gramsci, con un illuminante esempio ripreso dalla storia della progressiva conquista del potere da parte della borghesia: “la unificazione storica delle classi dirigenti è nello Stato e la loro storia è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. Questa unità deve essere concreta, quindi il risultato dei rapporti tra Stato e ‘società civile’. Per le classi subalterne l’unificazione non avviene: la loro storia è intrecciata a quella della ‘società civile’, è una frazione disgregata di essa. […] Un canone di ricerca storica si potrebbe costruire studiando la storia della borghesia in questo modo […]: la borghesia ha preso il potere lottando contro determinate forze sociali aiutata da determinate altre forze; per unificarsi nello Stato doveva eliminare le une e avere il consenso delle altre. Lo studio del suo sviluppo di classe subalterna deve dunque ricercare le fasi attraverso cui ha conquistato un’autonomia in confronto dei nemici futuri da abbattere e ha conquistato l’adesione di quelle forze che l’hanno aiutata attivamente o passivamente in quanto senza questa adesione non avrebbe potuto unificarsi nello Stato. Il grado di coscienza cui era arrivata la borghesia nelle varie fasi si misura appunto con questi due metri e non solo con quello del suo distacco dalla classe che la dominava; di solito appunto si ricorre solo a questo e si ha una storia unilaterale o talvolta non si capisce nulla, come nel caso della storia italiana dai Comuni in poi: la borghesia italiana non seppe unificare il popolo, ecco una causa delle sue sconfitte e delle interruzioni del suo sviluppo: anche nel Risorgimento questo ‘egoismo’ ristretto impedì una rivoluziona rapida e vigorosa come quella francese” (3, 90: 372-73).

Dunque, Gramsci mostra la necessità di un nuovo Stato, ovvero dello Stato socialista, per poter realmente trasformare la stessa società civile, che non potrà certo riformarsi dal proprio interno. In effetti, come mette in luce Gramsci, “tra la struttura economica e lo Stato con la sua legislazione e la sua coercizione sta la società civile, e questa deve essere radicalmente trasformata in concreto e non solo sulla carta della legge e dei libri degli scienziati; lo Stato è lo strumento per adeguare la società civile alla struttura economica, ma occorre che lo Stato ‘voglia’ far ciò, che cioè a guidare lo Stato siano i rappresentanti del mutamento avvenuto nella struttura economica. Aspettare che, per via di propaganda e di persuasione, la società civile si adegui alla nuova struttura, che il vecchio ‘homo oeconomicus’ sparisca senza essere seppellito con tutti gli onori che merita, è una nuova forma di retorica economica, una nuova forma di moralismo economico vacuo e inconcludente” (10, 15: 1253).

Gramsci definisce illiberali gli Stati in cui la “società civile si confonde con la politica” (6, 65: 734), in quanto o la minoranza al potere si pone come l’intera società o le masse si pongono immediatamente come lo Stato, indifferentemente se tali società siano rette democraticamente o dispoticamente, “ossia in quelle in cui la minoranza oligarchica pretende essere tutta la società, o quelle in cui il popolo indistinto pretende e crede di essere veramente lo Stato” (Ibidem). Al contrario la democrazia moderna si costruisce mediante un sano rapporto fra società politica e società civile, in cui funge da necessario termine medio l’opinione pubblica. Su queste complesse problematiche scrive Gramsci: “ciò che si chiama ‘opinione pubblica’ è strettamente connesso con l’egemonia politica, è cioè il punto di contatto tra la ‘società civile’ e la ‘società politica’, tra il consenso e la forza. Lo Stato quando vuole iniziare un’azione poco popolare crea preventivamente l’opinione pubblica adeguata, cioè organizza e centralizza certi elementi della società civile. […] L’opinione pubblica è il contenuto politico della volontà politica pubblica che potrebbe essere discorde: perciò esiste la lotta per il monopolio degli organi dell’opinione pubblica: giornali, partiti, parlamento, in modo che una sola forza modelli l’opinione e quindi la volontà politica nazionale, disponendo i discordi in un pulviscolo individuale e disorganico” (7, 83: 914).

La funzione educativa dello Stato sulla società civile è realmente democratica solo se l’unità fra società politica e civile è intesa dialetticamente e lo Stato tende a dissolversi nella società regolata [5]. Nota ancora, su tali ordini di problemi, acutamente Gramsci: “quistione dell’‘uomo collettivo’ o del ‘conformismo sociale’. Compito educativo e formativo dello Stato, che ha sempre il fine di creare nuovi e più alti tipi di civiltà. Di adeguare la ‘civiltà’ e la moralità delle più vaste masse popolari alle necessità del continuo sviluppo dell’apparato economico di produzione, quindi di elaborare anche fisicamente dei tipi nuovi d’umanità. Ma come ogni singolo individuo riuscirà a incorporarsi nell’uomo collettivo e come avverrà la pressione educativa sui singoli ottenendone il consenso e la collaborazione, facendo diventare ‘libertà’ la necessità e la coercizione?” (7, 13: 1565-566).

Note:

[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1708. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.
[2] Sul partito rivoluzionario quale principe moderno, in relazione alla questione del superamento dello Stato, osserva con la consueta acutezza Gramsci: “se si dovesse tradurre in linguaggio politico moderno la nozione di ‘Principe’, così come serve nel libro di Machiavelli, si dovrebbe fare una serie di distinzioni: ‘principe’ potrebbe essere un capo di Stato, un capo di governo, ma anche un capo politico che vuole conquistare uno Stato o fondare un nuovo tipo di Stato; in questo senso ‘principe’ potrebbe tradursi in lingua moderna ‘partito politico’. Nella realtà di qualche Stato il ‘capo dello Stato’, cioè l’elemento equilibratore dei diversi interessi in lotta contro l’interesse prevalente, ma non esclusivista in senso assoluto, è appunto il ‘partito politico’; esso però a differenza che nel diritto costituzionale tradizionale né regna, né governa giuridicamente: ha ‘il potere di fatto’, esercita la funzione egemonica e quindi equlibratrice di interessi diversi, nella ‘società civile’ (…). Su questa realtà che è in continuo movimento, non si può creare un diritto costituzionale del tipo tradizionale, ma solo un sistema di principii che affermano come fine dello Stato la sua propria fine, il suo proprio sparire, cioè il riassorbimento della società politica nella società civile” (5, 127: 661-62).
[3] Ecco al contrario, un caso esemplare ricordato da Gramsci in cui un argomento democratico si trasforma in giustificazione dell’attività oligarchica: “la concezione del giornale di Stato è logicamente legata alle strutture governative illiberali (…). Se la scuola è di Stato, perché non sarà di Stato anche il giornalismo, che è la scuola degli adulti? Napoleone argomentava partendo dal concetto che se è vero l’assioma giuridico che l’ignoranza delle leggi non è scusa per l’imputabilità, lo Stato deve gratuitamente tenere informati i cittadini di tutta la sua attività, deve cioè educarli” (6, 65: 734).
[4] Alla questione della conquista dell’autonomia di classe del proletariato e, più in generale, di tutti i ceti subalterni, Gramsci ritiene indissolubilmente connessa la questione altrettanto decisiva dello spirito di scissione: “uno studio di come è organizzata di fatto – osserva a tal proposito Gramsci – la struttura ideologica di una classe dominante: cioè l’organizzazione materiale intesa a mantenere, a difendere e a sviluppare il ‘fronte’ teorico e ideologico. [..] La stampa è la parte più dinamica di questa struttura ideologica, ma non la sola: tutto ciò che influisce o può influire sull’opinione pubblica direttamente o indirettamente le appartiene: le biblioteche, le scuole, i circoli e clubs di vario genere, fino all’architettura, alla disposizione delle vie e ai nomi di queste. Non si spiegherebbe la posizione conservata dalla Chiesa nella società moderna, se non si conoscessero gli sforzi diuturni e pazienti che essa fa per sviluppare continuamente la sua particolare sezione di questa struttura materiale dell’ideologia. Un tale studio, fatto seriamente, avrebbe una certa importanza: oltre a dare un modello storico vivente di una tale struttura, abituerebbe a un calcolo più cauto ed esatto delle forze agenti nella società. Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice, a questo complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante? Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali: tutto ciò domanda un complesso lavoro ideologico, la prima condizione del quale è l’esatta conoscenza del campo da svuotare dal suo elemento di massa umana” (3, 49: 332-33).
[5] Chiarisce, ulteriormente, a tal proposito Gramsci: “l’argomento rientra in quello più generale della diversa posizione che hanno avuto le classi subalterne prima di diventare dominanti. Certe classi subalterne devono avere un lungo periodo di intervento giuridico rigoroso e poi attenuato, a differenza di altre; c’è differenza anche nei modi: in certe classi l’espansività non cessa mai, fino all’assorbimento completo della società; in altre, al primo periodo di espansione succede un periodo di repressione” (6, 98: 773-74).

10/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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