Gramsci nella città di Dite

Il 19 marzo 1927, in una lettera alla cognata Tania, scritta dal carcere di San Vittore in Milano, Gramsci indica un piano di lavoro e di ricerca che avrebbe dovuto assorbire e centralizzare la sua vita interiore; in questo piano, al primo posto, compare “una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc”


Gramsci nella città di Dite

L’interesse mai sopito del nostro grande intellettuale comunista per la Divina Commedia e, in particolare, per il canto decimo dell’Inferno. Dante come dirompente elemento di transizione tra una fase della storia degli intellettuali e la successiva. 

di Lelio La Porta

Il 19 marzo 1927, in una lettera alla cognata Tania, scritta dal carcere di San Vittore in Milano, Gramsci indica un piano di lavoro e di ricerca che avrebbe dovuto assorbire e centralizzare la sua vita interiore; in questo piano, al primo posto, compare “una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc” [1]. Nella prospettiva di una simile ricerca che, quindi, ha il suo fondamento in un’analisi politico-culturale più che estetica in senso stretto, vanno ricondotte le note che Gramsci dedica a Dante del quale, proprio in questi giorni, si celebra il 750° anniversario della nascita (1265). Per chiarire con quale approccio metodologico Gramsci si avvicini ai fenomeni letterari, si legga la lettera scritta alla moglie il 4 novembre del 1930: “Per me l’espressione letteraria (linguistica) è un rapporto di forma e contenuto: l’analisi mi dimostra o mi aiuta a capire se tra forma e contenuto c’è adesione completa o se esistono screpolature, mascherature, ecc. Si può anche sbagliare, se specialmente si vuole troppo dedurre, ma se si ha del criterio si può capire parecchio, per lo meno lo stato d’animo generale” [2]. Da ciò scaturisce chiara l’idea di un’analisi molto attenta a rispondere a questioni di storia culturale o tutta tesa, come nel caso specifico di Dante, a sottolineare e a chiarire questioni di metodo. In questa dimensione, mettere in evidenza i contenuti diventa la caratteristica precipua del Gramsci “critico letterario”. 

L’interesse di Gramsci per Dante, in specie per il Canto X dell’Inferno (i cui protagonisti sono Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti che si trovano fra gli epicurei nel sesto cerchio degli eretici), risale a molto prima dei Quaderni del carcere. Il 18 aprile 1918 compare sull’Avanti! un articolo intitolato Il cieco Tiresia nel quale Gramsci fa esplicito riferimento alla capacità di Farinata e di Cavalcante di “vedere nell’al di là” [3]. Il 14 maggio 1919, sempre sull’Avanti!, compare una cronaca teatrale intitolata La «vena d’oro» di Zorzi in cui Gramsci fa riferimento a Cavalcante e a Dante [4]. L’interesse per il Canto X viene, quindi, da molto lontano. 

In una lettera del 26 agosto 1929 alla cognata Tania, Gramsci manifesta l’intenzione di scrivere una “nota dantesca” [5] e in una successiva lettera del 7 settembre 1931 annuncia che riassumerà la materia di un saggio sul Canto X dell’Inferno da trasmettere al prof. Cosmo, “specialista in danteria” [6]. Lo schema del saggio, che Gramsci stesso definisce “famigerato”, viene proposto in una lettera a Tania del 20 settembre 1931 [7] nella quale il detenuto chiede che la sua nota sia sottoposta all’attenzione di Umberto Cosmo. La risposta di Cosmo arriva a Gramsci nei primi mesi del 1932 attraverso Sraffa [8] che l’aveva trasmessa a Tania, la quale a sua volta l’ aveva fatta pervenire al cognato. Il testo è riprodotto in brani nel Quaderno 4, & 86 [9]. In una lettera del 21 marzo 1932 [10] alla cognata, Gramsci realizzerà quanto aveva scritto in chiusura della nota dei Quaderni in cui riportava brani della lettera di Cosmo: “Ci sarebbe da osservare molte cose su queste note del prof. Cosmo” [11].
L’interesse di Gramsci per Dante non si limita alla lettura del Canto X dell’Inferno. Dante e la sua Commedia sono per Gramsci una lettura necessaria al punto che, subito dopo l’arresto (8 novembre 1926), scrive una lettera, peraltro mai giunta a destinazione, a Clara Passarge, la proprietaria della casa romana in Via Morgagni 25 dove Gramsci alloggiava come pensionante, nella quale si dichiara gratissimo alla signora “se mi inviasse una Divina Commedia di pochi soldi, perché il mio testo lo avevo imprestato” [12].

Al di là della lettura del Canto X dell’Inferno (la scoperta che Gramsci aveva fatto era relativa ad una maggiore centralità di Cavalcante rispetto alla figura da sempre ritenuta dominante di Farinata), si può dire che Gramsci consideri Dante un elemento di transizione da una fase della storia degli intellettuali ad un’altra. E tale storia viene conficcata del tutto nel solco vivo della ricognizione storica sul terreno nazionale all’interno del quale Dante è l’inizio di quella corrente che culmina in Machiavelli e ha la Chiesa come referente intellettuale, seppure negativo. In questo contesto, Dante cerca una soluzione al problema dell’anarchia comunale e feudale, pone il problema della limitazione del potere e delle attività della Chiesa come questione internazionale, assume su di sé tutta la responsabilità politica di una siffatta impostazione: “Dante è veramente una transizione” [13], scrive Gramsci, aggiungendo, sotto forma di domanda: “Non è forse la Divina Commedia un po’ il canto del cigno medioevale, che pure anticipa i nuovi tempi e la nuova storia?” [14]. La superiorità della società sognata da Dante, un organismo super partes fortemente utopico, ha la sua perfetta concretizzazione nella Divina Commedia in cui i sentimenti vengono organizzati, utilizzando gli endecasillabi e le terzine, in dottrina, mentre la denuncia appassionata e il dramma si sviluppano canto dopo canto.

Si potrebbe dire che nel panorama degli intellettuali italiani Dante rappresenta la sintesi di vecchio e di nuovo in quanto ha in sé lo slancio vitale che consente al nuovo di nascere.
Nell’agosto del 1931 e, poi, nel marzo del 1933 Gramsci è colpito da due gravi crisi che segnano un peggioramento delle sue condizioni di salute. Nonostante questo, il 3 aprile 1933 in calce ad una lettera alla cognata Tania, scrive: “Ti prego di scrivere alla libreria perché mi spedisca il recente volumetto del prof. Michele Barbi: Dante – Vita. Opere. Fortuna, editore G.C. Sansoni, Firenze 1933. Non so resistere alla tentazione di avere questo lavoro, anche se non sarò in grado, ancora per qualche mese, di studiarlo” [15]. Le forze stanno scemando ma non la volontà di proseguire, anche su Dante, il lavoro “disinteressato” e für ewig [16], per l’eternità. 

Note: 

[1] A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Antonio A. Santucci, Sellerio, Palermo 2013, pp. 55-56.

[2] Ivi, p. 363.

[3] A. Gramsci, La Città Futura 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1982, pp. 833-835. Nei Quaderni del carcere Gramsci tornerà su questo breve articolo del 1918: “Nella nota pubblicata nel 1918 si prendeva lo spunto dalla notizia pubblicata dai giornali che una ragazzina in un paesello d’Italia, dopo aver preveduto la fine della guerra per il 1918 diventò cieca. Il nesso è evidente. Nella tradizione letteraria e nel folclore, il dono della previsione è sempre connesso con l’infermità attuale del veggente, che mentre vede il futuro non vede l’immediato presente perché cieco” (A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975: Quaderno 4, &85, p. 527).

[4] A. Gramsci, L’Ordine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana e Antonio A. Santucci, Einaudi, Torino 1987, p. 807.

[5] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 281. 

[6] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 457. Umberto Cosmo (1868-1944) fu insegnante di lettere in vari licei italiani e dal 1898 a Torino. Antifascista, fu costretto a lasciare l’insegnamento nel 1926. Fu critico letterario e contribuì particolarmente agli studi danteschi con opere quali la Vita di Dante (1930) e L’ultima ascesa (1936). Gramsci, studente universitario appena giunto a Torino, frequentò a lungo Cosmo quando questi divenne incaricato di letteratura italiana presso l’Ateneo torinese. Ha scritto Fiori: “C’era tra il giovane studente spaesato nella grande città e il professore un legame che si irrobustiva anche nella reciprocità dell’affetto. Sopravverranno qualche tempo dopo, nell’incandescenza della lotta politica, dispute nelle quali dal desiderio di ritorsione Gramsci sarà spinto all’intemperanza. Ma oltre simili svolte polemiche l’antico affetto rinverdirà” (G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Roma-Bari 1966 [la citazione è dall’edizione del 2008], p. 86.

[7] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., pp. 464-467.

[8] Piero Sraffa fu presentato a Gramsci a Torino da Cosmo. Sraffa era simpatizzante socialista e poi comunista e, pur non essendo attivo nella vita politica, frequentò e collaborò con L’Ordine Nuovo. Il ruolo di Sraffa nella vita di Gramsci diventò decisivo dopo l’arresto. Già da Ustica si misero in contatto e Sraffa fu importante per tutta una serie di vicende della vita del detenuto fino a divenire il suo tramite nella comunicazione con il Partito. Sraffa è anche il destinatario di molte lettere di Gramsci e al contempo il mittente, attraverso la cognata Tania, di molte lettere a Gramsci (si veda a questo proposito Piero Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, introduzione e cura di V. Gerratana, Editori Riuniti, Roma 1991). Sraffa svolse il ruolo di tramite delle pratiche di revisione relative al processo contro Gramsci e dei tentativi di liberazione intrapresi dall’URSS verso l’Italia. Sraffa fu economista e docente, dal 1927, a Cambridge. Nel suo Produzione di merci a mezzo di merci (1960) analizzò i movimenti dei prezzi relativi al variare della distribuzione, dimostrando l’inconsistenza di alcuni presupposti della teoria neoclassica.

[9] A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 527-529.

[10] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., pp. 547-548

[11] A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 529. Sulla questione legata al Canto X dell’Inferno e alla sua interpretazione si veda, fra gli altri, Raul Mordenti, Il canto decimo dell’Inferno, Seminario dell’International Gramsci Society – Italia tenutosi a Roma il giorno 8 marzo 2013 presso la Università Roma III nell’ambito dei seminari sui Quaderni del carcere promossi dall’IGS. Il testo è consultabile su Internet.

[12] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 3. 

[13] A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 615 [Q 5, & 85].

[14] Ivi, p. 734 [Q 6, & 64].

[15] A. Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 698. Il libro è conservato nel «Fondo Gramsci».

[16] Ivi, pp. 55-56. Sul tema mi permetto di rimandare al mio saggio Il «für ewig» gramsciano: il senso di una ricerca «disinteressata» in “Critica Marxista”, n. 1/2013, pp. 59-65. 

05/06/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Lelio La Porta

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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