Le ceneri di Gramsci

A quasi 80 anni di distanza, ormai, dalla sua morte Antonio Gramsci resta l'intellettuale comunista di più grande rilievo che l'Italia abbia mai conosciuto, preso a modello e studiato a fondo anche in America Latina. Mentre in Italia, invece, l'élite intellettuale delle classi dominanti lavora alla lenta disintegrazione del pensiero che il grande comunista di Ales ci ha lasciato in eredità.


Le ceneri di Gramsci

A quasi 80 anni di distanza, ormai, dalla sua morte Antonio Gramsci resta l'intellettuale comunista di più grande rilievo che l'Italia abbia mai conosciuto, preso a modello e studiato a fondo anche in America Latina. Mentre in Italia, invece, l'élite intellettuale delle classi dominanti lavora alla lenta disintegrazione del pensiero che il grande comunista di Ales ci ha lasciato in eredità.  

di Lelio La Porta 

Erano le 4,10 del 27 aprile del 1937. Ricordava Tatiana Schucht, cognata di Antonio Gramsci, che “…venne un ultimo respiro rumoroso e sopravvenne il silenzio senza rimedio”. Così moriva, per emorragia cerebrale a quarantasei anni, il comunista sardo. Aveva ottenuto la libertà il 21 aprile. In Sardegna, il padre Francesco attendeva con ansia di poter riabbracciare il figlio, almeno uno dei quattro figli maschi, visto che Gennaro combatteva in Spagna al fianco dei repubblicani, Mario era ufficiale in Africa e Carlo si trovava a Milano. Antonio aveva scritto a casa; voleva tornare in Sardegna; lo attendevano proprio il 27 aprile. Poi arrivò la notizia della morte e la scena del padre che, in preda alla disperazione, cominciò ad urlare: “Assassini, me l’hanno ammazzato”. Francesco Gramsci sopravvisse al dolore appena due settimane: morì il 16 maggio. A Mosca c'erano gli altri affetti privati di Gramsci. Ricordava il suo secondogenito Giuliano che, insieme al fratello Delio, fu accompagnato da Togliatti in una località fuori Mosca, dove li raggiunse la notizia della morte di Gramsci; soprattutto per Giuliano ciò significava che “moriva in me la speranza di conoscerlo, e dal mio subcosciente per la prima volta emerse la certezza di non averlo mai visto” [1].  

A Roma, la cognata Tatiana e il fratello Carlo provvidero al funerale che si svolse sotto il temporale. Ora le ceneri di Gramsci si trovano al cimitero acattolico della Piramide Cestia in Roma e ogni 27 aprile quante e quanti vogliono si ritrovano lì per depositare un fiore rosso su quell’urna. Così è stato anche il 27 aprile appena trascorso; fra il canto dell’Internazionale e chi, quasi sommessamente, ma non per questo in modo meno appassionato, si raccoglieva in preghiera, si è celebrata la cerimonia laica della memoria. C’erano dei giovani, pochi, ma c’erano; e chi si è recato in quel luogo nel pomeriggio ha riferito che altri giovani, anche non italiani, sono andati a deporre un fiore. Qualcuno dei presenti ha affrontato il discorso sull’assoluta mancanza di conoscenza di Gramsci da parte dei nostri giovani: è noto, si sta lavorando (va riconosciuto su questo terreno l’impegno costante sia della International Gramsci Society sia della Università popolare “Antonio Gramsci”), ma è difficile fare breccia nel conformismo dell’indifferenza che giunge a proporci persone (questo risulta da diverse indagini rese pubbliche da alcune trasmissioni televisive) che non sanno neanche cosa sia il 25 aprile.  

Di fronte a quell’urna non può non tornare alla mente l’immagine di Pasolini, raccolto in una riflessione politico-ideologica che fu l’ispirazione di uno dei canti più alti della poesia italiana del Novecento, in lode dell’impegno civile: “Le ceneri di Gramsci” (1954). Vi si legge:  

Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l’urna, sul terreno cereo,
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci…  

Anche la televisione di Stato si è ricordata di Gramsci trasmettendo dapprima su Rai 3 e, in serata e in replica, su Rai Storia un programma su Gramsci nell’ambito de “Il Tempo e la Storia”. Ospite del conduttore Massimo Bernardini, il professor Mauro Canali. Del professore ci siamo già occupati su queste colonne [2] inserendolo nella cerchia sempre più ampia, purtroppo e a dire il vero, degli edificatori di storie romanzate e a base thriller aventi come oggetto Gramsci e i suoi rapporti con il Partito Comunista e, in specie, con Togliatti. Nel corso della trasmissione del 27 è arrivato a definire la prima edizione dei Quaderni del carcere (tanto per intenderci, quella edita da Einaudi in sei volumi tematici a partire dal 1948) una sorta di silloge delle note carcerarie senza senso; non sfugge l’acredine dell’affermazione dietro la quale si nasconde, neanche tanto velatamente, l’antitogliattismo come metodo di ricerca e di interpretazione storica. Sa il professor Canali in quali condizioni Togliatti intraprese l’opera di lettura e di interpretazione delle note gramsciane? Risposta: “Palmiro Togliatti è in Spagna, dove nell’estate del 1936 era scoppiata la guerra civile (…) Ricevute le prime fotocopie, a Barcellona, sotto i bombardamenti degli aerei fascisti, al lume di candela, Togliatti e alcuni collaboratori iniziano il lavoro di interpretazione dei quaderni” [3]. L’esito di lungo periodo di questo lavoro fu l’edizione einaudiana che, pure, suscitò perplessità sia circa la correttezza sia circa la legittimità dei criteri prescelti; in ogni caso è fuor di dubbio che la frammentarietà dei materiali e lo stesso modo di stesura adottato da Gramsci autorizzavano la scelta togliattiana che non era segnata da pregiudiziali politico-ideologiche ma dalla necessità di diffondere il più possibile il pensiero gramsciano. D’altronde lo stesso Valentino Gerratana, a cui, come ricordato dal professor Canali, va attribuita la realizzazione dell’edizione critica dei Quaderni pubblicata da Einaudi nel 1975, ricordava i meriti dell’edizione tematica che non doveva assolutamente essere demonizzata [4]. Il professor Canali ha avuto modo di soffermarsi anche sulle Lettere dal carcere sostenendo che, a causa della scelta togliattiana, non erano in grado di fornire alla loro prima apparizione un’immagine adeguata del rivoluzionario sardo. Questo parere cozza con la realtà del Premio Viareggio assegnato alle epistole gramsciane nel 1947 e con le recensioni autorevolissime di Garin [5] e di Croce [6] , la prima delle quali già metteva in evidenza la forte umanità dell’autore di quelle missive. Inoltre, come non prendere in considerazione le dodicimila copie delle Lettere vendute ancor prima dell’assegnazione del Premio?  

Che ci fossero divaricazioni fra Gramsci e il Partito, e quindi Togliatti, già dalla famosa lettera del 1926 al Pcus, è evidente. Ma da qui ad immaginare (di questo si tratta) un complotto ordito dai dirigenti comunisti italiani contro il leader chiuso nel carcere fascista a partire dalla lettera di Grieco del 1928 ce ne corre, sottovalutando, fino a dimenticarlo del tutto, il ruolo che nella vicenda della lettera ebbe il giudice istruttore Macis [7]. Ancora davanti alle telecamere il professor Canali ha sostenuto questa sua congettura arrivando alla spudorata proposizione del suo libro come testo da cui trarre utili riflessioni intorno a Gramsci in generale e, più in particolare, intorno ai rapporti fra Gramsci e Togliatti [8]. Non è intenzione di chi scrive ergersi a insegnante di tal maestro, ma non sarebbe stato più decente affidare al pubblico la lettura di qualche autorevole biografia gramsciana (e ce ne sono altre oltre quella di Fiori)? Così come non sarebbe stato più opportuno proporre come luogo della memoria gramsciana, invece del carcere di Turi, l’urna nel Cimitero acattolico a Roma, magari ricordando che a pochi passi c’è anche l’urna di Antonio Labriola? Oppure, invece di proporre come film lo splendido Uccellacci e uccellini di Pasolini, adducendo come motivazione il fatto che il grande regista era notoriamente gramsciano, non sarebbe stato più utile, proprio dal punto di vista della conoscenza, suggerire il film di Lino Dal Frà intitolato Antonio Gramsci. I giorni del carcere (1977), pur con tutte le sue imprecisioni?

Dato che abbiamo speso alcune parole per la perfomance televisiva del professor Canali, sembra il caso di dire altre due parole anche sul professor Francesco Perfetti, allievo di Renzo De Felice, docente di Storia contemporanea alla Luiss e direttore della rivista “Nuova storia contemporanea”, anch’egli fra i consulenti scientifici di Rai Storia. E’ comparsa sul quotidiano della Cei, “Avvenire”, in data 19 aprile u. s., un’intervista al professor Perfetti in cui si sostiene che “se la Resistenza non portò alla deriva rivoluzionaria lo si deve al ruolo decisivo delle componenti cattolica e liberale”. Quello che impressiona in costoro è la pervicace e difficilmente incrinabile tendenza ideologica che li spinge a dimenticare l’oggetto del loro stesso discorso, cioè la storia. Mi sembra di ricordare (credo che le compagne e i compagni che mi stanno leggendo vorranno supportarmi) che nell’aprile del 1944 sbarcò dalle parti di Napoli un signore, di nome Palmiro Togliatti, che, dopo anni di esilio a cui era stato costretto dal fascismo, radunò intorno a sé il suo Partito, cioè il Partito comunista, dicendo che andava costruito un ampio fronte unitario antifascista e che la questione istituzionale andava rimandata alla fine della guerra contro il fascismo e il nazismo. Il 22 aprile del 1944 si costituiva a Salerno il primo governo dell’Europa occidentale a partecipazione comunista, presieduto da Badoglio. Insomma, professor Perfetti, la svolta di Salerno è un’altra invenzione di Togliatti o è l’atto costitutivo dell’unità antifascista su cui si fondò il movimento resistenziale, che è l’unica rivoluzione che l’Italia postunitaria abbia mai avuto e che ebbe la sua acme nella Costituzione repubblicana, democratica e, appunto, antifascista scritta dai comunisti insieme alle altre forze politiche antifasciste?  

Di fronte a questo scempio operato da intellettuali alla ricerca di un ubi consistam ancorato alla fin troppo abusata categoria dell’anticomunismo, a noi non resta che rivolgerci all’urna di Gramsci e riflettere. Mettere in gioco se stessi è la molla della politica, ritenere che dall’assunzione di una responsabilità da parte di un singolo possa derivare il destino del mondo: questa è la politica, la passione politica. Gramsci è il nostro maestro lungo la strada che conduce a quell’assunzione di responsabilità che è l’anticamera della trasformazione del mondo. Dal silenzio di quell’urna si deve trarre la necessità del fare politica; in modo intransigente, responsabile e convinto. 

 

Note: 

[1] Le testimonianze riportate sono tratte da G. Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 336 e A. Gramsci, Vita attraverso le lettere, a cura di G. Fiori, Einaudi, Torino, 1994, p. 389 

[2] L. La Porta, Così è, se vi pare. Gramsci, La Città Futura, 2 febbraio 2015

[3] Antonio A. Santucci, Antonio Gramsci 1891-1937, Sellerio editore, Palermo, 2005, p. 136 

[4] Si veda V. Gerratana, Prefazione in A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, Einaudi, Torino, 1975

[5] E. Garin, Le Lettere di Gramsci, “Leonardo”, giugno-agosto 1947

[6] B. Croce, Recensione delle “Lettere dal carcere”, Quaderni della critica, 8, luglio 1947. Sarà il caso di ricordare la reazione di Togliatti alla recensione crociana nella quale, secondo il segretario comunista, Gramsci veniva avvicinato eccessivamente al campo idealistico marcandone la sua distanza da un certo comunismo (P. Togliatti, Antonio Gramsci e don Benedetto in Id., Scritti su Gramsci, a cura di G. Liguori, Editori Riuniti, Roma, 2001, pp. 129-130)

[7] R. Giacomini, Il giudice e il prigioniero. Il carcere di Antonio Gramsci, Castelvecchi, Roma, 2014

[8] M. Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, Marsilio, Venezia, 2013

 

 

01/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Lelio La Porta

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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