MILANO. Approda a Milano nelle sale blu del piano terreno di  Palazzo Reale la mostra dedicata alla fotografia sociale di Letizia Battaglia, testimone della cronaca e della storia di Palermo  nell’ultimo quarto del XX secolo. Una retrospettiva della carriera della  fotografa in parte inedita curata da Francesca Alfano Miglietti critica d’arte  e docente all’Accademia di Belle arti di Brera. 
  
  Letizia Battaglia nasce a Palermo nel 1935 in una famiglia di modesta  condizione economica; si sposa a 16 anni per evadere da un ambiente familiare  angusto, ma il matrimonio da cui nascono tre figlie non si rivelerà felice: la  relazione con il marito, un uomo tradizionalista che le impedisce di lavorare,  diventa inquieta e violenta. Dopo l’ennesimo sopruso Letizia viene ricoverata  in Svizzera dove deciderà di separarsi definitivamente. Rivedrà il marito solo  molti decenni più tardi, nell’ultimo anno della vita di lui, e lo perdonerà “Come si perdona a un fratello”. Per Letizia Battaglia l’inizio  della carriera è dunque tardivo; nel 1969, a 36 anni, incomincia a collaborare  con il giornale palermitano L'Ora:  nel piccolo quotidiano locale, dalle risorse economiche limitate, ma che per  scelta editoriale si muove con grande impegno nei riguardi della lotta alla  mafia, Letizia si trova a essere l’unica donna tra colleghi maschi. Nel 1970 Letizia si trasferisce nel capoluogo lombardo dove  si dedica alla scrittura di articoli di cronaca per Il Giorno e Il Corriere della  Sera: Milano è per lei fonte di grande ispirazione e qui decide di  acquistare la sua prima macchina fotografica, con cui realizza le prime  fotografie da vendere ai giornali per pagarsi l’affitto. Al Circolo Turati nel  1972 ha l’occasione di ritrarre in magnifici scatti Pier Paolo Pasolini, e fa  amicizia con intellettuali impegnati ed emergenti come l’architetta Gae Aulenti,  Dario Fo e Franca Rame. Gli scatti milanesi le danno notorietà e i giornali  cominciano a richiedere regolarmente le sue fotografie. Dopo il ritorno a Palermo nel 1974, apre insieme a Franco  Zecchin il laboratorio d’IF Laboratorio d'Informazione Fotografica coinvolgendo  giovani fotografi in erba: in questo ambiente stimolante, dove non si fa  accademia ma si è quotidianamente in prima linea, immersi nella concretezza  quotidiana della cronaca di una grande città mediterranea, si formano e  diventano ottimi fotografi anche la figlia di Letizia, Shobha e poi Luciano del  Casillo, Ernesto Bazan, Fabio Sgroi, Mike  Palazzotto e Salvo Furandotto. 
  
  D’IF è in quegli anni di fatto uno dei pochi punti di riferimento  per la fotografia e i giovani fotografi da Roma in giù. Nel laboratorio  bazzicano anche Ferdinando Scianna, giunto già alla notorietà dopo gli esordi  come reporter e cantore della religiosità e del folklore siciliano più  autentico, insieme ad altri fotografi di fama mondiale come Josef Koudelka, il  grande reporter boemo della Magnum. 
  
  Letizia non è certo una fotografa tecnica: continua addirittura a  fotografare con la sua piccola Pentax K 1000 pagata 200.000 lire. Non le  interessa la luce perfetta, il diaframma ottimamente calibrato, ma il  sentimento che la macchina può veicolare fra la realtà che la circonda e se  stessa, e dunque comincia a coltivare la fotografia anche come risorsa per una  personale crescita sociale.
  
  L’incontro con Kudelka, Letizia lo ricorda così: “Lui voleva fotografare le Processioni della  Settimana Santa a Palermo, e così lo accompagnai. Poi viaggiammo varie volte  insieme: in Turchia, Jugoslavia e nel Nord Europa”. Letizia lo considera  sempre il suo maestro: “É importante  avere un maestro per chi fotografa. Koudelka guardò le mie fotografie: se erano  “buone” e gli piacevano metteva una K sul retro. Beh!, ne ho avute da lui di K  per fortuna... Però per un anno quando c’era lui  a Palermo non ho più fotografato: intendo che non riuscivo a fare fotografie  “buone”...”.
Dal 1974 al ‘91 l’Ora di Palermo chiede alla  Battaglia di dirigere il team fotografico della redazione: in questi due  decenni Letizia Battaglia maturerà la consapevolezza che la sua attività di  fotografa non è solo un lavoro ma può rappresentare una risorsa sociale per la  città che tanto ama. E così,  con la spregiudicatezza formale del pioniere, si butta “in mano a quello che viene. É avventura di lavoro...”. Di fatto a  partire dal ‘74 e per tutti gli anni dei grandi fatti di cronaca di mafia a  Palermo la Battaglia si trova in prima linea come fotoreporter a documentare in  centinaia di scatti i più gravi crimini e gli omicidi mafiosi. Sono gli anni in  cui la consapevolezza di trovarsi nel mezzo di una guerra civile trasformano la  solerte fotoreporter in una assai più matura “testimone  politica”. 
  
  Il suo archivio sterminato di negativi è dunque  anche un documento storico e ci restituisce di quegli anni tutta l’egemonia del  clan dei Corleonesi in Sicilia, gli anni degli efferato omicidi ordinati da  Luciano Liggio, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella. Sono  gli anni in cui all'hotel Zagarella gli esattori mafiosi, i cugini Salvo, sono  immortalati insieme a Giulio Andreotti in fotografie che furono poi acquisite  agli atti per il “processo del secolo” svoltosi tra il ‘93 e il 2004 a carico  del notabile democristiano. 
  
  Diverse di queste foto - esposte anche nella mostra a Milano - sono entrate nell’immaginario  collettivo e ritraggono fatti e situazioni per forza di cose collegate alla  cronaca mafiosa, fatti criminosi ormai passati alla Storia come l’uccisione di  Piersanti Mattarella - quando la Battaglia  scattò la foto a un giovane Sergio Mattarella che tiene tra le braccia il  fratello appena ucciso – o l’uccisione di Peppino Impastato, giornalista e  attivista antimafia di Radio Aut, in quei giorni candidato per Democrazia  Proletaria a Cinisi. Il giorno dopo la sua  morte, Letizia scatterà l’intenso ritratto entrato ormai nella memoria  collettiva con la madre dell’ucciso raccolta nel suo composto e muto dolore  accanto a una fotografia del figlio, posata sul divano accanto a lei. Queste foto rendevano famosa Letizia Battaglia nel mondo, e  lei viene premiata come prima donna europea a New York nel 1985 con il Premio  Eugene Smith e poi nel 1999 con il Mother Johnson Achievement for Life. 
  
  Ma intanto, per questioni economiche e politiche,la redazione de L’Ora di Palermo  aveva chiuso i battenti l’8 maggio del 1992, solo pochi giorni prima della  strage che costò la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie e agli agenti della  sua scorta. Anche il giornale L’Ora pagò un prezzo altissimo, avendo subito diversi attentati e addirittura  l’assassinio di ben tre giornalisti per mano della mafia. Ma tra la metà degli  anni ’70 e gli anni ’90 i fotografi del giornale, Letizia Battaglia, Franco  Zecchin e altri avevano prodotto una enorme quantità di fotografie, consegnando  volenti o nolenti di fatto al mondo la memoria collettiva di quei decenni a  Palermo. 
Per oltre vent’anni, dunque, fino alle soglie del 2000, Letizia  Battaglia si vede cucita addosso l’etichetta scomoda di “fotografa della  Mafia”, a cui per la verità ha sempre reagito con insofferenza, ricordando come  una reporter non possa mai sottrarsi al dovere professionale: “Dentro la città dovevo fotografare tutto,  dai matrimoni alle partite di calcio, ai morti ammazzati nelle strade”. 
  “Mi telefonavano a casa dal giornale che  stavo magari stirando – Letizia aveva già le tre figlie – io correvo sul posto,  scattavo velocemente quante più foto riuscivo, tornavo a casa, fissavo il  negativo, poi lo lavavo, lo mettevo ad asciugare e con il negativo ancora umido  schizzavo al giornale: certe volte su decine di foto, solo una era giudicata  buona e la usavano a corredo dell’articolo di qualche collega”. Ma talvolta  la procura di Palermo interveniva presso i giornali:  “Perchè non  dovevamo sovraesporre i morti ammazzati per Mafia, ci chiedevano i  magistrati...” Quegli omicidi rappresentavano ovviamente successi per la  Mafia e uno scacco per lo Stato. Così in quegli anni andava trasformandosi  anche la sensibilità della fotografa a contatto con il lavoro delle forze  dell’ordine.
  
  Letizia Battaglia ha sempre ribadito che fotografare “la mafia” non è stata una  ricerca dell’effetto o del sensazionale ma un’ accidentalità e un dovere  professionale di reporter; tant’è che dopo l’assassinio del giudice Falcone nel  1992, la fotografa palermitana si allontana dal mondo della fotografia, ormai  stanca di avere a che fare con la violenza. Tra il 2000 e il 2003 dirige la  rivista bimestrale realizzata da donne Mezzocielo,  nata da una sua idea nel 1991. 
  
  Sono gli anni in cui Letizia fa reportage per scavare nella psicologia di un  soggetto o nel cuore di un luogo: fotografa e celebra le persone e l’intimità  con la sua città, il suo labirintico movimento, i luoghi della solitudine  mediterranea, i paesaggi, le marginalità e il degrado urbano nel cuore della  Kalsa e nel corpo stratificato della Palermo storica: volti, sguardi e gesti  vitali, sfrontati o indolenti emergono  come da un sogno lucido dai quartieri Libertà, Noce, Monte di Pietà o dalla  Zisa e dal suo parco Normanno. Letizia fotografa secondo l’esempio di Henri  Cartier-Bresson ma anche di Robert  Mappelthorpe i volti, i luoghi, la folla nelle piazze, dietro i funerali, le  manifestazioni dei cittadini per i diritti, il volto povero, ma ricco di  fatalismo e di speranza della gente comune, di una Sicilia povera e contadina  che cerca di rinnovarsi. 
  
  Sono sempre rigorose fotografie in bianco e nero perché “Il Bianco e Nero mi è stato essenziale, non avrei mai potuto lasciarlo”.  Nei suoi scatti ci sono sentimenti di vitalità e anche tragici, ma sempre colti  con pudore, mantenendo rispetto per il soggetto fotografico, una distanza che  permette di “non essere travolti dal  dolore e restare “testimoni”.
  
  Quotidianità soprattutto delle donne e dei bambini, maternità miserabili e  ritratti di bambine ormai divenuti iconici per la loro intensità e ricerca di  libertà. Foto delle prostitute accanto a quelle delle madri e delle donne quotidianamente  intente alle loro occupazioni.
  
  La mostra milanese espone oltre agli scatti “ufficiali” già pubblicate dai  giornali e divenuti famosi, anche immagini d’archivio della Battaglia stampate  per la prima volta in occasione della mostra e provenienti dalle copiose serie  di negativi che furono scattati nella stessa occasione: ad esempio la “Bambina  col pallone” che fece il giro del mondo è esposta qui accanto ad altre foto  inedite che ritraggono la stessa bambina mentre qualche minuto prima giocava con  altri bambini. Si genera così “a ritroso” un gioco di approfondimenti  progressivi che aggiunge particolari ai luoghi e ai volti, dettagli capaci di  aumentare la percezione delle atmosfere della città e delle situazioni  intercettate dall’occhio della fotografa, quasi una sequenza cinematografica  che coglie persone e situazioni dilatandole dinamicamente nello spazio e nel  tempo.
  
  “Io non sono stata una femminista - precisa  Letizia - anche se vivevo e lavoravo in  una società maschilista. Per molto tempo ho procrastinato la mia libertà,  perché sentivo la mia responsabilità, il mio dovere di amare la famiglia a cui  ero legata. Certo la mia libertà e autocostruzione l’ho trovata solo nella  Fotografia”.
  
  E ancora “Io non ho mai ritratto degli  uomini: nelle mie foto gli uomini sono sempre ripresi o morti ammazzati, o  arrestati, o in tribunale; sento di avere invece avuto un afflato e una  complicità con le donne, con quelle madri e figlie che diventavano nella mia  fotografia protagoniste e simbolo in nome del Sud, fra conservazione e  vitalità, tradizione e allettamento di nuove modernità”. 
  
  Sulla sua scelta di essere una fotografa sociale e umanista dice Letizia  Battaglia: “La Palermo bene non mi  interessava, la Palermo che amo è quella che puzza: quella del Centro storico  che puzza splendidamente nella sua potente decadenza” “C’è una  lotta nel presente di questa nostra città, che  continuamente tenta di rialzarsi, una lotta che dura da molti anni, forse  taciuta, che molti non amano e di cui voi forse siete poco consapevoli: la  nostra bellissima vita molta gente la vive lottando... 
  
    La politica per decenni ha preteso che noi fossimo solo un bacino elettorale.  La Mafia si occupava di portare i voti a Roma. Ma si tratta di una realtà non  voluta da noi, e come potevamo reagire nel momento in cui un Potere politico  voleva quello soltanto? Però è anche vero che la Sicilia ha sempre voluto  essere dominata e non vuole un’autonomia mentale e rifiuta il senso di  responsabilità: preferisce le scorciatoie facili alle strade lunghe della  autocostruzione. Ma nella modernità sono atteggiamenti che non si possono più  accettare. É modernità essere responsabili, disciplinati, attenti. É autonomia  mentale”.
  
  Leoluca Orlando, compagno di tante battaglie per Palermo insieme a  Letizia ha detto “Le sue foto si fanno  memoria, impegno per la memoria. Etica ed estetica trovano una sintesi nelle  sue fotografie: i suoi ritratti di Pasolini, Guttuso, o le situazioni di marginalità  quotidiana colte quasi “en passant” dentro il cuore di Palermo ci interrogano  su quanto manca ancora, sulla nostra inadempienza, su quanto dobbiamo  recuperare continuamente perchè non si riaffaccino sulle nostre strade violenze  arcaiche e nuove marginalità”. 
  
  Guardare una foto di Letizia Battaglia e come restare a casa  quando fuori nevica: il paesaggio ghiacciato non ci appartiene, ma resta reale,  ed è capace attraverso gli occhi di farci sentire tutto quel gelo… Talvolta, attraverso lo sguardo  di Letizia è la nostra infanzia che ci guarda, uno sguardo sui paesaggi della  nostra infanzia, della nostra memoria e sulla memoria della nostra cultura.
  
  “Io fotografo oggi senza la disperazione  di prima… Non ci serve il dramma fuori, la potenza del racconto è “nella testa  del fotografo”: e allora continuiamo a cercare la felicità e il desiderio o  l’indignazione come hanno fatto Diane Arbus o Lee Friedlander in una sola  strada di New York. Ma anche la documentarista americana Dorothea Lang è tra i  miei maestri, e pure Lisette Model e Margaret Bourke-White. Da loro ho imparato  che è nella tua testa la forza e la voglia di testimoniare”.
  Ma l’impegno non è solo con la fotografia: nel 1979 Letizia è cofondatrice del  Centro di Documentazione "Giuseppe  Impastato" e a cavallo degli  anni '80 e primi anni '90 viene eletta consigliera comunale con i Verdi, e poi  assessore comunale a Palermo con la giunta Orlando. Terminato l’incarico,  lavora come consulente esterna e volontaria per il carcere. Nel 1991 è eletta deputata e vice  presidente della Commissione Cultura all' Assemblea Regionale Siciliana con La Rete. 
  Dopo le esperienze politiche come consigliera regionale nel Parlamento  Siciliano oggi Letizia Battaglia - vivace signora ottantaquattrenne dal  caschetto rosa anticonformista - continua oggi il suo impegno per la città con  il Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, un sogno a cui Letizia ha  dedicato passione ed energie nell’ultimo decennio e che oggi, dopo anni di  attese, trattative e dibattiti con la Pubblica Amministrazione è diventato  realtà: all’interno  dei Cantieri Culturali alla Zisa, uno spazio di 600 metri quadrati è stato  riconvertito a centro studi e agorà espositiva per mostre e workshop  internazionali di fotografia grazie al progetto che l’architetta Antonietta  Iolanda Lima ha donato all’amministrazione comunale. 
Ricorda Letizia Battaglia "Nel 1978 io e Franco Zecchin aprimmo una galleria fotografica in via Quintino Sella, uno spazio piccolo, ma veniva molta gente e la Magnum ci faceva fare delle mostre bellissime. E facemmo l'associazione Laboratorio If, che stava per Informazione fotografica, ma anche come il "se" inglese, e soprattutto era un richiamo al film di Lindsay Anderson sulla ribellione alla violenza. Ecco, c'era una certa ribellione anche in noi.”
Io ho sempre amato lavorare con gli altri: con  le donne, con i matti, con il teatro, con la politica. Allora sei anni fa andai  a chiedere uno spazio a Leoluca Orlando per potere fare grandi cose a Palermo,  perché siamo intelligenti, non dobbiamo essere i cafoni d'Europa. Abbiamo  bisogno di esprimere i nostri talenti e di farlo al meglio. Il giorno dopo che  sono andata da Orlando, altri sono andati da lui a chiedere: “Picchì idda?”. 
  
  "Perché proprio lei? Perché darle  uno spazio? Si pensava che cercassi uno spazio per mettere in mostra le mie  foto, ma qui non ne vedrete neanche una. L'ambizione è vedere crescere gli  altri, scoprire talenti e coltivarli”. 
  
  La Battaglia ha risposto artisticamente alla provocazione delle  malelingue palermitane facendosi realizzare dall’amico Riccardo Gueci un neon  rosso con la scritta “picchì idda?” che campeggia fuori dal suo studio attuale.
  
  “Io considero il Centro come  una piccola “cattedrale”: è meraviglioso, sembra di essere a Berlino, Tokyo o  New York. E sapere che questa cattedrale si trovi a Palermo mi rende felice”. Il Centro di Fotografia oggi ospita anche un archivio fotografico della città:  oltre 150 i fotografi siciliani e italiani hanno donato un loro scatto che  immortala Palermo, la sua storia e i suoi abitanti.
  
  Quest’anno Letizia Battaglia è stata anche la protagonista del film  documentario “Shooting the Mafia” realizzato dalla documentarista  italo-irlandese Kim Longinotto, che racconta la prima fotoreporter italiana a  Palermo dagli anni di documentarista dei morti di mafia all’impegno politico  per l’ambiente e per le donne. E Biografilm Festival 2019 le ha tributato il  suo premio Celebration of Lives Award 2019. 
Si veda:
  https://www.palazzorealemilano.it/mostre/storie-di-strada
 
			 
													  
							 
			 		 
		   
 
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                                                                     
                         
                                                                 
                        