Dopo la missione di evacuazione dell’OLP, fino al collasso della Forza Multinazionale, perché l’Italia sopravvisse alla tempesta mentre Stati Uniti e Francia furono travolti? Nell’agosto del 1982 Beirut Ovest usciva distrutta da uno dei più duri assedi del secondo Novecento. L’OLP, sotto la pressione militare israeliana, accettava il piano di esfiltrazione mediato dall’inviato statunitense Philip Habib: i combattenti palestinesi sarebbero stati evacuati via mare verso Tunisia, Yemen e Algeria. Per garantire l’operazione nacque una Forza Multinazionale di pace (MNF) composta da Stati Uniti, Francia e Italia, priva però di mandato ONU a causa del veto sovietico.
In Italia l’operazione venne presentata come un evento storico: per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale soldati italiani tornavano a operare all’estero, non come forza di conquista ma come presidio di pace. Fu costruita una narrazione rassicurante per gli italiani, si disse che le missioni italiane erano sempre neutrali, sempre umanitarie, sempre equidistanti. Una rappresentazione destinata a scontrarsi brutalmente con la realtà libanese.
Tra il 21 e il 25 agosto 1982 sbarcarono a Beirut i primi reparti MNF. Gli Stati Uniti impiegarono circa 800 marines della 32nd Marine Amphibious Unit; la Francia schierò circa 1.200 uomini, tra paracadutisti e Legione Straniera; l’Italia portò rapidamente il proprio contingente a 2.300 militari, con i paracadutisti della Folgore come nucleo operativo ed i Carabinieri “Tuscania” per sicurezza, ordine pubblico e collegamento con le autorità locali.
La missione, battezzata Operazione “Libano 1”, funzionò. Il 1° settembre 1982 l’evacuazione dell’OLP era completata. Sul piano formale, la MNF poteva definirsi un successo. Ma dietro questa apparente stabilizzazione restavano intatti tutti i fattori di escalation militare. Presto il combinato disposto dell’occupazione israeliana, la frattura confessionale (sciiti, sunniti, drusi e cristiano-maroniti) e il ruolo decisivo della Siria favorì la radicalizzazione sciita.
L’Italia si ritirò tra il 10 e il 12 settembre. Stati Uniti e Francia, invece, decisero di restare. Una scelta che già indicava come la MNF stesse rapidamente mutando natura: da forza tecnica di evacuazione a strumento politico-strategico per gli interessi statunitensi e francesi, in cui l’Italia si trovò incastrata e riuscì a fatica ad uscirne col minimo danno.
Il 14 settembre 1982 un attentato uccise il presidente eletto Bashir Gemayel, facendo saltare ogni equilibrio. Israele occupò immediatamente Beirut Ovest. Il giorno seguente le milizie falangiste entrarono nei campi di Sabra e Shatila, massacrando centinaia di civili palestinesi sotto controllo israeliano. Poterono farlo grazie alla complicità del capo dell’IDF Ariel Sharon. Da quel momento la neutralità della MNF cessò di essere credibile. L’Italia, travolta dalle reazioni politiche interne e internazionali, decise di rientrare nel dispositivo con la MNF II, pur senza copertura ONU. Il 24 settembre 1982 iniziava una seconda missione, totalmente diversa dalla prima: non più evacuazione, ma interposizione armata dentro una guerra civile in piena accelerazione.
Il contingente italiano, ora comandato dal generale Franco Angioni, si schierò nei quartieri meridionali di Beirut e nei campi profughi di Sabra, Shatila e Burj el-Barajneh. L’obiettivo italiano era chiaro: proteggere i civili, mantenere il controllo del territorio, evitare a ogni costo un coinvolgimento diretto nella dinamica militare del conflitto.
Qui emerse la differenza profonda con gli alleati americani e francesi. Gli Stati Uniti puntavano a consolidare l’assetto filo-israeliano e a contenere Siria e gli sciiti. La Francia appoggiava senza ambiguità il fronte cristiano-maronita, legato storicamente a Parigi sin dai tempi del mandato. L’Italia, invece, cercava una neutralità armata, fondata sulla mediazione, sui rapporti personali con le leadership locali, sull’uso minimo della forza.
Questa impostazione fu compresa perfettamente anche dagli attori locali. L’11 novembre 1982 una gigantesca autobomba colpì il comando israeliano a Tiro: era la prima azione suicida attribuita a quello che sarebbe diventato Hezbollah. La guerra stava entrando in una nuova fase ideologico-religiosa. Nel 1983 la missione cambiò definitivamente volto. Il 15 marzo una pattuglia del Battaglione San Marco fu attaccata nei pressi di Sabra con RPG e armi leggere. Quattro feriti, due gravi. La risposta italiana fu immediata: una sortita notturna del 9° Col Moschin, guidata personalmente da Angioni, portò a uno scontro violentissimo. Tre incursori feriti. Il 22 marzo morì per le ferite il marò Filippo Montesi, unico caduto italiano dell’intera missione.
Un mese dopo, il 18 aprile, un camion-bomba devastò l’ambasciata USA a Beirut Ovest: 63 morti. Da quel momento la MNF venne percepita apertamente come forza occupante dai gruppi sciiti radicali. Nell’estate 1983 si registrò l’escalation. L’Italia schierò unità navali d’appoggio al largo per deterrenza, proseguendo i pattugliamenti, le scorte armate e le interposizioni tra milizie sciite e palestinesi. Il 22 settembre un colpo di artiglieria drusa distrusse un deposito della Folgore, senza vittime solo perché c’era stata un’evacuazione tempestiva; si sospetta un intervento dell’intelligence italiano, con aiuti da parte di poteri locali.
Il 23 ottobre 1983 avvennero le stragi che cambiarono tutto. Gli attentati avvennero con camion-bomba che distrussero le basi americane e francesi. Alle 06:22 un camion-bomba carico con circa 5–6 tonnellate di esplosivo sfondò l’ingresso del compound dei Marines, causando 241 morti. Questo attentato è fino ad oggi la giornata più sanguinosa per le forze armate USA dalla guerra del Vietnam.
Alle 06:26 si ebbe l’attacco alla base francese. L’esplosione provocò il collasso immediato dell’intero stabile, seppellendo i paracadutisti francesi. Le vittime furono 58. L’attentato fu rivendicato dalla “Islamic Jihad”, segnò la sconfitta politica e militare della Forza Multinazionale. La neutralità era definitivamente morta. Gli Stati Uniti risposero con bombardamenti navali e aerei contro drusi e sciiti, trasformandosi apertamente in parte attiva del conflitto.
Il settore italiano non fu colpito. La dispersione delle postazioni, i rapporti locali costruiti negli anni e l’assenza di un profilo offensivo salvarono probabilmente molte vite italiane. Tra dicembre 1983 e marzo 1984 la MNF si dissolse. Il piccolo contingente britannico lasciò a gennaio. I marines USA ripiegarono sulle navi. La Francia avviò il disimpegno.
L’11 febbraio 1984 iniziò l’evacuazione dei civili italiani verso Cipro; il 6 marzo rientrò l’ultima unità ITALCON. La missione si chiudeva con questo bilancio: 1 caduto; circa 75 feriti; migliaia di civili assistiti; e un importante capitale morale di prestigio umanitario per l’Italia nel mondo arabo.
La missione italiana in Libano dimostra una verità spesso rimossa: non esistono missioni “solo di pace” quando si opera dentro una guerra civile geopoliticamente contesa, ci si diventa parte del conflitto, lo si voglia o no. L’Italia riuscì a limitare i danni perché adottò una dottrina informale fondata su mediazione, continuità di comando, uso minimo della forza e conoscenza del terreno umano prima che militare. Gli Stati Uniti e la Francia scelsero invece la strada dell’intervento politico-militare diretto. Il risultato fu la catastrofe del 23 ottobre 1983.
Il Libano del 1982–1984 resta così uno dei casi più istruttivi della Guerra Fredda periferica: una missione nata per evacuare l’OLP si trasformò in laboratorio del terrorismo suicida, della guerra asimmetrica e del declino della presenza occidentale nella regione.
Bibliografia
ISTITUTO STORICO USMC, U.S. Marines in Lebanon, 1982–1984, History and Museums Division, Washington. (marines.mil)
Bastian Matteo Scianna, “A Blueprint for Successful Peacekeeping? The Italians in Beirut (Lebanon), 1982–1984”, International Journal, 2019. (Taylor & Francis Online)
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Assassination of Bachir Gemayel, ricostruzioni e timeline. (Wikipedia)
1983 Beirut Barracks Bombings, dossier e conseguenze strategiche. (Wikipedia)
Multinational Force Beirut Timeline (database cronologico). (Multi National Force Beirut 1982 to 1984)
