Sul socialismo

Per evitare di discettare su ricette per l’osteria dell’avvenire cerchiamo di capire qualcosa del nostro obiettivo di medio periodo, il socialismo, a partire dalla critica alle concezioni dell’odierno socialismo utopista. A questo scopo centrale è la categoria di socialismo di Stato, per le società arretrate dove si è affermata la rivoluzione, come necessaria fase di transizione dal capitalismo al socialismo.


Sul socialismo

Dopo decenni in cui era stato steso dagli stessi diretti interessati un velo pietoso su che cosa sarà la società socialista, dinanzi al sostanziale fallimento dei tentativi di realizzarla e di fronte ai partiti socialisti che, in particolare nei paesi a capitalismo avanzato, si presentano come più affidabili gestori politici di misure economiche ordoliberiste, il rinascente interesse a indagare sulla società socialista è certamente un segnale incoraggiante. In primo luogo perché si tratta della ragione sociale di socialisti e comunisti, in secondo luogo in quanto dinanzi a crisi di sovraproduzione sempre più frequenti, lunghe e devastanti, la società socialista è l’unica reale alternativa al progressivo e inesorabile sprofondare delle società liberali nel bonapartismo regressivo, cioè in quello che potrebbe essere definito, semplificando, il fascismo del ventunesimo secolo.

Certo non sono mancati a livello internazionale, dopo l’eutanasia del blocco sovietico, tentativi di rilanciare, ripensandolo, il socialismo. Per citare gli esperimenti più significativi di teorizzare e di provare al contempo a realizzarlo, occorre ricordare il socialismo del XXI secolo lanciato da Chavez alla guida della Repubblica bolivariana di Venezuela e il socialismo con caratteristiche cinesi. Un po’ per la indubbia battuta di arresto del primo modello, sempre più il secondo è tornato a essere al centro dell’attenzione e della riflessione in particolare, paradossalmente, nei paesi approdati alla fase senile del capitalismo. Certo non mancano critiche generalmente demolitrici di tale modello, in particolare nella sinistra comunista, ma non può che colpire come oggi persino rivoluzionari non solo guardino con ammirazione a quell’esperimento, ma ci si ispirino nel loro tentativo di ripensare la società socialista del terzo millennio.

D’altra parte, in tutto ciò ci sono anche degli aspetti involontariamente paradossali, come il dato di fatto che proprio un esperimento che teorizza il non volere essere un modello – anche perché nelle vie nazionali al socialismo non ha molto senso parlare di modelli, dal momento che ognuno deve cercare la propria strada – ha finito con il divenirlo. In modo ancora più paradossale ciò è avvenuto proprio nei paesi che vivono la fase senescente del capitalismo, in quanto tali necessariamente distanti da plurimi punti di vista dal socialismo con caratteristiche cinesi.

Altrettanto paradossale non può che apparire, in un’ottica marxiana, speculare sulle ricette dell’osteria dell’avvenire, dal momento che tutti tentativi di costruire il socialismo in occidente sono abortiti. Solo dopo la conquista del potere sarà possibile realmente determinare che tipo di società socialista o di transizione attraverso il capitalismo di Stato costruire nelle inedite condizioni storico-politiche ed economiche che si saranno venute delineando.

D’altra parte, lo stesso Marx della maturità riesce a superare la necessaria reticenza dello scienziato nel prevedere un futuro non prossimo solo quando non riesce proprio a evitare di correggere le concezioni che ne avevano elaborato i social-democratici. Da tale critica se ne deduce, in primo luogo, che il socialismo non può essere, come poi è stato in diversi paesi governati dai comunisti, una socializzazione della miseria. Si tratta di un errore che accomuna la più radicale forma di socialismo reale, come quella albanese, con le concezioni keynesiane in senso lato, che ritengono essenziale incidere su una più equa distribuzione della ricchezza sociale. 

Al contrario occorre mirare all’affermazione di un modo di produzione che non potrà che comportare un inedito sviluppo delle forze produttive. Si dovranno liberare le potenzialità economiche da rapporti di produzione e proprietà che, dopo aver favorito l’apice del loro sviluppo, sembrano tendere inesorabilmente a ostacolarne l’ulteriore implementazione. 

Ancora più paradossale appare il fatto che proprio nel marxismo occidentale, non di sinistra, tende oggi a prevalere la posizione, teorizzata apertamente dal solo Losurdo, che la transizione al socialismo è tutto, mentre l’orizzonte comunista è una nefasta utopia irrealizzabile, se non addirittura distopica. Paradossale nella misura in cui proprio nel marxismo occidentale, non di centro destra, aveva prevalso l’utopia, questa sì di ascendenza anarcoide, che occorresse, per evitare le tragedie del socialismo reale, passare direttamente alla costruzione del comunismo. 

Tornando ai giorni nostri più che fantasticare sulla futuribile società socialista sarebbe decisamente più utile interrogarsi su come declinare oggi la fatidica questione della rivoluzione in occidente, dopo gli indubbi insuccessi storici. Anche i tentativi di ricostruire storicamente lo sviluppo del concetto di società socialista, dando risalto in particolare ai tentativi di realizzarlo realmente, finiscono per cadere inavvertitamente, nell’equivoco del presunto socialismo reale. 

Anche in seguoto i comunisti hanno preso il potere in paesi nei quali era di fatto impossibile sviluppare una società socialista, dal momento che non solo il livello delle forze produttive era estremamente basso, ma anche il capitale umano partiva da condizioni troppo arretrate, in cui non era di fatto praticabile una dittatura del proletariato, dal momento che quest’ultimo non era in massima parte il proletariato moderno, essendo per la grande maggioranza costituito da lavoratori della terra analfabeti. Si è arrivati sempre più spesso per confondere quella transizione più o meno necessaria dal capitalismo al socialismo, mediante forme di capitalismo di Stato, con l’unico socialismo storicamente realizzabile. 

Del resto realizzare un capitalismo di Stato in Urss, vista la mancata espansione del capitalismo in occidente, sarebbe stato secondo lo stesso Lenin un grande risultato, come sottolineato da Vladimiro Giacché. Storicamente, dopo la morte di Lenin nella direzione del capitalismo di Stato hanno spinto principalmente gli esponenti di quella che è stata definita l’ala destra del Pcus, guidata da Bucharin, che era stata fondamentalmente maggioritaria al di fuori dell’Urss.

Nella Repubblica popolare cinese è stata portata avanti, anche se non esplicitamente, da Deng e da tutti i suoi successori, esponenti dell’ala destra del Partito. In modo non esplicito tali posizioni sono state più recentemente sostenute a livello teorico da Domenico Losurdo. Mentre storicamente sono state sviluppate polemicamente dalla sinistra radicale comunista, definibile, semplificando, bordighista.

Il concetto di capitalismo di Stato più che in Marx ha le sue fondamenta teoriche nell’ultimo Hegel. Nei Lineamenti di filosofia del diritto si sostiene la necessità che pur non reprimendo, in modo totalitario la società civile, occorra darle da parte dello Stato un indirizzo politico, tramite il governo dei funzionari pubblici.

Perciò il socialismo non potrà essere una semplice trasposizione del modello cinese degli ultimi decenni. Tanto più che nella Repubblica popolare cinese la direzione del partito comunista, dopo la sconfitta della sinistra interna, ha finito per lo scambiare il mezzo del capitalismo di Stato, con il fine della costruzione del socialismo. Senza contare che, anche nella migliore delle ipotesi in cui si intenda e si riesca a realizzare un capitalismo di Stato, manca del tutto nel gruppo dirigente cinese la convinzione leniniana per cui occorre battersi per far sì che questa transizione intermedia duri il minor tempo possibile. Tanto più che la leadership cinese, mirando a costruire al massimo un capitalismo di Stato, tende a considerare nel proprio paese la lotta di classe il residuo di un passato ormai storicamente superato. Al contrario proprio in questa fase di transizione al socialismo, la lotta di classe tende inevitabilmente a divenire più dura e decisiva, dal momento che la borghesia si rinforza sensibilmente.

Inoltre Lenin definisce il socialismo l'elettrificazione più i soviet, mentre nell'età staliniana il socialismo è divenuto esclusivamente l'elettrificazione, cioè lo sviluppo delle forze produttive. Questa mi pare anche l'impostazione della Cina negli ultimi decenni.

La nostra situazione è completamente diversa da quella cinese e per suscitare l’interesse delle giovani generazioni occidentali, le sole che potranno costruire il socialismo, la questione dei soviet, cioè della "democrazia" socialista, non potrà che essere decisiva.

Da questo punto di vista sarebbe necessario studiare la teorizzazione dei consigli di fabbrica, come cellule della democrazia socialista, ne "L'ordine nuovo" e, più in generale, nella sinistra comunista di ascendenza, semplificando, luxemburghiana. Andrebbero poi analizzati i tentativi di rilanciare i consigli nelle esperienze storiche del “socialismo reale”. Interessanti sono anche, a questo proposito, le forme di cooperativismo nei paesi in cui è avvenuta la rivoluzione, in particolare nella Federazione socialista di Jugoslavia.

19/12/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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