Lukács e il concetto di positività nel giovane Hegel

La generalizzazione concettuale non implica affatto necessariamente – come ritiene la logica formale – un impoverimento sempre maggiore di contenuti, in quanto la vera generalizzazione filosofica è – per la ricchezza delle determinazioni tolte in essa – tanto più ricca e più concreta, quanto più alto è il grado di universalità in cui si trova.


Lukács e il concetto di positività nel giovane Hegel

L’ultimo lavoro di Hegel a Francoforte è il Rifacimento della Positività della religione cristiana, iniziato nel settembre del 1800. In esso è espresso chiaramente l’abbandono definitivo della chiave di lettura adottata a Berna: la non consonanza di una religione storica con la pura morale razionale non viene più condannata sulla base del criterio astratto di “natura umana”, ma è considerata da Hegel come un evento necessario, affinché una qualsiasi religione possa avere una effettiva esistenza storica [1].

Nel suo giudizio György Lukács evidenzia la forte storicizzazione che il concetto di positività subisce in questo testo: il problema che adesso interessa Hegel non è definire la positività in quanto tale, ma piuttosto indagare storicamente le origini e le modalità che trasformano una religione in religione positiva. Con questa nuova impostazione Hegel entra in polemica con le concezioni della religione di matrice illuministica, in particolare prende posizione contro la netta antitesi, stabilita dalla filosofia illuministica, tra religione naturale e religioni positive. Al concetto astratto e antistorico di “ragione umana” – che sta a fondamento di detta antitesi –, Hegel sostituisce il concetto di “ideale”, che per Lukács è una prima formulazione di ciò che egli più tardi designerà con il termine “concetto concreto”. Commentando un passo del Rifacimento [2], così si esprime Lukács: “affiora qui per la prima volta in lui il pensiero che la generalizzazione concettuale non implica affatto necessariamente – come ritiene la logica formale – un impoverimento sempre maggiore di contenuti, ma che anzi la vera generalizzazione filosofica è – per la ricchezza delle determinazioni tolte in essa – tanto più ricca e più concreta, quanto più alto è il grado di universalità a cui si trova” [3].

Risulta evidente che qui Hegel ha proseguito lungo la via intrapresa con il confronto con la morale kantiana: l’accoglimento delle determinazioni particolari e della molteplicità dei fenomeni è una tappa significativa verso la costruzione di una metodologia che riflette teoricamente “la ricchezza e la mobilità delle determinazioni reali nella realtà oggettiva” [4].

La profonda accentuazione del carattere fondamentalmente storico della positività spinge Hegel a giustificare senz’altro una religione che dovesse obbligare l’individuo all’obbedienza passiva e alla sottomissione incondizionata a regole stabilite, nel caso che la situazione storica fosse tale da richiedere questo tipo di religione; essa diventerebbe effettivamente positiva, soltanto allorquando persistesse nella sua inadeguatezza di fronte ai nuovi bisogni sorti col mutamento storico: “che quindi una religione appaia come positiva, è il segno di un rivolgimento imminente. Hegel ha fortemente storicizzato il concetto di positività, ma si trova anche qui un radicale contrasto con quel romanticismo che vedeva, nella semplice esistenza di un’istituzione, nella sua positività, una ragione per difenderla e per dichiararla sacra e inviolabile (come più tardi la scuola storica del diritto). Hegel, al contrario, considera la positività come un segno del fatto che l’evoluzione storica è andata al di là di una religione, che essa merita di essere distrutta dalla storia e deve necessariamente essere distrutta” [5].

Note:

[1] Il passo citato parzialmente da Lukács, a questo proposito, è il seguente: “il concetto universale della natura umana consente infinite modificazioni; e non c’è bisogno di richiamarsi all’esperienza, ma si può dimostrare rigorosamente che le modificazioni sono necessarie e che la natura umana non è mai stata presente come pura; è allora sufficiente stabilire soltanto cosa è la pura natura umana? Quest’espressione non deve contenere in sé nient’altro che la rispondenza al concetto universale. Ma la natura vivente è eternamente altro che il suo concetto, per cui quello che per il concetto era semplice modificazione, pura accidentalità, qualcosa di superfluo, diviene necessario, vivente, forse ciò che unicamente è naturale e bello” Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Scritti teologici giovanili, traduz. di Vaccaro, N. e Mirri, E., Guida editori, Napoli 1977, pp. 220-21.

[2] Il passo riportato da Lukács è il seguente: “un ideale della natura umana, è qualcosa di interamente diverso dai concetti universali sulla destinazione dell’uomo e sul rapporto dell’uomo con Dio. L’ideale ammette benissimo particolarità, determinatezza, richiede anzi peculiari azioni religiose, sentimenti, usi, un sovrappiù, una folla di sovrappiù, il che alla fioca luce dei concetti universali appare come ghiaccio e pietra” Hegel, G.W.F., Scritti teologici…, op. cit., p. 222.

[3] Lukács, György, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft (1948), Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di Solmi, R., Einaudi, Torino 1975, pp. 324-25.

[4] Ivi, p. 325.

[5] Ivi, p. 331.

24/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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