Marx e la tendenza delle società borghesi a forme di cesarismo regressivo

L’inevitabile crisi economica e sociale comporta una crisi a livello sovrastrutturale della capacità di egemonia che rende necessario il passaggio a forme di bonapartismo regressivo.


Marx e la tendenza delle società borghesi a forme di cesarismo regressivo Credits: https://www.lavocedellelotte.it/2019/04/27/cesarismo-e-bonapartismo-da-marx-a-gramsci/

In fasi di crisi, in cui tendono a venir meno i margini di profitto necessari a quella politica riformista volta a rafforzare la capacità di egemonia della classe dominante, la borghesia per rafforzare il suo potere sociale tende a implementare la struttura burocratica e parassitaria del proprio potere politico, campo d’azione degli avventurieri della classe dirigente e della spartizione consociativa tra i diversi settori delle classi possidenti delle cariche e prebende pubbliche. I piccoli proprietari – in particolare i contadini – che stentano sempre più a sopravvivere sotto la pressione del grande capitale, forniscono una solida base a una “burocrazia onnipotente e innumerevole” [1]. Si tratta di una elemosina onorevole che il grande capitale offre al piccolo proprietario – che, nel frattempo, tende progressivamente a proletarizzare – per mantenerlo al laccio della propria egemonia. Nella concezione materialistica e realistica dello Stato elaborata da Marx ed Engels, dunque, trovano posto non i membri di quella classe generale, come si era illuso idealisticamente Hegel, uomini votati agli ideali universali di cittadinanza e destinati a ricondurre, per quanto possibile, all’ordine l’insocievole socievolezza della società civile, ma rappresenta una struttura parassitaria, che si contrappone, non fosse altro con la sua inerzia, all’esplicarsi della sovranità popolare per quanto estraniata nella sua delega ai parlamentari, che dovrebbero controllare il potere legislativo [2]. Più in generale con lo sviluppo dello Stato nelle società a capitalismo avanzato si genera un ceto improduttivo di burocrati che tende a riprodursi su scala allargata, favorendo il rafforzarsi degli apparati non elettivi dello Stato a danno delle assemblee legislative e che aumenta il deficit di bilancio e, di conseguenza, la dipendenza del ceto politico dirigente dal grande capitale finanziario che controlla il grosso del debito pubblico.

D’altra parte, pur portando avanti nella sua fase rivoluzionaria una lotta volta a liberare la società civile da ogni condizionamento politico, in realtà una volta al potere la borghesia tende a sviluppare le strutture statuali a un livello talmente elevato da apparire un Moloch di fronte alla società. In tali frangenti, osserva Marx, lo Stato “non sarà altro che una mutua assicurazione della classe borghese nei confronti sia dei suoi singoli membri, sia della classe sfruttata, un’assicurazione destinata a diventare sempre più dispendiosa e verosimilmente sempre più a se stante rispetto alla società borghese, perché sempre più difficile sarà tenere a bada la classe degli sfruttati” [3]. In tal modo, “questo potere esecutivo con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, con il suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un esercito di impiegati”, di militari, di apparati di sicurezza sempre più autonomi da ogni controllo parlamentare, ha la sua genesi nello Stato assolutista, ma tende a riprodursi su scala allargata in epoca borghese, fino a caratterizzarsi quale “spaventoso corpo parassitario che involge come un involucro il corpo della società” [4].

Pur nutrendo un notevole disprezzo per i contrasti fra le istituzioni dello Stato, per quelle che definisce beghe fra potere esecutivo e legislativo, le critiche di Marx sono sempre di senso opposto a quelle dei settori reazionari, che mirano al rafforzamento del potere esecutivo a discapito delle assemblee legislative. Marx vede, inoltre, nella superfetazione della burocrazia e nella supremazia del potere esecutivo sul potere legislativo dei tratti fondamentali dello Stato dei paesi a capitalismo avanzato in cui sempre più forte si avverte il peso della crisi. In tal modo la società borghese pone a sua difesa il fondamento della vecchia società, trasformando i boiardi feudali in boiardi di Stato, lo stuolo di valvassori e valvassini in un esercito di impiegati che forniscono l’armatura del potere statuale, “suddiviso e centralizzato come in un’officina” [5]. Ogni scopo comune è estraniato al corpo sociale in una Staatsmachinerie nei cui apparati burocratici il singolo cittadino non può riconoscersi.

Se il contenuto occulto della repubblica borghese è la preservazione del suo dominio di classe e la forma democratica è la più adeguata a tale contenuto, essa non è, tuttavia, necessaria alla sua sopravvivenza, anzi in determinate fasi può apparire alla borghesia funzionale alla salvaguardia dei propri interessi limitarla o addirittura sopprimerla. Sono le stesse classi dominanti, dunque, a porre progressivamente in discussione il fondamento costituzionale del loro potere politico ogniqualvolta ciò sia reso necessario alla salvaguardia degli assetti di proprietà. Dunque nel momento in cui il sistema politico, eretto dalla borghesia per dare veste universale al suo dominio sociale, entra in contraddizione con la funzione che gli è stata assegnata e la borghesia non è più in grado di controllare gli spiriti che ha suscitato per legittimare il proprio potere, essa non esita a voler reprimere il proprio figlio ribelle. Tale esigenza di rafforzare il dominio politico diretto tramite il rafforzamento del potere esecutivo sul legislativo, o aspirando apertamente a forme di governo sempre più autoritario si afferma nella borghesia anche al di là delle sue frange reazionarie ogni qualvolta il suo dominio sociale è posto in discussione dal rafforzarsi della lotta di classe. In tali frangenti gli “stessi ‘valorosi’ liberoscambisti – inglesi – rinomati per l’infaticabilità con cui denunciano l’interferenza governativa, questi apostoli della dottrina borghese del laissez faire, [..] guardano con aperta ammirazione agli Stati del continente, dove governi dispotici, che pure non permettono alla borghesia di governare, almeno impediscono ai lavoratori di opporre resistenza” [6].

Dunque, sebbene lo Stato rappresentativo sia certo la forma più compiuta del dominio sociale borghese, tale forma non è necessaria al suo preminente contenuto economico. Lo Stato, in effetti, nonostante le sue ramificazione burocratiche non è dotato d’una vita autonoma, organica, ma è una macchina burocratica del dominio borghese talmente ben oliata da poter essere diretta all’uopo anche da un mediocre avventuriero privo di scrupoli. In tali casi, come osserva acutamente Marx, “la sentimentale borghesia ha dovunque sacrificato la rivoluzione al suo dio, la Proprietà. La controrivoluzione ora ripudia questo dio” [7]. Il cesarismo, per quanto regressivo e violento, per mantenersi al potere di contro alle organizzazioni proletarie, ma anche, sebbene in modo meno aspro contrastando forze liberal-democratiche, necessita di una propria base di massa – reclutata tra piccola borghesia, ceti medi e sottoproletari – per costituire e mantenere la quale è costretta a sviluppare forme di rivoluzione passiva che implicano delle limitazioni degli stessi “sacri” diritti di proprietà. Inoltre il cesarismo regressivo fa ampio uso del populismo necessario a occultare con lo sciovinismo e la conseguente guerra fra poveri, il sedicente sovranismo e il rapporto diretto fra masse e leader l’ulteriore svuotamento, anche dal punto di vista formale, della sovranità popolare.

Il rafforzarsi delle tendenze autoritarie della borghesia, la sua crescente disponibilità a sfruttare ai propri scopi i residui dei ceti feudali, annidati nella proprietà terriera o rigenerati nella rendita finanziaria, per schiacciare senza i vincoli della repubblica democratica il porsi per sé del proletariato come classe, il suo costituirsi in partito politico, segna la fine della fase delle rivoluzioni passive. La base sociale di massa, il cui appoggio è indispensabile alle mire eversive dei settori più reazionari della grande borghesia, sono potenzialmente i ceti medi, la piccola borghesia e il sottoproletariato. Anche quando si oppongono al dominio politico dell’alta borghesia tale opposizione non ha carattere generalmente rivoluzionario, ma più spesso conservatore, se non addirittura reazionario. Essi vorrebbero arrestare lo sviluppo naturale della logica della proprietà privata capitalistica, senza metterne in discussione il fondamento. Per cui vorrebbero arrestare la ruota della storia o addirittura portarne indietro le lancette, idealizzando l’epoca dell’accumulazione primitiva in cui la concorrenza non ha ancora fatto posto al monopolio. Ceti medi e piccola borghesia possono mutare questa naturale ideologia conservativa o reazionaria unicamente se, in vista della loro inevitabile proletarizzazione, mettono avanti i loro futuri interessi di classe, riconoscendo come indifendibili i loro interessi presenti.

Dunque, nel momento in cui la borghesia non si sente più in grado di governare la crisi sociale e i lavoratori non sono ancora in grado di sostituirsi a essa, il dominio borghese tende ad abbandonare le vesti liberal-democratiche e a imporsi in forma aperta o attraverso una forma di cesarismo regressivo. Ciò consente, per altro di smentire le illusioni dei massimalisti – egemonizzati dal positivismo – in una teodicea storica; in mancanza delle condizioni soggettive la crisi oggettiva del sistema borghese non produce di per sé un suo superamento rivoluzionario, ma una regressione sul piano politico a un dominio sempre più violento e meno egemonico per conto del blocco sociale dominante, come dimostra il rafforzarsi in tali fasi di tendenze fasciste o bonapartiste regressive, per certi versi assimilabili.

Per Marx sarebbe sbagliato ingigantire la portata storica di questi avventurieri, ovvero di figure mediocri e grottesche quale quella, esemplarmente incarnata, da Luigi Bonaparte. Del resto Marx critica al contempo i rischi del bonapartismo regressivo e la prospettiva piccolo-borghese che vede nel passaggio dal dominio democratico al dominio autoritario non una necessità storica delle classi proprietarie, per mantenere il proprio dominio socio-economico, ma un evento mistico e irrazionale, imprevedibile. Con il duplice risultato negativo di spacciare per eccezione quella che è la regola, ovvero che il sistema politico è funzionale ai rapporti di forza reali fra le classi sociali e di trasformare in un prodigio la resistibile ascesa dei guitti di cui si serve il partito dell’ordine per mantenere intatti i propri privilegi sociali sempre più ingiusti, irrazionale e asociali. Marx mostra “invece, come in Francia la lotta di classe creò delle circostanze e una situazione che rendono possibile a un personaggio mediocre e grottesco [come Luigi Napoleone] di far la parte dell’eroe” [8].


Note:

[1] Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, tr. it. di P. Togliatti, Editori riuniti, Roma 1991, p. 149.
[2] Il populismo bonapartista è da sempre in grado di sfruttare le contraddizioni della società capitalista, a cominciare dalla sua pretesa di essere democratica, denunciando per i loro fini reazionari gli stessi limiti della democrazia rappresentativa. Come osserva Marx con un esempio calzante, anche se riferito alla sua epoca, “accanto ai partiti ufficiali e semiufficiali e accanto ai cartisti, si fa sentire in Inghilterra anche una cricca di ‘savi’ che sono altrettanto scontenti del governo e delle classi dominanti quanto dei cartisti. Che cosa vogliono i cartisti? Esclamano. Innalzare e allargare l’onnipotenza parlamentare trasformandola in potere popolare. Non spezzano il parlamentarismo, ma lo innalzano a una forma superiore. Occorre invece spezzare il sistema rappresentativo! Un savio d’Oriente, David Urquhart, è il capo di questa cricca. (…) Ma David è almeno coerente. David vuole riportare anche la moderna divisione del lavoro e concentrazione del capitale all’antico livello anglosassone o meglio ancora orientale. (…) Non è insipido come quei sublimi che separano le moderne forme statali dalla società moderna e vaneggiano di autonomia locale unita alla concentrazione dei capitali, di unicità dell’individuo combinata con la divisione del lavoro che è contraria all’individualità. David è un profeta rivolto all’indietro, anacronisticamente estasiato della Vecchia Inghilterra”. Karl Marx - Friedrich Engels, L’associazione per la riforma amministrativa, tr. it. di S. de Waal, in Id., Opere complete, 1855-1856, vol. XIV, Editori Riuniti, Roma 1978, pp. 239-41.
[3] Id., Opere complete, 1849 – 1851,a cura di A. Aiello, vol. X, p. 334.
[4] K. Marx, Il 18 brumaio… op cit., p. 140.
[5] Ibidem.
[6] K. Marx – F. Engels, Opere complete, marzo 1853  –  febbraio 1854, tr. it. di F. Codino, vol. XII, p. 137.
[7] Ivi, p. 39.
[8] Marx, Il 18 brumaio…, op. cit., p. 4.

17/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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