Società socialista e diritti umani

I diritti umani – pomposamente enunciati ma costantemente traditi, in quanto in contrasto con il privilegio vigente nei rapporti di produzione della società borghese – dovranno essere necessariamente realizzati nella società socialista


Società socialista e diritti umani Credits: https://glindifferenti.it/karl-marx-mio-padre/996/

Segue da “Marx, la rivoluzione e la transizione al socialismo

Il proletariato dotato di coscienza di classe, pur mirando al superamento delle divisioni nazionali, prodotte dalla società borghese, deve dapprima costituirsi in classe organizzata nazionalmente per poter prendere il potere e divenire classe universale, costituirsi in popolo-nazione. Come ben chiarisce Eustache Kouvélakis: “Marx non opponeva in maniera astratta la comunità nazionale alla solidarietà internazionalistica, giacché sapeva molto bene che le situazioni rivoluzionarie sono anzitutto nazionali (‘il proletariato di ogni paese deve, beninteso, farla finita anzitutto con la propria borghesia’) e che per raggiungere la vittoria il proletariato deve ‘erigersi esso stesso in nazione’, sempre considerando che ‘l’azione comune almeno nei paesi civili è una condizione della sua emancipazione’, per riprendere le formulazioni del Manifesto” [1]. Nella sua lotta sociale, quindi, il proletariato si costituirà in classe politica che mira, mediante il processo rivoluzionario, a porsi quale classe dominante. Il porsi del proletariato come classe dominante durante la transizione al socialismo gli dà il potere di procedere all’eliminazione violenta dei rapporti di produzione e proprietà che impediscono l’emancipazione sociale del genere umano. In tal modo, togliendo il dominio di classe presente nella società civile borghese, anche il dominio politico del proletariato perderà progressivamente la propria funzione. In altri termini, anche il potere politico inteso quale “potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra” perderà progressivamente la sua ragion d’essere. Il potere pubblico perderà la sua connotazione politica in quanto contrapposta alla società solo quando “le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati”.

Del, resto rispetto a tutto il portato storico del precedente modo di produzione borghese – Stato, proprietà privata e diritti umani – secondo la concezione dialettica che Karl Marx ha ereditato da Georg Wilhelm Friedrich Hegel non si determina mai una negazione astratta del passato, ma la sua negazione deve essere necessariamente determinata, ovvero deve sottendere il processo dialettico di Aufhebung, che consiste nel togliere ciò che è ormai storicamente superato e conservare gli elementi razionali funzionali anche alla costruzione della società futura. Non aver tenuto fede a questa linea di condotta, anche per il costante stato d’eccezione cui è stata costretta dall’aggressione imperialista, è fra i motivi principali della sconfitta del primo grande tentativo di transizione al socialismo nei paesi dell’est Europa [2]. Troppo spesso la necessaria critica ai limiti della libertà negativa e del diritto astratto borghese ne ha significato, sul piano pratico, una sua negazione semplice e non un suo inveramento, un compimento positivo. Come chiarisce a questo proposito Marx, la stessa negazione del diritto di proprietà privata non dovrà essere astratto, ma determinato: “il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali; toglie soltanto la facoltà di valersi di tale appropriazione per asservire lavoro altrui” [3].

Allo stesso modo, sarebbe da ingenui, a parere di Marx, ritenere che lo sviluppo storico possa passare attraverso una negazione semplice della libertà dei moderni, sulla base del mito di una eticità naturale come quella del mondo greco antico, in cui la libertà era prerogativa di una ristretta minoranza. Gli stessi ideali giusnaturalisti dei diritti umani non sono, dunque, da rigettare in quanto tali, ma sono da superare per l’elaborazione imperfetta che ricevono da parte della borghesia rivoluzionaria, che non può rinunciare al suo fondamento particolaristico di classe e, soprattutto per le applicazione che ricevono o meglio, che non ricevono, nel momento in cui la borghesia ha conquistato il potere e abbandona del tutto gli elementi universalistici con cui aveva, inconsapevolmente, ammantato nella lotta per il potere il proprio fine particolare. Così, ad esempio, se nella società capitalista ogni proclamazione di una fratellanza inter-classista è funzionale alla conservazione e all’occultamento dei rapporti di dominio del lavoro morto sul lavoro vivo, ciò non significa che Marx non rivendichi in pieno la necessità di appropriarsi della fratellanza fra membri della stessa classe dentro e fuori la stessa nazione, per contrastare l’affratellamento degli sfruttatori, sempre pronti a coalizzarsi, superando le stesse differenze nazionali, per reprimere ogni tentativo di emancipazione della classe operaia.

Perciò, gli stessi diritti umani, in particolare i droits du citoyenpomposamente enunciati ma costantemente traditi in quanto in contrasto con il privilegio vigente nei rapporti di produzione della società borghese – dovranno essere necessariamente realizzati nella società socialista. A tale scopo non può costituire un ostacolo la definizione di dittatura del proletariato che Marx ha dato al processo di transizione al socialismo. La connotazione di dittatura concerne il contenuto, ovvero la sostituzione del dominio politico di una minoranza sociale con quello della stragrande maggioranza, negli interessi della stragrande maggioranza della popolazione, e non la forma istituzionale di tale dominio, che anzi rappresenta la realizzazione della democrazia, nel senso etimologico del termine quale potere del demos, ovvero dei quartieri popolari (allora di Atene) di contro alle forze oligarchiche [4].

Dopo la conquista rivoluzionaria del potere politico, quindi, i diritti del cittadino e l’eguaglianza politica debbono cessare di essere un mero complemento dei droits de l’homme, incapaci di incidere sulle differenze reali della vita civile. Preso il controllo del potere politico, esso è trasformato dai rivoluzionari in uno strumento essenziale per sopprimere l’ineguaglianza sociale, violando la dualistica separazione fra politico e sociale della civiltà borghese moderna. Tuttavia il superamento dell’opposizione fra sfera politica e sociale-economica non può avvenire in modo unilaterale, con l’affermarsi di un elemento ai danni dell’altro. Si rischia, in caso contrario, di non poter venire fuori positivamente dalla spirale del Terrore, in cui il citoyen è costretto a negare costantemente il suo altro, ovvero l’homme, il diritto politico all’eguaglianza è portato a togliere il suo opposto, ossia la libertà dell’individuo. Il momento politico, il diritto del citoyen, l’eguaglianza deve, per poter togliere veramente in modo dialettico il proprio altro, riconoscervisi e rispettarlo nella sua alterità. La contraddizione fra Stato politico e società civile può togliersi in un nuovo fondamento solo se ognuno dei suoi opposti procederà progressivamente a togliere se stesso nella propria unilateralità, riconoscendo al contempo le ragione dell’altro.

Dunque il compimento dello Stato politico moderno, la piena realizzazione dei diritti di cittadinanza, coincidono così con il loro superamento, proprio come la libertà dell’individuo per realizzarsi deve, a sua volta, togliersi dalla sua forma originaria di arbitrio individuale.

Ciò è evidente già dal fatto che, per Marx, la nuova forma di governo dovrà rendere di dominio pubblico tutti i suoi atti, in modo da rendere immediatamente evidenti anche i suoi limiti; essa, quindi, non pretenderà più “l’infallibilità, attributo invalicabile di tutti i governi del vecchio stampo” [5], ma dovrà responsabilizzare nei suoi confronti gli organi di controllo dei produttori. Lo scopo finale di questa forma di autogoverno popolare è la progressiva soppressione della scissione fra le masse e il suo governo. In qualche modo il superamento della differenza fra dirigenti ed esecutori, fra intellettuali e masse – già sperimentata nel partito rivoluzionario – dovrà ora venir progressivamente estesa all’intera società. Solo all’interno di questo processo il ruolo direttivo del partito rivoluzionario come avanguardia delle masse potrà progressivamente essere tolto, nel momento che il suo concetto di intellettuale collettivo sarà pienamente realizzato nell’esistente. Solo allora diverrà reale l’astrazione politico-giuridica dell’autogoverno dei produttori sancita dalla Costituzione socialista.

I produttori associati dovranno, quindi, riprendere nelle loro mani tutti gli organi resisi autonomi dalla società nel vecchio Stato, ovvero per dirla con Marx: “gli organi puramente repressivi del vecchio potere governativo dovevano essere amputati, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione predominante sulla società stessa, e restituite agli agenti responsabili della società” [6]. In tal modo tutte le forze sociali assorbite da uno Stato parassita, “che si nutre alle spalle della società e ne intralcia i liberi movimenti” [7], saranno compiutamente restituite al corpo sociale.

La stessa dittatura del proletariato, dunque, dovrebbe costituirsi, secondo l’esempio della Comune di Parigi, non quale organismo parlamentare, ma di lavoro, in cui è superata l’opposizione fra potere esecutivo e legislativo. Gli organi dello Stato, i suoi funzionari, a partire dagli apparati di sicurezza, divengono responsabili non davanti a un governo politico, ma all’intera comunità, lavorano per un salario d’operai e sono in ogni momento revocabili, come tutti i funzionari, selezionati fra i produttori o comunque fra rappresentanti riconosciuti dei lavoratori. Le funzioni del governo centrale dovranno essere ridotte e subordinate al controllo dei produttori associati. Il suffragio universale non dovrà stabilire più, una volta ogni tot anni, i rapporti di forza fra i diversi settori della classe borghese, ma dovrà divenire funzionale alla selezione degli amministratori della società regolata, resi costantemente responsabili nei suoi confronti.

Segue nel numero 289 de “La città futura” on-line dal 27 giugno.

Note:

[1] E. Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in “Marxismo Oggi” 1, Milano 2005, p. 62.
[2] Su questa problematica rinviamo agli essenziali studi di Domenico Losurdo, a partire da Utopia e stato d’eccezione, Laboratorio politico, Napoli 1996.
[3] Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di P. Togliatti, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 501.
[4] Come osserva a ragione a questo proposito Eric Hobsbawm: “non risulta che Marx abbia mai usato il termine ‘dittatura’ per indicare una specifica forma istituzionale di governo, ma sempre solo per definire il contenuto, più che la forma assunta dal dominio di un gruppo o di una classe. A suo parere la ‘dittatura’ della borghesia poteva esistere indifferentemente con o senza il suffragio universale” E. J. Hobsbawm, Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo, in AA. VV., Storia del marxismo, vol. I, Einaudi, Torino 1978, p. 256.
[5] Id., La guerra civile in Francia, in Karl Marx - Friedrich Engels, Le opere, a cura di L. Gruppi, Ed. Riuniti, Roma 1971, p. 918.
[6] Ivi, pp. 909-910.
[56] Ivi, p. 911.

31/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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