Che unità?

Ricostruire l’unità dei comunisti e non di una sinistra senza identità.


Che unità? Credits: Wikipedia

La “Sinistra” è un contenitore categoriale. L’attore sociale ragiona per categorie che sono logiche semplificative volte al cosiddetto “risparmio energetico mentale”. In un’ epoca di spendig review psico intellettuali, non stupisce che la categoria politica di cui parliamo non sia affatto riempita di profilo identitario. Leggendo i giornali chiunque, ormai, può rientrare in questo contenitore che a poco a poco sembra assumere le sembianze di un buco nero dove tutto entra e tutto si perde. Del resto appartengono alla Sinistra la socialdemocrazia, il socialismo, il craxismo, il socialismo rivoluzionario ed il comunismo stesso. Tra le varie famiglie di questo articolato puzzle rari sono gli esempi di azione politica volta al superamento del Capitalismo.

Dentro questa indefinibile nebulosa si sviluppa la riflessione che appassiona le varie anime della sinistra italiana (e di qualche partito comunista) mosse dalla necessità di costruire l’unità della sinistra stessa.

Ma a cosa servirebbe questa unità? Per fare cosa? Concettualmente l’obiettivo è quello di “spostare più a sinistra” l’asse decisionale di future coalizioni sovente costruite con monoliti liberisti che, in un impari rapporto di forza, finiscono per rendere gli alleati invisibili e del tutto inconcludenti sulle principali questioni politiche di loro interesse. Lo abbiamo già sperimentato. Il famoso 20 ottobre di dieci anni fa, il PdCI ed il PRC chiamarono in piazza un milione e mezzo di compagni e lavoratori per “pungolare” il Governo (Prodi II) affinché estirpasse dall’agenda parlamentare l’approvazione del protocollo Damiano (di cui non si ricorda più nessuno). Ebbene, quei partiti comunisti ritennero di votare a favore di quel protocollo malgrado la voce del proprio popolo, o meglio, della propria classe sociale di riferimento. Ritengo che sia quello il frangente storico più emblematico nel quale fu evidente la perdita della ragione di vita di un partito comunista. Abdicando alla difesa dei lavoratori ed al suo ruolo di classe, non vi è partito comunista. E’ allora partita (per ragioni elettoralistiche) la corsa all’unità di una sinistra indefinita dal punto di vista identitario che non riuscendo più ad occuparsi di questioni “solide” ha cercato (e sta cercando) di rinascere in modo “baumaniamente liquido” occupandosi, appunto, di questioni frammentate, sfuggenti, temporanee, suggerite da un contesto sociale de- ideologizzato.

In realtà tale processo, che oggi vede uniti tutti (o quasi), parte da lontano. La prima tappa è la nascita del PDS, un partito che non riuscì mai a riempire quel contenitore chiamato sinistra e svuotato di identità comunista. Il passaggio ai DS, invece, segna il delinearsi di un profilo identitario marcatamente craxiano. Dall’altro lato la scissione cossuttiana aprì la stagione della personalizzazione bertinottiana di Rifondazione che progressivamente abbandonava (in altro modo rispetto al PDS e ai DS poi), il ruolo centrale del lavoro in favore di un movimentismo, a tempo determinato, prevalentemente orientato sulla difesa e sull’affermazione dei diritti civili.

Allora tornando al quesito precedente, mi chiedo non solo a cosa servirebbe l’unità a sinistra ma anche di quale sinistra stiamo parlando.

Ciò che si profila all’orizzonte sono stampelle del Partito Democratico come le abbiamo già viste e, ahimè, votate, condotte e costruite. Stampelle che partono dal presupposto del “primum vivere” che sovente coincide con la presenza nelle aule parlamentari che altro non produce che approvazioni di orrori agghiaccianti come il jobs act, il decreto Minniti- Orlando e tante altre nefandezze. Dunque, a cosa serve l’unità a Sinistra? A niente a questo punto se non alla ulteriore snaturalizzazione identitaria di chi ci partecipa e all’ulteriore svuotamento di quel contenitore che è urgente riempire.

E’ bene sottolineare che tale processo “liquido” è in parte fisiologico per chi vuol sopravvivere elettoralmente. Al contrario la nostra sinistra (quella comunista, per intenderci) non ha alcuna possibilità di incidere nel mondo liquido vista la sua essenza estremamente solida data dalla sua architettura ideologica che non può diventare liquida proprio perché l’ideologia, di per sé, essendo pensata per uomini solidi, offrendo una chiara e radicale idea del mondo, costruendo un cittadino strutturato, corredato di principi fissi, valori immutabili, mal si adatta ad una società dominata dal modello dell’uomo modulare (così definito da E. Gellner) che cambia frequentemente i suoi moduli identitari, i suoi riferimenti storici, la sua appartenenza di classe; un cittadino per il quale “diventa sempre più difficile ricordare con precisione a quale principio fondamentale dobbiamo restare fedeli”.1

Per cui la scelta dicotomica è tra l’abdicazione dell’ideologia o la sua conservazione museale. Entrambe le scelte ci mostrano da un lato la strada verso la liquidità politica e la liquefazione identitaria proprie di una sinistra lontana dalle ragioni del lavoro e degli ultimi in generale; dall’altro lato il mantenimento di una “solidità inconsistente” che produce settarismo.

Io ritengo che possa esistere una terza via per costruire le condizioni di vita di un Partito Comunista post- moderno. La prima è rappresentata dalla necessità di conservare e rafforzare lo status di solidità attraverso un’ortodossia ideologica ferrea che introduca una certa visione della storia passata. Tale ortodossia parte dalla consapevolezza che tutta la struttura ideologica marxista sia più che adeguata per leggere anche gli attuali stravolgimenti sistemici determinati dalla globalizzazione del capitale. La seconda (senza la quale vi sarebbe solo settarismo) è data dalla necessità di costruire un’azione che non punti illusoriamente a riassemblare i frammenti (o i moduli) identitari, di classe e culturali dell’uomo globalizzato (proprio perché la sua frammentazione non ci consente di fare ciò), ma che punti invece ad agire e quindi a trasformare marxianamente i singoli pezzi il cui riassemblamento può essere solo successivo.

Questi due processi possono trovare una loro efficacia se si guarda non all’unità di una sinistra indistinta e subalterna, ma all’unità dei Comunisti. Il passo successivo all’unità non può che essere lo scioglimento di ciascuna soggettività in un grande laboratorio di analisi ed elaborazione che porti alla luce gli strumenti di azione per agire e incidere su ciascun pezzo delle frammentate coscienze sociali e individuali.

Il processo unitario iniziale deve porre delle condizioni fondamentali che il Partito Comunista (del quale è Segretario il Compagno Marco Rizzo) ha ben elencato e che trovo pienamente in linea con la su citata necessità di un’ortodossia propedeutica al resto dei punti affrontati:

  • “L’autonomia politica dei comunisti e la totale indipendenza dai partiti che accettano come orizzonte il sistema capitalistico. La costruzione del partito comunista non può essere ridotta ad un’opinione più radicale interna al sistema politico borghese, di sue coalizioni o raggruppamenti di sinistra. Costruire il partito comunista significa realizzare lo strumento che scardina quel sistema. In pratica rifiutare ogni forma di alleanza elettorale con il Partito Democratico, ed uscire da qualsiasi visione antistorica di “unità delle forze democratiche costituzionali”. Un rifiuto netto, indipendentemente da chi guida il PD, e espresso tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale. Rifiutare l’alleanza con il PD a livello nazionale ma poi praticarla a livello locale si chiama opportunismo. Questo vale anche per forze cosiddette di sinistra (da D’Alema, a Pisapia, passando per Vendola) che ora possono anche distinguersi tatticamente dal PD ma che in prospettiva vogliono crescere per poi allearsi nuovamente con il PD;

  • la centralità dell’analisi leninista dell’imperialismo, come fase suprema del capitalismo. L’imperialismo non può essere ridotto ad una delle sue fenomenologie, ossia l’aggressione militare. il movimento comunista non può prendere parte strategicamente per uno o per un altro schieramento di forze imperialiste in lotta e che la lotta dei comunisti è rivolta, prima di tutto, alla liberazione dallo sfruttamento capitalistico e all’uscita dei propri paesi dall’Unione Europea, dalla Nato e da ogni alleanze imperialista;

  • la necessità di abbandonare ogni illusione sulla riformabilità della UE delle sue istituzioni e dei meccanismi economici che ne sono alla base. I comunisti devono in Italia avere come posizione l’uscita del proprio Paese dalla UE. Non basta parlare di semplice lotta per la dissoluzione delle alleanze imperialiste, non specificando come tale dissoluzione possa avvenire. Serve assumere la responsabilità di praticare questa rottura nel solo modo possibile, ossia attraverso la lotta per l’uscita unilaterale dalle alleanze imperialiste. Allo stesso tempo non appartengono ai comunisti ragionamenti sull’Europa a due velocità, su alleanze dei paesi del Sud Europa, sulla semplice uscita dall’euro senza anche uscire dalla UE. Tutte opzioni politiche solo apparentemente alternative ma che in realtà sarebbero favorevoli a settori del capitale e finirebbero per peggiorare la condizione della classe operaia e delle masse popolari;

  • la consapevolezza, che discende direttamente dai punti precedenti, che l’autonomia politica dei comunisti deve essere tale anche nei confronti delle forze di “sinistra”. Non esiste una sinistra anticapitalista al di fuori dei comunisti: parlare di antiliberismo non è sinonimo di anticapitalismo, ma indica diverse visioni interne alle logiche del capitalismo. Sostenere la riformabilità della UE come fa il Partito della Sinistra Europea e le forze che ad esso aderiscono, rende quelle posizioni incompatibili con quelle dei comunisti. Quindi unità dei comunisti e unità della sinistra non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possano marciare insieme. Non bisogna mischiare queste due parole d’ordine con tanta leggerezza, perché dietro ad esse esistono prospettive incompatibilmente divergenti. Pensare di unire i comunisti per poi unirsi con forze di sinistra che hanno prospettive strategiche opposte alle nostre è opportunismo della peggior specie; […]

  • […] la stretta connessione della ricostruzione comunista con i processi di riorganizzazione del movimento comunista internazionale. Noi riteniamo che in questa fase sia necessaria una maggiore unità d’azione dei comunisti a livello internazionale per rispondere all’attacco padronale, anche a costo di cedere alcuni elementi di direzione politica ad un più stringente coordinamento internazionale. L’adeguamento dialettico alle condizioni nazionali, che pure deve essere presente nell’elaborazione tattica dei partiti, non può portare a torsioni strategiche che finiscono con il giustificare tutto e il contrario di tutto, in nome di presunte vie nazionali al socialismo;

  • la necessità di fare i conti con l’esperienza del movimento comunista del nostro Paese e in particolare con la storia del Partito Comunista Italiano. Sarebbe un pessimo servizio al processo di ricostruzione comunista quello di chiudersi in una visione religiosa della storia del PCI e non analizzarne gli errori. In particolare non riteniamo possibile nessuna unità comunista senza una chiara condanna dell’eurocomunismo, dell’accettazione dell’ “ombrello della nato”, della politica del compromesso storico e della solidarietà nazionale, elementi centrali del processo di trasformazione del PCI in una forza socialdemocratica. Allo stesso tempo serve un’autocritica spietata sul periodo che segue allo scioglimento del PCI, e al processo di costruzione del PRC. Serve una critica all’eclettismo e all’opportunismo dominante in quegli anni, ed in particolare al riconoscimento dell’errore storico della partecipazione dei comunisti nei governi di centrosinistra.

  • non legare l’unità comunista a prospettive meramente elettorali. Questo non significa che i comunisti oggi, in totale autonomia e indipendenza dalle altre forze politiche, non possano e debbano utilizzare lo strumento delle elezioni, ed eventualmente le posizioni nelle istituzioni, come megafono della propria azione nel conflitto di classe. Essere autonomi e indipendenti significa anche non delegare ad altre forze (come fatto da alcune organizzazioni comuniste con i Cinque Stelle o con forze di sinistra) la rappresentanza delle proprie battaglie. In poche parole utilizzare le elezioni, gli spazi mediatici, le istituzioni per la costruzione del partito e il rafforzamento della lotta di classe.

  • dichiarare con chiarezza che il fine dei comunisti è il rovesciamento del sistema capitalistico e la costruzione del socialismo, e operare coerentemente con questa dichiarazione. I comunisti non limitano la loro azione alla difesa di conquiste temporanee, ma legano ogni lotta concreta al processo di accumulazione di forze in chiave rivoluzionaria. Non esistono alternative tra capitalismo e socialismo e non esistono fasi intermedie.”2

E’ senz’altro questa la base con la quale avviare un processo unitario di analisi e soprattutto di aggressione alla ferocia di un sistema capitalistico che dopo il crollo del muro di Berlino non ha più conosciuto confini alla sua espansione, plasmando l’uomo contemporaneo in modo tale da renderlo quasi impermeabile all’idea che possa esistere ed affermarsi un sistema completamente alternativo a quello dominante. Il passo successivo, come scrivevo, è trasformare singolarmente quegli infinitesimi pezzi che compongono ( o scompongono) quell’uomo che è sì diventato protagonista di una nuova umanità, ma questa attuale è un’umanità popolata da singoli individui monadici e, come G. Simmel ci ricorda, la società, la sua dimensione comunitaria, le sue relazioni solidaristiche sono sempre molto di più della somma degli individui che ne fanno parte.

Spiegare tutto ciò a D’Alema, Montanari, Falcone, Fratoianni e compagnia servirebbe a ben poco. Per questo preferisco parlarne con i Comunisti che, mi auguro, Domenica 18 giugno abbiano fatto ben altro che partecipare a progetti che costruiscono nient’altro che la loro tomba.


Note

1 Gergen K.J., The saturated self: dilemmas of identity in contemporary life, Basic books, New York, 1991 p. 150

2 Unità comunista. I punti della discussione, dal sito internet: www.ilpartitocomunista.it

24/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Dario Leone

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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