Il metaverso e la merce

Pubblichiamo un contributo di originale analisi del sistema capitalistico


Il metaverso e la merce

Fantasmi e atti di fede si agitano all’interno del sistema della globalizzazione capitalistica, attraversata da un’ondata di sopravvivenze magico-arcaiche, di cieca fiducia nei meccanismi che ordinano il funzionamento regolare di una macchina composta da 8 miliardi di individui sempre più compressi nello spazio di uno scenario comune costellato di piccole catastrofi quotidiane, che preludono a un disastro finale, sempre più prevedibile e difficile da esorcizzare, a cui pare molti (ad eccezione dei giovani, quelli di Friday for future e di Last generation) si sono rassegnati. 

Di fronte a tutto questo, occorre continuare a vivere, ed ecco che in aiuto del singolo, spaurito impiegato del congegno sociale, accorrono gli inventori del presente “virtuale”. 

Se il futuro fa paura, come poter vivere adeguatamente e felicemente il presente?

Recenti spot pubblicitari si soffermano sul metaverso e sulla realtà (virtuale) aumentata, cercando di mostrarne gli aspetti positivi nella vita quotidiana, sottolineando come possano offrire efficaci opportunità alla gestione della libertà personale, affrancandola da vincoli imposti dalla vita sociale e quotidiana, ad esempio per l’accensione degli elettrodomestici, proponendo alternative insite nelle possibilità messe a disposizione dall’Intelligenza Artificiale, ormai entrata a far parte della tecnologia più avanzata, provvista di funzioni che si potrebbero definire teleologiche. Queste proposte pubblicitarie adombrano l’idea che il reale possa venir manomesso o per lo meno manipolato da una pratica intelligenza autonoma messa al servizio dell’uomo.

L’irruzione della metafisica nel quotidiano, più che di “metaverso” si potrebbe parlare di “detemporalizzazione”, di un “dereale”, di un affrancamento dalle urgenze quotidiane, dalle responsabilità minime.

Lo stesso fenomeno accade per il bitcoin, per la moneta virtuale che dovrebbe redimere l’essere umano dalla schiavitù del contante o delle carte di credito, dall’uso del portafogli, delle transazioni abitudinarie, delle file agli sportelli per pagare la bolletta. La moneta virtuale non prelude a una realtà straniante, metafisica? Occorre ascoltare a tal proposito il filosofo Zizek: “Ed è solo a questo livello, quando il denaro diventa un riferimento puramente virtuale, che esso assume infine la forma di una presenza spettrale indistruttibile: sono debitore di 1000 dollari e non importa quante cambiali materiali io bruci, continuo a essere debitore di 1000 dollari, il debito è inscritto da qualche parte nello spazio digitale virtuale” [1]. Più avanti ammette: “il denaro è precisamente un oggetto il cui status dipende da ciò che ‘pensiamo’ di esso: se le persone non trattano più questo pezzo di metallo come denaro, esso non è più denaro”. [2] 

Si tratta anche qui di una deresponsabilizzazione, ma forse, come ammonisce Zizek, pericolosa e fideistica. Bisogna acquisire cieca fiducia nel sistema, un sistema che però non libera, ma nasconde.

Il capitalismo si basa su un materialismo (conseguire la ricchezza, il potere, i piaceri) che ha bisogno di una fede collettiva comune, in base alla quale si nutre fiducia negli altri, in qualità di partecipanti al tavolo del gioco monetario (e l’ideologia del capitalismo evapora). Uniti nella fede si vince o si perde: l’importante è partecipare.

Il bitcoin non farebbe altro che rafforzare la fede in qualcosa che non c’è, ma a cui tutti credono, spettro di un dio invisibile.

Qualcosa di fideistico si sovrappone anche alla tecnologia dell’Intelligenza Artificiale, che comporta una cieca fiducia negli algoritmi ordinanti il funzionamento di macchine in grado di imitare l’essere umano in modo pedissequo e continuo.  

Dove nasce la fede nella religione del capitalismo, che, nel bene come nel male, cerca di preservare la felicità delle persone sottraendole allo spettro del futuro, e cioè della morte individuale e collettiva?

L’immane forza del Capitale nasce con l’affermazione della merce quale ideologia portante e cardine del mercato nonché suo oggetto privilegiato, incarnazione visibile e invisibile della moneta.

La merce è il risultato del processo di produzione, l’oggetto finale ottenuto dalla manipolazione industriale che viene generato imitando, parodiando e cercando di superare le capacità generatrici 

della Natura.

A differenza di questa, l’uomo riesce a governare talmente bene il processo creativo da ottenerne un prodotto che si identifica con un bene necessario o addirittura capace di soddisfare desideri propri: un abito, un gioiello, un libro, i quali non solo assolvono al compito di esaudire un desiderio, ma anche assumono un valore secondo, di natura estetica, concernente la bellezza. Alcune merci, atte a far dimenticare all’uomo di essere semplici oggetti, svelano un aspetto magico, religioso, sacrale, degno di rispetto e di ammirazione, di un’attenzione contemplativa, dotate di un valore aggiunto che supera quello di scambio e di uso, in grado di assecondare bisogni intimi o ancestrali dell’essere umano. Esse adempiono a una funzione commerciale, così come a un’esigenza antropologica e religiosa, per il contributo che offrono all’arricchimento spirituale e psicologico della persona interessata, colpita, incantata, e perfino modificata nella sua fede. Alla produzione industriale appartiene un potere di trasmissione di bisogni e processi psicologici intimi, spesso sconosciuti allo stesso individuo o da lui ignorati di cui la produzione si fa interprete privilegiata, luogo di ascolto atto a recepire istanze che sono (in parte) promosse dall’industria pubblicitaria, fedele ancella di questa catena di trasmissione tra il popolo e la sua capacità di creare beni per sé, mediante il lavoro.

Nessuno oserebbe assimilare questo tipo di lavoro produttivo a un modo proprio del capitale, quello riguardante lo “sfruttamento” dei lavoratori, perché si tratta di un’attività diretta a soddisfare un’esigenza personale di intere collettività, fondata su paradigmi psicologici incontrollabili non soggetti a una misurazione oggettiva, non riducibili a un valore monetario. Il bisogno di quegli oggetti diviene una prerogativa di masse che li richiedono per la loro soddisfazione, al di là del valore, del prezzo – prezzo non quantificabile, a voler tirare le somme.

Si tratterebbe di stabilire quale sia il valore dell’ingegno profuso nel creare il bene da una parte e quale il valore del desiderio dall’altra, ma si è di fronte ad astrazioni non quantificabili; Marx definiva “feticcio” la merce per una forza magico-religiosa che le proviene dall’attribuzione di un valore economico che cancella la sua natura di oggetto. La preponderanza del fenomeno è però attribuita al denaro: “Nel feticismo a parlare non sono le cose, ma il codice che tutte le esprime perché in tutte si esprime. Come giustamente osserva Marx, ciò che affascina nel denaro non è la sua materialità, e neanche l’equivalente di una certa forza-lavoro o di un certo valore virtuale che il denaro avrebbe assorbito, ma è il fatto che il denaro assicura la circolazione delle merci, quindi la sua sistematicità, la virtualità insita in questa materia di poter sostituire tutti i valori grazie alla loro astrazione definitiva. Ciò che si adopera nel denaro è l’astrazione, l’artificialità totale del segno, la conclusa perfezione di un sistema che viene feticizzato e non il vitello d’oro o il tesoro. Il capitale dunque non è avaro, ma è feticista, la sua patologia è simile a quella del collezionista a cui non interessa la natura delle cose raccolte, ma la sistematicità del ciclo collettivo, in cui il passaggio continuo da un termine all’altro garantisce la costituzione di un mondo chiuso e invulnerabile. È a questo mondo che il capitale tende, non all’accumulo di denaro”[3]. 

Marx aveva compreso che in una società è il funzionamento che ne garantisce la graniticità, questo meccanismo è astratto, propone un’idealità in cui bisogna credere, aver fede; il denaro era la base di tutto questo, che però è stato sostituito in tutto e per tutto dall’icona della merce, che, come ha rilevato Zizek, soddisfa la jouissance, il godimento, la soddisfazione di quella che è la pulsione più forte dell’uomo, il desiderio. La funzione gratificatoria contenuta nella merce fa sì che essa non venga più identificata col denaro, bensì, divenendo oggetto senza prezzo, si trasforma in dono, proprio per la qualità di soddisfare un desiderio che non conosce misura alcuna e che oltrepassa ogni valore, sia economico sia numerico: astrazione pura e mezzo unico e univoco della soddisfazione del desiderio, viene a identificarsi con il godimento puro, anzi con la tensione preliminare che porta al godimento, la merce è un petting del godimento, ma anche lo strumento del godimento. La merce è l’Organo Sessuale del Capitale, la pubblicità l’organo seduttivo.

Il successo dei pacchi Amazon si basa su questo aspetto seduttorio ambientato nel mondo infantile, quando il bambino riceveva doni impacchettati da Babbo Natale o dalla Befana. Il pacco dono ridotto allo stato essenziale, con un segno – il marchio Amazon - che ciascuno può fare direttamente a se stesso, e che magari arriva dal cielo, con un drone, realizzando il massimo del concetto a livello narcisistico, d’altronde il godimento è sempre personale, il desiderio dell’altro che cosa nasconde se non il desiderio per se stesso che si scorge per interposta persona, nel suo desiderio rivolto verso l’altro? 

Il processo di scambio previsto da Marx, D-M-D o M-D-M, tra Denaro e Merce, oggi si potrebbe tradurre in D-M, dove la D sta per desiderio, scambio diretto che ha a che fare con il potlatch. Il potlatch prevede che ci sia uno scambio spontaneo di doni tra due individui: “il potlatch come preeconomia dell’economia, il suo grado zero, ovvero lo scambio come relazione reciproca tra due spese non produttive. Se il dono appartiene al Padrone e lo scambio al Servo, il potlatch è lo scambio paradossale tra Padroni.”[4]. Lo scambio reciproco è distruttore del legame sociale, “è la logica della vendetta, dell’occhio per occhio. Per coprire questo aspetto dello scambio, per renderlo pacifico e benevolo, si deve fingere che il dono di ogni persona sia libero e autonomo” [5]. Nel desiderio che la merce prevede e contiene, nel rapporto diretto tra individuo desiderante e merce viene cancellata la mediazione del Significante Maestro, nome con cui Lacan definisce la civiltà e in particolare l’insieme di regole fondate su loro stesse che la compongono; l’individuo è apparentemente libero di scegliere, di soddisfare il suo desiderio senza mediazioni; in verità, “l’essenza della decisione finale rimane impenetrabile all’osservatore, spesso anche a colui che ha preso la decisione”[6]. Il capitalismo riesce molto bene a nascondersi dietro l’iconizzazione della Merce, che ha sostituito e azzerato quella del denaro, per cui ogni apparato del sistema concorre a privilegiare solo l’aspetto del godimento, della soddisfazione, della jouissance che la merce adempie (in funzione del Capitale). È il trionfo del mondo del consumismo, dell’individuo ridotto a consumatore, della società presentata come Paese dei balocchi, “dove le giornate si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera” [7] 

Una società che mira a distruggere ogni forma di pensiero e di sapere che possano minarne le basi: “Là non ci sono scuole: lì non ci sono maestri, lì non ci sono libri. in quel paese non si studia mai” (Ivi). Che paese ci ricorda Lucignolo, se non l’Italia dei nostri giorni, dove lo Stato dei balocchi permette agli studenti di sbirciare gli smartphone sottobanco, invece che seguire le lezioni del professore, tanto i ragazzi sanno che verranno comunque promossi (è una scuola divenuta azienda di una manodopera sottocosto) e potranno proseguire nelle università, dove, trasformati tutti in ciuchini, spunteranno loro un bel paio d’orecchi a punta, la coda e tutto.

Quali correttivi immettere in una società che crea accumuli di falsi desideri, di false aspettative, di narcisi autoreferenziali, di ignoranti felici della propria mancanza di identità perché bisognosi di un sostituto, di ritrovare se stessi nella propria infanzia, ovvero di un pacco Amazon?

Quel che bisognerebbe riprendere del discorso marxiano riguarda l’attuazione di una società utopisticamente democratica che riesca a gestire i processi di produzione evitando l’arricchimento di alcuni individui a discapito di tutti gli altri. In una società giusta non dovrebbero esistere i “ricchi”; non dovrebbero essere consentiti accumuli esorbitanti di denaro nelle mani di pochi. La produzione dovrebbe essere affidata all’autogestione, a cooperative di imprenditori, tecnici, operai, senza che si possano verificare sperequazioni e differenze retributive non giustificate, da commisurare alle ore di lavoro e alle risorse che ciascun individuo effettivamente apporta. 

Da respingere, gli sperperi, gli accumuli di denaro che possano portare a speculazioni e al fenomeno dell’usura (proprio delle banche e delle Borse). 

Un tentativo potrebbe essere quello di annullare l’esistenza delle banche in favore di Casse locali controllate dai cittadini. Nelle Costituzioni di ogni Stato si dovrebbe riconoscere che la sovranità monetaria spetta al popolo, idea ripresa da Ezra Pound, poi in Italia dal docente universitario Giacinto Auriti, infine propugnata anche da rappresentanti della Lega, poi del Partito Democratico e di altri partiti, ma abbandonata e perfino censurata poiché la rivoluzionarietà della sovranità monetaria schianterebbe la forza dell’accumulo, la vera natura politica e ideologica del Capitale, lo scambio denaro-merce come assoluto ideologico.

Il capitalismo è un effetto del processo degenerativo della produzione della speculazione monetaria che ha sopraffatto tutti gli altri processi, inglobandoli e divorandoli, da quello economico a quello sociale, scientifico, tecnologico, politico, religioso. Il capitalismo è una specie di Golem che nella millenaria lotta dell’Uomo contro la Natura si è rivelato l’ultima e decisiva fase del progresso della specie, uno strumento di guerra che prevede lo sfruttamento delle risorse della Natura assoggettata (?) senz’alcun controllo e senza limiti, le cui conseguenze sono imprevedibili.

Tale processo contra naturam (dunque, degenerativo) appare inarrestabile e vincente, avendo asservito ogni attività alla circolazione del Denaro da trasformare in Merce, Merce che è, nello stesso tempo, Denaro e Materia, Desiderio, idea, sostanza e anche anima di tutto ciò che è possibile pensare, agire e realizzare. È l’ideologia ultima della specie, quella in cui si riassumono preistoria e storia.

La forza del capitalismo sta tutta nella merce-denaro, nell’oggetto che istituisce e soddisfa ogni desiderio e divinizza la jouissance, in virtù della quale tutti competono quotidianamente. Un potere, un modo di soggiogare doppiamente illusionistico, se da una parte rende possibile e accessibile a tutti la soddisfazione del desiderio, dall’altra instaura un conflitto del “tutti contro tutti”, all’interno del quale gli uomini sono liberi di scannarsi per il possesso dei mezzi di produzione in nome del Dio a cui solo pochi zelanti ministri del culto possono accedere, fedeli alla truffa del Capitale, che possiede in sé il valore di tutte le merci possibili e il Processo dell’Accumulo del Denaro, processo che tende verso l’infinito autoriprodursi.    

Note:

 [1] In difesa delle cause perse, Zizek,  p. 376.

 [2] ivi, p. 377

 [3] Umberto Galimberti, Idee: il catalogo è questo, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 48.   

 [4] S. Zizek, op. cit,., p. 39 

[5]  ivi

[6](S.Zizek, ivi, p. 45, la frase è di J. F. Kennedy)

[7] (Collodi, Pinocchio).    

  

27/01/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Massimo Pamio

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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