Necessità della lotta al patriarcato in Iran e altrove

L'imperialismo non può essere considerato un'alternativa al patrarcato: devono essere combattuti entrambi. In Iran, come in Messico, in Arabia Saudita come in Afghanistan, in Turchia e in Libia, per la liberazione delle donne e dell'umanità.


Necessità della lotta al patriarcato in Iran e altrove

 Il patriarcato, ovvero il predominio degli esseri umani di sesso maschile, che assoggettano in vario modo le donne, piegandole alla propria visione del mondo e ai propri interessi, costituisce da millenni un pilastro fondamentale del potere costituito da cui sarebbe necessario sbarazzarci per costruire un’autentica liberazione dell’umanità.

Esso assume varie sembianze a seconda delle differenti situazioni storiche e geografiche, spaziando dal femminicidio di massa praticato nelle regioni del Messico di frontiera cogli Stati Uniti, dove l’uccisione delle giovani donne va di pari passo col loro sfruttamento selvaggio sul posto di lavoro, alle interpretazioni deteriori del testo coranico praticate dal cosiddetto islamismo politico nelle sue varie forme, dall’Arabia Saudita all’Afghanistan, dalla Turchia all’Iran come base per pratiche oppressive e discriminatorie nei confronti delle donne.

Nessun atteggiamento comprensivo, in nome di un malinteso “multiculturalismo” può essere tenuto nei confronti di pratiche di questo genere, magari sulla base di una malintesa coscienza “antimperialista”. E’ chiaro che regimi di questo genere rappresentano anche la reazione a modelli di penetrazione e dominazione imperialista, esprimendo a modo loro l’identità di settori di classi medie che perseguono un proprio modello di sviluppo, ma è fuori di dubbio che i tentativi compiuti da tali settori producano a loro volta l’oppressione della gran parte del popolo nei vari Paesi, a partire dalle donne.

L ’imperialismo occidentale tenta di inserirsi in tali contraddizioni per guadagnare posizioni, ma lo fa in modo goffo e strumentale, provocando, come si è visto chiaramente in Afghanistan, ulteriori arretramenti.

In fin dei conti assistiamo al riprodursi di una dialettica perversa tra imperialismo occidentale e islamismo politico nelle sue varie forme. Il primo non è ovviamente per nulla interessato a tutelare i diritti delle donne, delle minoranze etniche o di chicchessia, ma persegue, come di consueto, esclusivamente i propri obiettivi di potere.

Ciò si è visto chiaramente in Libia, in Siria ed altrove. Nel caso della Libia la liquidazione del regime di Gheddafi, che aveva vari difetti, ma veniva avversato dagli Stati Uniti in quanto promotore di un diverso modello continentale africano di sviluppo, ha generato una situazione di caos che dura tuttora e della quale non si vedono possibili conclusioni. In Siria, gli Stati Uniti hanno appoggiato tutti i settori che si ribellavano al regime di Assad, finendo per appoggiare quelli più legati al fondamentalismo islamico e alimentando nascita e crescita di Al Qaeda, Isis e compagnia, salvo poi prestare un limitato appoggio alle forze curde, promotrici e asse portante delle Forze democratiche siriane, promotrici di un autentico sviluppo democratico, per poi abbandonarle di nuovo di fronte alle recenti offensive turche.

Né può certo dirsi che il regime dei mullah, quello dei talebani, quello di Erdogan e quello del Rinascimento saudita di renziana memoria possano costituire, sia pure in minima misura e fatte salve le evidenti differenze tra di loro, delle esperienze degne di nota dal punto di vista dell’avanzamento sulla strada del progresso dell’umanità.

Chi afferma il contrario o è completamente scemo o aspira a rendersi emulo dei gloriosi rappresentanti di PD e sindacati che si vendevano un tanto al chilo a Qatar, Marocco e molti altri ( e siamo solo all’inizio).

Tanto più che in Iran i mullah, ascesi al potere dopo il regime filo-occidentale dello Scià arrivato al potere grazie alla reazione dell’imperialismo occidentale (all’epoca soprattutto britannico) contro il tentativo riformista di Mossadeq, si sono caratterizzati fin da subito per un massacro generalizzato contro ogni forza sia pure timidamente di sinistra.

I mullah hanno messo in piedi un regime che si basa sullo sfruttamento del popolo e attribuisce ai più alti gradi della gerarchia ecclesiastica, da cui viene espulso chi non mostri totale ossequio alla dottrina dominante, il controllo della stessa economia e il profitto che se ne può ricavare, oltre a disporre di propri corpi repressivi come i pasdaran e i basiji.

Le recenti rivolte in Iran vanno lette anche come reazione a questo regime di classe. L’oppressione contro le donne ne costituisce una componente fondamentale proprio per dar vita, nei limiti del possibile, a una solidarietà tra maschi che frammenti ogni possibile schieramento alternativo. Così come ne è parte integrante l’oppressione contro le minoranze etniche (curdi, beluci, arabi, ecc.). 

La parola d’ordine centrale di tale rivolta è “Donna, vita, libertà” e si riaggancia direttamente alla lotta vittoriosa delle Forze democratiche siriane contro l’ISIS sostenuto dal regime turco che oggi è tornato all’assalto dei territori liberati, tentando di rioccupare Kobane.

Si tratta di una lotta strategica fondamentale che sarebbe folle lasciare in mano a formazioni sconclusionate e prive di una propria visione strategica autonoma come i rottami del Partito radicale.

E sarebbe in conclusione ben triste dover scegliere tra Occidente da un lato e mullah dall’altro. Il futuro dell’umanità, se futuro ci sarà, passa per ben altre strade.

 

30/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Fabio Marcelli

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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