Modernità in chiaroscuro. Splendori e miserie dei diritti umani - parte I

la storia dei diritti umani in rapporto con l'evoluzione del capitalismo occidentale


Modernità in chiaroscuro. Splendori e miserie dei diritti umani - parte I

In un'interessante lezione Federico Martino ha ricostruito la storia dei diritti umani, mostrando la stretta relazione che essi intrattengono con l'individualismo occidentale e con il costituirsi della borghesia. Tale legame di classe ostacola però la loro efficace applicazione.

di Alessandra Ciattini

Il passato 6 maggio Federico Martino, storico del diritto e professore emerito dell'Università di Messina, ha tenuto un'interessante lezione sui diritti umani, il cui titolo coincide con quello del presente articolo. La lezione è stata tenuta nell'ambito del corso di Antropologia culturale, disciplina il cui oggetto precipuo è rappresentato dallo studio delle differenze tra le forme di vita sociale che si sono succedute nella storia e che coesistono nella società contemporanea, sia pure ormai inserite in un unico sistema politico-economico profondamente conflittuale. In ambito antropologico l'indagine sulle differenze è sempre accompagnata dalla riflessione sulla possibilità di individuare un denominatore comune che possa fungere da elemento di raccordo tra le diversità che, in seguito ai processi migratori degli ultimi decenni, costellano la nostra vita quotidiana.

Federico Martino ha esordito indicando quali erano i presupposti metodologici a cui si richiamava per illustrare sia pure rapidamente la storia di tali principi fondativi della nostra forma di organizzazione sociale, rimarcando al contempo le criticità che sono strettamente connesse alla loro applicazione, assai spesso ispirata alla volontà di ingerenza ed espansione.

Tali presupposti metodologici sono stati individuati in questi tre assunti: 1) la storia è sempre storia contemporanea, nel senso che lo studioso parte dai problemi dell'oggi per riflettere sul passato, pur rifuggendo da una prospettiva riduzionistica che leggerebbe quest'ultimo come mera anticipazione dell'attuale; 2)  le idee scaturiscono dalle relazioni sociali tra gli uomini, le quali si fondando sui rapporti di produzione, e al tempo stesso le prime interagiscono dialetticamente con tale dimensione; 3) ogni forma di comprensione storica studia i fenomeni nella loro specificità e particolarità, ma si pone anche l'obiettivo di inquadrarli in categorie di carattere più generale; in questo senso lo studioso non si limita ad osservare il singolo albero strappandolo dalla foresta, ossia dal quadro generale nel quale esso si colloca.

Fatte queste premesse Martino ha letto un passo assai significativo della Dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna delle 13 colonie statunitensi scritta da Thomas Jefferson nel 1776, e che rappresenta un buon condensato del nucleo fondamentale dei diritti umani così come ancora oggi in larga parte sono intesi. Così scrive Jefferson: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini siano stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti sono creati fra gli uomini i Governi; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo Governo, che si fondi su quei principi e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idoneo al raggiungimento della sua sicurezza e felicità” [1] (Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America).

Dopo tale citazione Martino ha ripercorso la storia dei diritti umani, ribadendo che si tratta di una costruzione ideale che è sorta e si è sviluppata nell'ambito della civiltà occidentale ed è connessa al tema dell'individualismo, soffermandosi inizialmente sulla loro fase aurorale, che deve esser fatta risalire al pensiero stoico e al diritto romano.

Nell'ambito del primo è possibile scoprire, infatti, l'idea di un diritto naturale, quale dimensione che precede il diritto positivo e che si fonda sulla convinzione che la natura sia governata da un'immanente legge naturale, intesa come Logos. Questo tema, presente anche nel diritto romano, viene riscoperto in Occidente, intorno al secolo XI-XII, quando si comincia a studiare il Digesto giustinianeo, un'antologia delle opere dei giuristi romani, la cui compilazione risale al VI sec. d. C.

Dalla articolata riflessione giuridica su questi testi emerge la nozione di aequitas, cui i glossatori medioevali si ispirano, intendendola come una serie norme di carattere morale e religioso, quindi derivanti da Dio, che dovrebbero costituire il fondamento su cui costruire le leggi, che ogni ordinamento storico concreto si dà, per regolare una giusta convivenza tra gli uomini.  In sostanza, ciò che scaturisce da tale fase aurorale è l'idea che vi sia una dimensione fondativa, cui occorre richiamarsi per l'elaborazione del diritto positivo, la quale lo precede e che per tanto non può esser da esso stravolta.

Non potendo soffermarci sugli altri significativi momenti della complessa storia dell'idea dei diritti umani, sempre seguendo l'accurata riflessione di Martino, andiamo direttamente alla Riforma e all'insorgere delle guerre di religione ad essa strettamente connesse, ambito nel quale si comincia a discutere assai animatamente del tema della libertà religiosa e/o della libertà di coscienza. In questo senso, non si può fare a meno di menzionare – come sottolinea lo storico del diritto messinese - la figura di Michele Serveto, il quale per le sue opinioni religiose (in particolare quelle relative alla Trinità) fu perseguitato sia dai cattolici che dai protestanti, per essere poi bruciato sul rogo a Ginevra nel 1553, in seguito alla sentenza pronunciata contro di lui dai Sindaci della città e per intervento dello stesso Calvino.

Proprio la tragica vicenda di Serveto porterà alla luce il cruciale tema della tolleranza in materia non esclusivamente di fede religiosa; questione che  - come è noto - sarà dibattuta da una serie di autori centrali per l'individuazione e la fondazione di tutti quei principi, sui quali si è sviluppata la modernità, come John Locke e Voltaire [2].

Sviluppando in parallelo alla storia delle idee la storia delle trasformazioni politico-economiche, Martino ha ricordato che l'affermarsi dei diritti umani è strettamente legato alla costituzione e al consolidamento della borghesia, processi favoriti, per esempio, in Inghilterra dai cosiddetti enclosure acts [3];con  questi ultimi tra il XVI e il XIX secolo le terre demaniali furono concesse ai privati, già proprietari terrieri o esponenti della borghesia mercantile, ai danni dei piccoli contadini, accentuando così la differenziazione sociale e creando quella massa di lavoratori senza mezzi, che saranno impiegati nelle manifatture.

In seguito a una serie di grandi trasformazioni, innescate anche dall'arrivo in Europa delle risorse depredate alle colonie, si dispiega gradualmente e con grandi costi umani il passaggio ad una fase economico-politica nuova, nella quale un ruolo economico determinante è esercitato dalla borghesia, la quale vuole far corrispondere a tale preminenza un'adeguata funzione politica.

Per raggiungere tale obiettivo la borghesia deve proclamare il diritto alla libertà, all'uguaglianza e proporre un ideale di fratellanza universale; ovviamente tale dichiarazione impegnativa mette in discussione l'ordinamento politico proprio dell'Ancien Régime, il quale - come è noto -  era basato sulla monarchia ereditaria di diritto divino, su un sistema di esenzioni fiscali e di privilegi a tutto vantaggio della nobiltà e del clero, sull'ereditarietà degli uffici giudiziari e finanziari; esercizio accompagnato da corruzione e favoritismi.

È contro questo sistema politico-sociale, segnato da profonde ineguaglianze e inauditi privilegi, ancora legato in larga parte alle attività agricole, che la borghesia insorge, proclamando con vigore ed entusiasmo tutti quei diritti, che costituiscono il nucleo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789; diritti successivamente ripresi e ampliati da documenti successivi, nei quali ai diritti civili sono stati aggiunti quelli economico-sociali, culturali e  collettivi [4].

(segue sul prossimo numero)

Note

1) Come si può comprendere, Jefferson considera legittimo, in certi casi, il ribaltamento dell'ordinamento politico, come d'altra parte aveva già sottolineato Tommaso d'Aquino. Prospettiva questa non certo auspicata da chi sta ai vertici dell'organizzazione politica.

2) Locke scrive la Lettera sulla tolleranza (1685) e Voltaire il Trattato sulla tolleranza (1763).

3) Enclosure vuol dire recinzione. I piccoli contadini non avevano a disposizione le risorse per procedere alla recinzione dei terreni.

4) Anche gli antropologi hanno contribuito all'ampliamento dei diritti riconosciuti, da un lato, mettendo l'accento sull'unilateralità delle prime dichiarazioni, nelle quali si universalizzava l'individualismo borghese; dall'altro, - come fecero gli autori dello Statement on Human Right del 1947 -  ribadendo che il rispetto dell'individuo non può esulare dal rispetto della cultura, cui esso appartiene. In sostanza, essi si sono interrogati sulla possibilità di rendere compatibili il pluralismo culturale e l'universalità di una Carta dei diritti (v. A. Colajanni, Il disordine mondiale nei diritti umani: il punto di vista dell'antropologia, 2002).

17/05/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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