Se vogliamo avere un futuro, dobbiamo porre fine alle cause sistemiche di distruzione e spreco

Il sistema capitalista in sé, basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, è la radice sia della crisi ecologica del pianeta sia del rischio di catastrofe nucleare.


Se vogliamo avere un futuro, dobbiamo porre fine alle cause sistemiche di distruzione e spreco

Una causa comune ha una soluzione comune

Date le attuali crisi esistenziali che ora includono sia la minaccia di una rapida fine dell’esistenza umana attraverso la guerra nucleare, sia la minaccia dell’aggravarsi della crisi ecologica, la nostra risposta a entrambe deve iniziare con il riconoscimento che se si affrontano solo le cause prossimali di un problema con cause sistemiche, questo problema potrà essere risolto solo in modo temporaneo e quindi solo in modo parziale. Dobbiamo identificare e affrontare le cause alla radice.

In relazione alla lotta per la pace, per esempio, dobbiamo riconoscere che le guerre non sono il risultato della catena di eventi che portano allo scoppio della violenza fisica diretta tra le parti in guerra. Ciò che accade un giorno non è la causa principale di ciò che accade il giorno successivo. Lo stesso vale per la crisi ecologica. Il continuo fallimento dei governi, individualmente o collettivamente, nell’intraprendere le azioni necessarie per mitigare questa crisi non è dovuto alla mancanza collettiva dei mezzi per farlo.

Tutti i paesi della Terra dipendono dalla loro partecipazione al mercato capitalista globale. La causa principale sia della crisi ecologica sia della minaccia dell’uso di armi di distruzione di massa è il sistema capitalista stesso. La forza motivante che guida questo sistema è la competizione per il profitto privato, non l’obiettivo di produrre e distribuire equamente i beni e i servizi necessari per una vita appagante per tutti. Invece, l’obiettivo di una frenetica attività senza fine (PIL) guida la politica del governo capitalista, facilitando l’accumulazione apparentemente illimitata di ricchezza privata su un pianeta finito.

Dagli anni Settanta, il capitalismo all’interno dei paesi capitalisti più sviluppati non è più riuscito a sostenersi principalmente con l’accumulazione interna di capitale. Ha invece fatto sempre più affidamento sullo sfruttamento delle risorse naturali e della forza-lavoro di altri paesi, i cui cittadini hanno gli stessi diritti di vivere e prosperare di quelli all’interno delle patrie imperialiste.

L’esistenza dell’umanità sarà sempre più precaria se gli eguali diritti di tutti di godere di una prosperità comune non diventeranno presto realtà politica. Ciò è attualmente evidente nelle tensioni tra Stati Uniti e Russia, incentrate sulla guerra per l’Ucraina, e tra Stati Uniti e Cina, incentrate su Taiwan.

Per porre fine alla minaccia esistenziale alla vita umana sulla Terra causata dalla crisi ecologica e dalle minacce dell’uso di armi di distruzione di massa, le persone in tutti i paesi potenzialmente belligeranti devono trovare il modo di frenare la propria classe capitalista affinché non alimenti o faccia guerre, e in ultimo, ovunque, sostituire il sistema che produce queste crisi. Qui la responsabilità maggiore ricade su chi vive nei principali paesi imperialisti, in primo luogo gli Stati Uniti e i suoi sempre più dipendenti Stati vassalli.

In sintesi, per avere successo, le lotte per la pace e per un rapporto ecologicamente sostenibile con il resto della natura devono essere anche anticapitaliste, antimperialiste ed ecosocialiste. Se il capitalismo è la causa principale delle minacce di guerra e della distruzione ecologica, l’ecosocialismo è la soluzione.

Porre fine al capitalismo fa cessare anche lo spreco insito nel capitalismo e apre la porta alla fine di tutte le forme di sfruttamento e oppressione inerenti alle società divise in classi.

Uno dei principali risultati della trasformazione del nostro sistema sociale in un’alternativa più pacifica ed ecologicamente sostenibile sarebbe quello di ridurre drasticamente e infine eliminare lo spreco inerente al modo di produzione capitalista. Questo modo di produzione è caratterizzato dalla mercificazione dello scambio e dal mantenimento di relazioni sociali di sfruttamento.

La produzione comunitaria e la distribuzione gratuita di beni e servizi che soddisfino i bisogni umani non richiederebbero pubblicità commerciale, imballaggi usa e getta e tutte le infrastrutture fisiche e il tempo di lavoro richiesti dalle vendite commerciali. Né ci sarebbe un incentivo al profitto privato per produrre beni e servizi che non soddisfino i bisogni della comunità o gli standard di sostenibilità ecologica.

Le persone sarebbero quindi in grado di godersi il tempo libero, la ricreazione, lo sport e altre attività senza la distrazione della pubblicità commerciale e di altre manifestazioni di avidità privata. I talenti creativi di coloro che sono impegnati nella pubblicità commerciale e nelle vendite verrebbero liberati per fornire contributi creativi alle arti, alle scienze, all’intrattenimento e ad altre attività che arricchiscono le nostre vite.

Tra le altre conseguenze di una trasformazione ecosocialista, ci sarebbe la fine delle seguenti fonti di rifiuti:

- Un sistema educativo che enfatizza l’apprendimento mnemonico (come sostituto della conoscenza scientifica, dell’immaginazione e del pensiero critico), la competizione (come sostituto della collaborazione e della cooperazione) e la reclusione (come sostituto dell’apprendimento attivo basato sull’impegno con la comunità e l’ambiente naturale, incentrato sulla risoluzione di problemi sociali ed ecologici e apprendistato per ruoli corrispondenti).

- Servizi sociali che enfatizzano il controllo, la detenzione e la punizione rispetto all’empatia e al sostegno per gli altri richiedono spese inutili per le carceri e la polizia e si traducono nell’indebolimento di famiglie e comunità nonché della salute e del benessere delle persone controllate, detenute e punite (in sostituzione dei servizi sociali inerenti all’alternativa ecosocialista).

- Una giustizia accusatoria e un sistema governativo in gran parte privatizzati che sono principalmente al servizio di coloro che sono maggiormente in grado di garantirsene i servizi (in contrasto con l’alternativa ecosocialista della giustizia riparativa, compreso l’accesso paritario ai servizi legali e a tutti gli altri servizi pubblici).

- Un complesso militare-industriale e tutto lo spreco energetico e materiale associato alla preparazione e alla conduzione di guerre, inclusa la distruzione associata della natura, delle persone e delle strutture create dal lavoro umano (in contrasto con l’alternativa ecosocialista della diplomazia, della collaborazione, della cooperazione e solidarietà umana).

Queste nostre argomentazioni illustrano solo alcuni degli esempi più lampanti dello spreco insito nella condotta quotidiana del capitalismo come sistema socio-economico, vale a dire quando funziona in modo relativamente stabile (come nei periodi di espansione sia della produzione e consumi). Ma questo sistema è intrinsecamente instabile, soggetto a ciclici “crolli” o a “boom”, dove i crolli dimostrano con più evidenza l’inutilizzo delle capacità produttive (sottoconsumo e perdita di occupazione), cioè il mancato utilizzo della capacità produttiva esistente per soddisfare i bisogni essenziali dei lavoratori. Per un’elaborazione sull’anarchia (l’evidente inefficienza) del capitalismo come sistema economico, vedere il capitolo 2 di Radhika Desai, Capitalism, Coronavirus and War: A Geopolitical Economy (2022, Routledge). Questo contenuto è disponibile gratuitamente dal sito Web di Routledge: Capitalism, Coronavirus and War: A Geopolitical Economy - 1st Edition (routledge.com).

Oltre a porre fine a tutti gli esempi precedenti dello spreco di risorse insito nel capitalismo, l’ecosocialismo apre la porta alla fine dello spreco derivante dall’oppressione umana. Mettendo fine al profitto privato come motore della produzione e alla concorrenza per ottenere i mezzi di sussistenza, l’ecosocialismo pone fine anche alla ricerca di superprofitti da parte del capitalismo mediante il divide et impera della classe operaia, compresi i superprofitti estratti da coloro che identifica come meno meritevoli in ragione di genere, razza, etnia, convinzioni religiose e politiche, orientamento sessuale e qualsiasi altro mezzo. Naturalmente, ciò non basta a porre fine a queste forme di oppressione fintanto che la cultura capitalista mantiene l’influenza che tuttora esercita sul comportamento umano. Ma una trasformazione rivoluzionaria dal dominio economico della classe capitalista apre la porta alla fine dell’oppressione.

È solo attraverso la lotta e il raggiungimento di una civiltà globale più giusta, democratica, pacifica ed ecologicamente sostenibile che possiamo conoscere e quantificare i risparmi che si possono ottenere nel consumo di energia e di altre risorse naturali. Con l’effettivo potere economico e politico ora concentrato in poche migliaia di oligarchi (il 40% dei quali risiede negli Stati Uniti) questo compito non è insormontabile.

Solo attraverso la lotta mirata a isolare e sconfiggere questa oligarchia possiamo fronteggiare la più grande sfida che l’umanità abbia mai affrontato, la minaccia che un capitalismo morente pone all’esistenza stessa dell’umanità.

 

Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero

10/03/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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