Economia circolare? No grazie

Economia circolare e infortuni sul lavoro. Come siamo messi? Con quale metro misuriamo la loro sostenibilità ecologica e sociale?


Economia circolare? No grazie

La transizione verso un’economia circolare dovrebbe riguardare in teoria anche le condizioni di lavoro.

L’economia circolare, stando alla definizione della Ue, “è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo”.

Siamo davanti a una svolta epocale o piuttosto alla riedizione sotto nuove forme di vecchie teorie dietro alle quali si occulta ben altra essenza del capitalismo?

L’Ue punta per i prossimi anni verso un modello energetico green. Lo farà rafforzando gli storici legami, e interessi, con gli Usa e in funzione antirussa e anticinese, un percorso complicato e assai arduo da attuare e non senza contraddizioni come si evince dalla spinta della Francia verso il ricorso al nucleare di nuova generazione.

Numerose nazioni europee da anni hanno utilizzato alcuni paesi meno sviluppati come discariche oppure hanno scelto di delocalizzare produzioni nocive per l’ambiente o in contrasto con le normative comunitarie. Le delocalizzazioni avvengono non solo nell’ottica di abbattere i costi del lavoro ma anche di trasferire ad altre nazioni, sotto ricatto economico, le produzioni più nocive per la salute e l’ambiente.

Dietro alla svolta green del capitalismo europeo si nascondono obiettivi e finalità che con la difesa della natura e della salute hanno ben poco da spartire.

L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) ha dedicato all’economia circolare e alle sue implicazioni con la salute e sicurezza sul lavoro innumerevoli ricerche e pubblicazioni. Teniamo conto che in Italia non solo aumentano infortuni e morti sul lavoro ma anche le malattie professionali. Tanti siti inquinati da tempo attendono bonifiche e riconversioni che invece tardano ad arrivare per mancanza di fondi e per la resistenza della classe padronale che vuole scaricare sullo Stato i costi dei processi di ristrutturazione e riconversione industriale.

Un esempio del dominio padronale è dato dalla resistenza a ridurre l’orario di lavoro abbassando al contempo l’età pensionabile. Se vogliamo abbattere i rischi per la salute non possiamo che accrescere i fondi per la sanità pubblica invertendo la tendenza ad aumentare gli anni di lavoro. Allo stesso tempo non potrà essere accettabile la logica del risparmio sulle pensioni del futuro col sistema di calcolo contributivo che destina i pensionati di domani ad assegni miseri e spesso inferiori alla soglia di povertà relativa nonostante quasi 40 anni di contributi versati

L’agenzia europea afferma di puntare sullo sviluppo di nuove tecnologie, su nuovi modi di lavorare e sui cambiamenti sociali. Se così fosse anche nella realtà l’età pensionabile verrebbe ridotta, l’utilizzo delle moderne tecnologie non sarebbe funzionale solo all’accrescimento dei profitti, andremmo verso la riduzione dell’orario di lavoro e una riforma del sistema previdenziale capace di salvaguardare potere di acquisto e un forte sconto degli anni di contributi per le mansioni lavorative maggiormente gravose.

Le indicazioni Ue stridono invece con gli atti di indirizzo. Gli ordini impartiti ai paesi membri sono di muoversi nell’ottica di ridurre il debito, scongiurare l’uscita anticipata dal mondo del lavoro (se non scaricando gli oneri sulla fiscalità generale), contenere la dinamica salariale e i costi del welfare.

Gli scenari annunciati non trovano coerente applicazioni nelle politiche Ue e nazionali. La riduzione dell’inquinamento non ha determinato l’abbattimento del rischio per la salute pubblica e della forza lavoro come dimostrano i dati relativi a malattie professionali, morti per tumore, infortuni e morti sul lavoro.

Il capitalismo delle piattaforme presenta nuovi e, sotto molti aspetti, ancora ignoti rischi per la salute pubblica. Parlare di un luminoso futuro procurato dall’economia circolare suona come una beffa per una forza lavoro sempre più precaria e sfruttata. Un po’ come accade nel caso del lavoro agile descritto come una sorta di lavoro liberato da orari e costrizioni, quando nelle aziende private diventa una sorta di cottimo 4.0 mentre nel mondo della Pubblica amministrazione è l’occasione per imporre condizioni retributive peggiori, vista la mancata corresponsione di alcuni istituti contrattuali. Sullo sfondo delle pie illusioni si materializza, come nel lavoro autonomo di seconda generazione, il predominio dei tempi di lavoro su quelli di vita.

Quando si parla di energie rinnovabili si cede alle lusinghe di scenari futuri dei quali si ignora il reale impatto sull’economia, sulle condizioni di lavoro e di vita. Si evita di affrontare i costi reali delle nuove fonti energetiche e di indagarne anche gli svantaggi. Anni fa veniva raccontato che la fabbrica del futuro sarebbe stata scevra da ogni rischio per la salute e sicurezza. L’esperienza diretta e i dati statistici dimostrano invece l’esatto contrario; basta vedere la condizione di vita e di lavoro di quanti operano nel terziario industrializzato o nella logistica.

L’impatto della digitalizzazione è ancora da comprendere alla luce del fatto che la svolta tecnologica viene preceduta da narrazioni tossiche miranti a rassicurare l’opinione pubblica sulla bontà dei processi in atto occultando tutti gli aspetti caratteristici della biopolitica e del capitalismo della sorveglianza, delle nuove forme di sfruttamento e controllo alle quali è assoggettata la forza-lavoro.

Il nuovo rappresentato dall’economia circolare dovrà essere studiato e analizzato all’interno della crisi di accumulazione e dei processi riorganizzativi del capitale. Soffermarsi invece sulla semplice svolta green dell’economia potrebbe rappresentare un approccio semplicistico e subalterno agli scenari futuri del capitalismo e alle rinnovate forme di sfruttamento e controllo che vorranno imporci.

19/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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