Economia geopolitica: la disciplina del multipolarismo

Gli studiosi di relazioni internazionali sono stati a lungo complici del dominio occidentale e sono stati incapaci di prevedere e spiegare il multipolarismo. Una nuova disciplina si contrappone alle finzioni della scuola economica neoclassica e fornisce strumenti per cambiare le politiche statuali.


Economia geopolitica: la disciplina del multipolarismo Credits: Foto di Radhika Desay

Radhika Desay, docente di Comparative Politics e Political Economy all’Università di Manitoba (Canada), ha pubblicato un suo interessante lavoro tendente a illustrare una nuova disciplina per lo studio del multilateralismo. La ringraziamo per averne consentita la pubblicazione sul nostro giornale. Per motivi di spazio, traduciamo e pubblichiamo l’introduzione e il primo capitolo del suo scritto. L’originale in inglese, nella sua versione integrale, insieme a molti altri suoi lavori sull’argomento, è disponibile qui (NdT)

Con la crescita della Cina e di altre economie emergenti che espandono capacità produttiva e politica al di là delle roccaforti originarie dell’Occidente e del Giappone, dovrebbe essere incontrovertibile – ma così non è – l'idea che il mondo stia diventando velocemente, se non lo è già, multipolare. Le due discipline che studiano gli affari mondiali in Occidente, international relations (IR), che si concentra solo sulla politica, e international political economy(IPE), che è stata fondata negli anni '70 con lo scopo esplicito di considerare l'economia, non sono riuscite a prevedere o spiegare il multipolarismo. Una volta costrette ad affrontarlo all'indomani della crisi del 2008, che ha tenuto l'occidente nella stagnazione mentre le economie emergenti hanno continuato la loro rapida crescita e accelerato l'avanzata del multipolarismo, hanno risposto in gran parte con negazionismo e ostilità, piuttosto che con obiettività e analisi. Insistere sulla realtà e/o desiderabilità della supremazia americana e occidentale contro riscontri crescenti, non consente di comprendere il potenziale progressivo del multipolarismo. Questo è il segno segno più sicuro dell'obsolescenza di queste discipline.

Questo lavoro caldeggia una nuova disciplina accademica, l'economia geopolitica, che è maggiormente in grado di far comprendere il mondo multipolare, ricostruire la sua evoluzione storica e valutarne il suo potenziale innovativo. Le sezioni seguenti lo spiegano e delineano i suoi elementi chiave: la centralità dlla funzione economica degli stati nel mondo moderno o ciò che chiamo "la materialità delle nazioni", la dialettica tra lo sviluppo disomogeneo e combinato (uneven and combined development UCD), il percorso verso il multipolarismo e le potenzialità che quest’ultimo contiene per il cambiamento progressivo.

Il caso dell'economia geopolitica

In The Discipline of Western Supremacy [1], Kees van der Pijl sostiene che l'IR è stata a lungo complice delle istituzioni e delle pratiche della supremazia occidentale e statunitense. I suoi approcci "idealista" e "realista" hanno articolato e amministrato un modello di governo mondiale liberale radicato nel pensiero anglo-americano 'Lockiano'. Nello spiegare il termine "disciplina" nel suo duplice significato – quello di un campo di studi accademico e quello di un insieme di politiche, pratiche, discorsi e istituzioni per far rispettare un certo ordine – van der Pijl mostra che l'IR è stata la disciplina della supremazia occidentale in entrambi i sensi.

Nel mio economia geopolitica: dopo l'egemonia degli Stati Uniti, le teorie della globalizzazione e dell'impero [2] sostenevo che gli approcci principali dell'IPE, l’egemonia degli Stati Uniti e la globalizzazione, poggiassero su una concezione cosmopolita dell’economia mondiale, come un’unità armoniosa. Basati sulle idee del libero scambio del diciannovesimo secolo, queste concezioni vedono l'economia mondiale governata o dai mercati, cioè il libero scambio e la globalizzazione, o da uno stato dominante, cioè l'egemonia statunitense. Nel primo caso, nessuno stato ha importanza, nel secondo ne ha solo uno. La suddivisione del mondo in una moltitudine di stati-nazione è contingente e irrilevante: nel migliore dei casi rappresenta una diversificazione culturale.

Questa visione serviva un fine ideologico quando una singola potenza poteva dominare il mondo, come il Regno Unito nel diciannovesimo secolo, o tentare di farlo, come hanno fatto senza successo gli Stati Uniti nel ventesimo.

Trattando l'economia mondiale come un'estensione di quella della potenza dominante, tali concezioni hanno tenuto fuori dal loro copione il processo più rilevante che genera la multipolarità: quello degli stati che intervengono nell’economia per promuovere la crescita industriale al fine di evitare o invertire il loro destino di appendici agricole o subordinate in altro modo ai paesi capitalistici industriali e di sfidare invece il loro dominio.

Queste critiche mostrano che l’IR e l’IPE condividono un concetto comune: il mercato che si autoregolamenta. È la conditio sine qua non del capitalismo. Separa falsamente la politica dall'economia, come sfera quest’ultima della libertà dei capitalisti, oscurando l'ingiustizia e l'anarchia del capitalismo. Criticarle, significherebbe ammettere che le forze sociali, soprattutto lo stato, debbano intervenire per correggerle, e limitare le libertà dei capitalisti. Marx ha deriso questa idea definendola "economia volgare". Tuttavia essa non ha impedito agli stati di salvare i capitalisti dalle vere crisi del capitalismo, come abbiamo visto anche recentemente, nel 2008, quando l’intervento statale nell’economia ha largamente meritato il ruolo di arma contro le richieste dei lavoratori di un’azione statale in loro favore.

Il mercato autoregolamentato non è un rudere del diciannovesimo secolo. Lo ritroviamo etichettato come economia neoclassica, corrente emersa negli anni '70 del XIX secolo appositamente per spodestare l'economia politica classica dopo che Marx e Engels risolsero i suoi problemi rimasti in sospeso in direzione comunista, e l’avevano resa inservibile per la legittimazione della società capitalista. L'economia neoclassica tornò indietro rispetto a Marx ed Engels aggrappandosi a due ‘finzioni ricardiane’ [3]: la legge di Say, che negava la sovrapproduzione e le crisi capitalistiche, e la teoria dei vantaggi comparati, che raffigurava il libero scambio come reciprocamente vantaggioso per tutte le nazioni, nonostante che i potenti paesi capitalisti esternalizzassero le loro eccedenze scaricando merci su società incapaci di resistere alla concorrenza internazionale.

L'economia neoclassica è all'origine della divisione sociale del lavoro scientifico che oggi organizza la produzione intellettuale occidentale. Quando Max Weber giustificava la necessità della separazione delle discipline in sfere autonome con proprie logiche, aveva in mente soprattutto l’autonomia della scienza ’economcia, nonostante che l'economia neoclassica, l'ideologia dell’autoregolamentazione del mercato, contamini tutte le altre scienze sociali, come l’IR o l’IPE. Neppure la sinistra e la cultura critica ne restano incolumi [4].

Non è stato considerato abbastanza il modo in cui l'ideologia del mercato autoregolamentato distorce la nostra comprensione degli affari internazionali. Le politiche neoliberali sono giustamente criticate in quanto compromettono il progresso della transizione e delle economie in via di sviluppo, e si sostiene addirittura, per bocca di uno specialista che esse equivalgono a "buttare via la scala" [5] della protezione economica e della pianificazione che ha permesso lo sviluppo dell'occidente. Tuttavia, tali critiche non forniscono una comprensione completa delle reali dinamiche delle relazioni internazionali nell'era del capitalismo.

Questo è invece ciò che offre l'economia geopolitica. Cerca di recuperare l'economia politica classica, compresi Marx ed Engels, e di avvalersi dei successivi critici dell'economia neoclassica, inclusi John Maynard Keynes, Michael Kalecki, Karl Polanyi e i teorici contemporanei dei "Developmental states" [teoria dello stato sviluppista, NdT]. Collegando queste correnti di pensiero, l'economia geopolitica sbaraglia quella neoclassica con le sue finzioni ricardiane del mercato autoregolamentato e supera la falsa separazione tra economia e politica. Evita anche la tendenza delle moderne scienze sociali volta a vagheggiare che vi sia un dominio separato dell'"internazionale" con le sue dinamiche autonome e considera le relazioni internazionali radicate negli impulsi e nelle motivazioni sociali derivanti dalla struttura interna e dalle dinamiche che gli stati si portano dietro nell’interazione con gli altri.

A questa concezione originale proposta dall’Economia geopolitica, l'arguta argomentazione di Van der Pijl secondo cui l’IR è la disciplina della supremazia occidentale mi ispira un nuovo argomento, cioè che l’economia geopolitica è la disciplina del multipolarismo, la disciplina più adatta alla comprensione del declino della supremazia occidentale e statunitense e dell'ascesa della multipolarità, facendo conoscere alle istituzioni e alle pratiche la possibilità di sfruttare il potenziale della multipolarità per un mondo più equo e più giusto.


Note:

[1] K. Van der Pijl, The Discipline of Western Supremacy, London, Pluto 2014

[2] R. Desai, Geopolitical Economy: After US Hegemony, Globalization and Empire, London, Pluto 2013

[3] Ib. p. 34

[4] R. Desay, The Value of History and the History of Value in Turan Subasat (ed) The Great Meltdown of 2008: Systemic, Conjunctural or Policy-created?, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA, Edward Elgar Publishing

[5] Chang, Ha-Joon, Kicking Away the Ladder: Development strategy in historical perspective, London, Anthem, 2002


Traduzione dall’inglese a cura di Ascanio Bernardeschi

26/05/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Foto di Radhika Desay

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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