Trasformazioni egemoniche e sfide della contemporaneità secondo Beverly Silver

Intervenuta allo Sportello contro lo sfruttamento di Roma, la sociologa Silver offre un’importante panoramica sulla crisi, letta sulla base dello sviluppo storico del capitale e sulla crisi dell’egemonia degli Stati Uniti.


Trasformazioni egemoniche e sfide della contemporaneità secondo Beverly Silver Credits: http://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/fiumana/

Roma – L’incontro promosso dallo Sportello contro lo sfruttamento di Roma il 12 giugno è stato un’importante occasione per compiere un’analisi della fase, che, come affermato giustamente nell’intervento introduttivo, ha sempre svolto un ruolo centrale per tutti i partiti comunisti tanto da essere l’elemento di partenza di ogni congresso. Oggi le analisi di fase non mancano, quello che è assente è il soggetto rivoluzionario della trasformazione, il partito comunista.

Non poteva essere altrimenti visto che si era in presenza della sociologa della Johns Hopkins University di Baltimora Beverly Silver, autrice nel 2003 del libro “Le forze del lavoro”, che analizzava le forme assunte dalla lotta di classe all’inizio del nuovo secolo e, in particolare, sottolineava il protagonismo della classe operaia in un’epoca segnata dalla crescente instabilità, sconfessando le tesi decantate dall’ideologia dominante che pretendevano la famigerata “fine della storia” nell’apologia delle “magnifiche sorti e progressive” del liberismo. Le analisi della Silver vanno d’altronde di pari passo con quelle di Giovanni Arrighi, il quale già nel 1994, con la pubblicazione de “Il lungo XX secolo”, aveva lucidamente sottolineato come si stesse assistendo a una crisi dell’egemonia a stelle e strisce sul contesto globale.

La sociologa americana descrive la fase attuale a partire da una citazione di Gramsci, che in una nota scritta in carcere nel 1930 affermò: “la crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati” [1]. E i fenomeni morbosi più vistosi di questa fase di crisi sono una crescente disuguaglianza delle condizioni sociali, il deterioramento ambientale e il manifestarsi della guerra su scala mondiale. Sono peraltro manifeste le analogie con gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, in cui i problemi scatenati dalla finanziarizzazione fuori controllo portarono a una contestuale disuguaglianza montante e all’instabilità geopolitica che di lì a poco avrebbe condotto all’esplosione della seconda guerra mondiale.

Così come già altre volte nella storia del capitalismo, osserva la Silver, si è assistito allo spostamento epocale della centralità egemonica da una parte all’altra del mondo [2], così balza oggi agli occhi come l’espansione inarrestabile della Cina e in generale del sud-est asiatico faccia scricchiolare sotto la sua pressione la posizione di centro mondiale dell’accumulazione capitalistica, assunta dagli Usa nel secolo scorso grazie all’autodistruzione del vecchio continente indotta dalla competizione imperialistica. È la tesi di fondo del lavoro di Beverly Silver, che nel 1999, con il libro “Caos e governo del mondo”, mostrò come l’apice della potenza americana nel mondo fosse meramente apparente. Diviene quindi inevitabile nel corso di un tale passaggio storico, porsi la domanda di come si possa evitare che il livello di sofferenza, tipicamente alto nelle fasi caratterizzate dallo slittamento del centro egemonico appena descritte, assuma proporzioni drammatiche.

Sono tre le variabili proposte dalla Silver nell’analisi delle problematiche introdotte. La prima riguarda la disposizione o meno da parte della forza egemone ad accettare la fine del suo dominio pacificamente. La serie di eventi che videro Washington responsabile prima dei bombardamenti su Belgrado, poi dell’invasione dell’Afghanistan, dell’attacco all’Iraq, dell’intervento in Libia e in Siria, ha sin da subito mostrato come l’amministrazione yankee non avesse che risposte “bipartisan” totalmente negative rispetto alle raccomandazioni degli studiosi vicini alla sociologa. La seconda variabile è data dal modo di affrontare la crisi ecologica e le altre problematiche inerenti le condizioni di vita umane causate dal modello di sviluppo americano. E qui è interessante notare come anche un modello di crescita economico come quello cinese, basato sulla poderosa industrializzazione (prevalentemente nel settore pesante ed automobilistico) e sulla grande intensità del lavoro, abbia dato luogo a forme diverse di sviluppo in grado di garantire un maggiore rispetto delle risorse naturali, come messo in luce dallo stesso Giovanni Arrighi [3].

Il terzo e più importante fattore è quello determinato dalla spinta dei movimenti per una trasformazione dal basso. Tale variabile deve essere considerata nell’ottica del divenire storico. Dopo la rivoluzione bolscevica, lo sviluppo delle lotte operaie, l’ascesa dei partiti rivoluzionari e dei movimenti anticoloniali di liberazione nazionale costrinse le classi dirigenti a correre ai ripari per frenare la sfida rivoluzionaria e ad implementare un’agenda riformista, spingendo da un lato il compromesso keynesiano, basato sulla promessa della società consumista, e favorendo dall’altro lato, con la creazione dell’Onu, l’ideologia sviluppista fondata sulla promessa di allargare tale consumo di massa ai popoli del cosiddetto “terzo mondo”. Erano però queste promesse false perché fondate su un presupposto fallace, ossia sulla pretesa compatibilità di fondo con un sistema economico che continuava ad avere alle sue fondamenta la logica del profitto capitalista. Tali spinte contradditorie non potevano che sfociare in una crisi, come in effetti avvenne negli anni ’70. Era questa una crisi di profittabilità del capitale, dettata dal fatto che il mondo del lavoro organizzato e i movimenti anticoloniali del “terzo mondo” erano diventati troppo forti per poter continuare a gestire la loro ascesa attraverso il compromesso riformista. E proprio sullo smantellamento dell’agenda sociale di tale compromesso si basò la controrivoluzione reaganiana e thatcheriana. L’inevitabile fallimento di tali risposte ha determinato la natura della crisi odierna, definita dalla Silver una crisi di legittimità del capitale generata dalla crescente disuguaglianza.

Ella individua come data cruciale della controriforma liberista il 1994, anno in cui Clinton eliminò la separazione tra banche di investimento e quelle tradizionali, abolendo la legge Glass-Steagall, che era stata introdotta da Roosevelt nel 1933 per istituire degli strumenti di controllo sulla speculazione finanziaria. Si assisteva nello stesso periodo a una profonda crisi internazionale del movimento dei lavoratori e delle organizzazioni di massa, caratterizzato dalla diminuzione verticale degli scioperi e delle proteste dal basso, tanto da spingere la stessa Silver a interrompere nel 1996 l’acquisizione dei dati mondiali sugli scioperi in attesa di una nuova ripresa. Tale parabola negativa interna al mondo del lavoro era il frutto della modificazione della composizione di classe avviata dalle politiche economiche liberiste, e si sarebbe arrestata con il riacutizzarsi della crisi e la sua esplosione nel 2008. Secondo la Silver il capitalismo è in continuo cambiamento, ovvero attraversa delle fasi di ristrutturazione, e continuamente modifica la composizione di classe. Nel 2010, nel corso in un viaggio in aereo, la Silver si imbatte in un numero del Financial Times che riporta di proteste sociali in tutto il mondo, e viene così spinta a riprendere l’acquisizione di dati sospesa un decennio prima, estendendola a tutte le lotte sociali. Da quell’anno la curva delle proteste sociali ha ricominciato a salire costantemente, mettendo in mostra l’enorme potenziale rivoluzionario di un mondo del lavoro che ha visto aggiungersi alla vecchia classe operaia una nuova massa di proletari ingabbiati nelle nuove forme del lavoro precario e senza tutele, ovvero un esercito industriale di riserva stagnante [4], reso sempre più nutrito dalla crescente esclusione sociale generata dalle risposte alla crisi fornite dalla classe dominante. Nella discussione la Silver definisce “stupide” tali risposte, facendo così sollevare dal pubblico la condivisibile obiezione di un compagno secondo cui, benché tali misure economiche siano manifestamente irrazionali, esse sono connaturate al modo di produzione capitalistico. Semmai, aggiungeremmo noi, la controffensiva nei confronti della restaurazione liberista condotta dalle classi dominanti deve essere rafforzata affiancando alle spinte sempre più forti provenienti dal basso la direzione cosciente di un partito comunista degno di questo nome. La questione dell’unità dei comunisti, come di frequente affermato nel nostro giornale, è in questa fase più che mai attuale, perché la traiettoria dettata dalle classi dominanti ci conduce direttamente alla barbarie, se non le si contrappone la spinta verso la realizzazione di una società più giusta, ovvero del socialismo.

In altre parole, c’è bisogno della massima accumulazione delle nostre forze, se vogliamo essere all’altezza delle sfide lanciate dall’oggi. Tali sfide si concentreranno, conclude la Silver, in tre macroaree:

  1. Battaglia sulle condizioni di vita, laddove di fronte al tentativo di esternalizzare il più possibile il costo di riproduzione della vita umana c’è la necessità di riportare la vita umana e il miglioramento delle sue condizioni al centro dell’organizzazione economica

  2. Ecologia, laddove gli Stati Uniti hanno promosso un modello di sviluppo che tratta la natura come bene libero sempre a disposizione per i fini della propria politica di profitto e di potenza senza tenere conto delle problematiche della sostenibilità ambientale e dell’impatto sulla stessa vita umana

  3. Questione della guerra e della violenza, laddove gli Stati Uniti mantengono una superpotenza militare che, se da un lato non è sufficiente a garantirgli di governare su tutto il mondo, dall’altro lato le garantisce un potenziale tale da rendere possibile la distruzione totale.

Note:

[1] A. Gramsci, Quaderni dal carcere (Q. 3, §34, p. 311).

[2] Tra il ‘400 e il ‘500 tale passaggio avvenne dalle città-stato italiane all’Olanda, a sua volta rimpiazzata dall’Impero Britannico nel 18esimo secolo, che avrebbe perso tale posizione egemonica nel Novecento a favore degli Stati Uniti d’America.

[3] G. Arrighi, Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, 2008.

[4] K. Marx, Il capitale, Libro 1, sezione VII, capitolo 23, paragrafo 4, http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_1/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_I_-_23.htm

17/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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