I lavoratori della Bekaert a difesa del posto di lavoro

I lavoratori si oppongono con determinazione e capacità alla chiusura della fabbrica metalmeccanica della Bekaert, già Pirelli; la Toscana disastrata dalle politiche liberiste, esprime loro solidarietà.


I lavoratori della Bekaert a difesa del posto di lavoro Credits: https://www.controradio.it/wp-content/uploads/2018/09/bekaert-5-1.jpeg

A due passi da Rignano sull’Arno, a Figline-Incisa, in pieno feudo renziano, dove alcune cooperative sedicenti “rosse” fanno e disfanno sulla pelle di lavoratori precari super-sfruttati, la Pirelli era proprietaria, fin dal 1960, di uno stabilimento che produceva rinforzi in acciaio per pneumatici.

Coerentemente con la logica del capitalismo finanziario, nell’estate del 2001, la società di Tronchetti Provera acquisì, tramite la società Olimpia, il 23% del capitale di Telecom, azienda sovraccarica di debiti. L’altro partner in Telecom era quel Colaninno che già aveva proseguito l’opera di distruzione della Olivetti iniziata da De Benedetti. Tutti imprenditore blasonati a “sinistra”, al pari di quel Marchionne che ha scippato l’industria automobilistica italiana.

Le annunciate magnifiche sorti e progressive dell’operazione però non ci furono e Pirelli, nonostante avesse dismesso un bel po’ di immobili Telecom, ci lasciò diverse di penne, tanto che, fallite le trattative con Murdoch, Telefonica e AT&T, dovette uscire da Olimpia e vendere alcuni gioielli di famiglia, tra cui, nel 2013, lo stabilimento toscano, che fu acquisito dalla belga Bekaert Group, la cui principale attività è la trasformazione e il rivestimento di fili d'acciaio, impiegando quasi 30.000 persone in tutto il mondo e fatturando 4,4 miliardi di euro.

La cessione fu accompagnata da un accordo commerciale in cui Pirelli si impegnava ad acquistare i prodotti di Figline-Incisa fino a dicembre 2017 (termine successivamente prorogato) e, per non smentirsi, da un accordo sulla ristrutturazione dello stabilimento con una procedura che determinò 53 esuberi. Per anni lo stabilimento ha lavorato a pieno ritmo, con sovraccarico di domeniche lavorative e immissione di 23 interinali: modalità assai meno costose del mantenimento delle maestranze dichiarate in esubero. Oltre al comparto produttivo, lo stabilimento ne ha (aveva) uno di ricerca e sviluppo che ha realizzato prototipi messi successivamente in produzione seriale in altre filiali all’estero. Gli operai qualificati e tecnici di questo comparto venivano mandati in giro per il mondo a insegnare le tecnologie utilizzate e a impiantare nuove fabbriche che si ponevano oggettivamente in concorrenza con la produzione locale.

Un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico del marzo scorso cercò di tranquillizzare i lavoratori, preoccupati per queste rilocalizzazioni della produzione. In tale occasione il nuovo padrone dichiarò di confermare la “mission” dello stabilimento e gli investimenti nella ricerca e sviluppo. Ma parlava con la lingua biforcuta. Infatti il 22 giugno successivo comunicò in maniera del tutto inaspettata l’avvio delle procedura di licenziamento collettivo dei 318 dipendenti e di chiusura dello stabilimento. Tale chiusura non era giustificata da difficoltà economiche, ma semplicemente dalla convenienza a produrre dove si fanno maggiori profitti. E difatti comunicava l’azienda che “la posizione del sito di Figline nel mercato di riferimento ha subito notevoli pressioni. A causa dei suoi costi strutturali notevolmente superiori rispetto a quelli degli altri stabilimenti di rinforzi in acciaio per pneumatici di Bekaert nella regione Emea, il sito non è stato in grado di generare performance sostenibili dal punto di vista finanziario”. Insomma gli azionisti reclamavano più dividendi.

Pur trattandosi di una fabbrica non grande, il territorio subì il contraccolpo di questo fulmine a ciel sereno e si mobilitò a fianco dei lavoratori, anche grazie alla loro particolare attenzione alla comunicazione.

Nell’ambito di questo tenace impegno, alcuni loro rappresentanti sono stati invitati martedì scorso (4 dicembre) a un’iniziativa di Potere al Popolo nel circolo Arci “il Botteghino”, nei pressi di Pontedera, dove la più grande fabbrica toscana, la Piaggio, fa altrettanta strage di posti di lavoro in virtù dell’imperativo del massimo profitto e quindi della necessità di spostare lavorazioni laddove la manodopera è a maggiore buon prezzo.

L’incontro, preceduto da un’ “apericena” di sostegno finanziario ai lavoratori in lotta, è stato partecipato da un centinaio di persone che hanno intessuto un dibattito assai interessante in cui si è parlato anche della ex Lucchini di Portoferraio, della Piaggio, del suo indotto, delle miriadi di piccole imprese disseminate nel territorio, con tutele pressoché nulle per gli addetti, delle produzioni di alcuni imprese cinesi a costi possibili solo con salari da terzo mondo e tanto, tanto, nero. Insomma un quadro della realtà produttiva e sociale toscana assai diverso da quello relativamente coeso costruito nei primi decenni del dopoguerra in cui il Pci esercitava una forte egemonia.

Ma torniamo alla Bekaert e a quanto riferito dai lavoratori. La società proprietaria dichiarava la consueta disponibilità a intessere un dialogo “per attenuare l’impatto sociale” dei licenziamenti, che quindi venivano confermati. Difatti i lavoratori hanno ricevuto le relative comunicazioni. Il Presidente della Regione Rossi, recentemente approdato a Leu ma gran privatizzatore del comparto sanità e molto accomodante verso gli interessi delle grandi imprese, a partire, ma non solo, da quella operante nella sua Pontedera, annunciava gli incontri di rito fra le parti sociali al Ministero. Nel frattempo i lavoratori indicevano uno sciopero di tre giorni, tornavano successivamente al lavoro per mettere in sicurezza la fabbrica, che lasciata a sé stessa – mentre i manager si erano dileguati – avrebbe costituito un pericolo, organizzavano un presidio nello spazio antistante la fabbrica tenendovi continuamente iniziative, indicevano un corteo a fine giugno cui hanno partecipato migliaia di cittadini, organizzavano un presidio al Ministero dello Sviluppo Economico. Ma soprattutto sono andati in giro per tutto il paese e in molte località della Toscana, cogliendo anche l’occasione di feste popolari, a comunicare la loro esperienza di lotta. Perfino il famosissimo Sting ha tenuto un concerto gratuito davanti allo stabilimento.

L’eco prodotta dalla mobilitazione e dalla sua qualità ha portato sindacati, partiti, amministratori locali e regionali e parlamentari a misurarsi con i lavoratori e perfino il ministro Di Maio si è dovuto scomodare e si è lasciato sfuggire una promessa: una leggina che derogasse al Jobs Act per attivare la cassa integrazione per un anno. Non se lo sono fatti dire due volte i lavoratori e hanno insistentemente incalzato il ministro fino a costringerlo a mantenere la promessa. “Quest’anno di cassa integrazione servirà per cercare soluzioni idonee a mantenere il sito produttivo, anziché riconvertirlo in centro commerciale e per rafforzare la lotta e dare ossigeno agli operai”, dice uno di loro.

Non possiamo riportare neppure per sommi capi il dibattito seguito alle informazioni dei lavoratori. Ma il senso complessivo è che l’attacco al diritto al lavoro e alle alle condizioni dei lavoratori portato avanti negli ultimi decenni, ha sì ottenuto troppi successi, ma può essere contrastato e vinto a determinate condizioni.

La prima è che si comprenda, come hanno compreso alla Bekaert, che “nessuno si salva da solo” e che occorre dare la solidarietà a chi lotta per doverne ricevere quando invece siamo noi i colpiti dal capitalismo selvaggio. L’altra condizione è che le lotte non si limitino alla pur necessaria rivendicazione di più welfare, ma l’assottigliarsi dei margini riformisti impone la necessità della riduzione dell’orario di lavoro e di un piano industriale pubblico che rispetti i diritti e la dignità delle classi lavoratrici e rapporti solidali a livello internazionale. Cosa che non si può fare certamente con la sola mobilitazione di Figline Valdarno, ma di tutto il paese e anche oltre, considerando la forte connessione a livello internazionale delle strategie padronali.

Tuttavia l’esperienza di questi operai può offrire insegnamenti e coraggio ai lavoratori di tutto il paese.

09/12/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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